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Vikings 6×04 – Là dove nessuno ha paura di lottare

Il quarto capitolo della sesta stagione di Vikings racconta le vicende dei suoi protagonisti attraverso un filo conduttore ben preciso: la condizione di prigioniero di ognuno di loro. È curioso come le loro sorti risultino esser tanto differenti a seconda dell’angolazione da cui le si osserva. Chi in un certo momento è detentore di un potere sconfinato può diventare all’improvviso schiavo di qualcun altro. E chi sembra totalmente libero da un certo punto di vista può invece risultare prigioniero della sua stessa condizione. In un’ottica simile i discorsi all’apparenza deliranti di Re Olaf sugli dei, le loro ingerenze sulla vita terrena e il fato di ogni uomo, sembrano assumere un senso completamente nuovo.

È chiaro come la 6×04 di Vikings voglia porci in queste nuove angolazioni per mostrarci il rovescio della medaglia nella sorte di ognuno.

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E così, oltre a nuove prospettive, assumono diverse ragioni anche le loro stesse azioni. A fare da apripista in tal senso è Ivar, che per un attimo abbiamo creduto in qualche modo ammorbidito, forse preoccupato dalle azioni di Oleg. Ma la verità è che la lungimiranza del Senz’Ossa si dimostra essere per l’ennesima volta sorprendente. L’inaspettata tenerezza nei confronti del principe Igor, che appariva come un barlume di nostalgia per il fratello o il figlio uccisi con le sue mani, non è altro che una manovra studiata per salvaguardare i suoi interessi.

Avendo capito il peso del bambino all’interno del regno di Russia, la sua solitudine e la lontananza emotiva da Oleg, Ivar si pone come sua figura adulta di riferimento. Gli fa compagnia, allevia i suoi timori, gli insegna la sua lingua. Tutto per ottenere dal bambino una fiducia tanto cieca da portarlo a credere alle sue parole senza tradire le loro confidenze.

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Già questo costituirebbe in sè un piano audace, ma l’ingegnosità della visione di Ivar si completa puntando le sue carte su Dir.

Principe ridotto schiavo dal suo stesso fratello. Spogliato di ogni ricchezza e dignità dal sangue del suo sangue. Nessuno più di lui darebbe qualsiasi cosa per ottenere vendetta sul principe Oleg. E Ivar capisce che, se gioca bene le sue carte, Dir potrebbe essere un alleato molto più utile di Oleg. Il primo è un uomo che in fondo non ha mai avuto interesse in una vasta egemonia e ora brama la libertà. Il secondo dal suo canto, ha ampiamente dimostrato di non voler dividere alcun potere in modo paritario. E la sua imprevedibile follia sarà sempre un rischio per Ivar, sia in Russia che in Scandinavia.

Assistiamo dunque a uno dei più pericolosi azzardi mai visti in Vikings. Uno scontro tra titani, in cui follia e razionalità camminano sul delicatissimo filo di una fiducia basata sulla necessità che ognuno ha dell’altro.

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Ma se i giochi di potere sono al centro dell’attenzione nelle nevose terre russe, in Norvegia le cose non sembrano essere da meno. Già nello scorso episodio, Re Olaf aveva mostrato ai suoi assalitori l’entità della sua forza. Ma in questa puntata di Vikings notiamo un’arguzia strategica che avevamo sottovalutato almeno quanto la sua pericolosità.

I discorsi all’apparenza senza senso e densi di interrogativi teologici capaci di spiazzare anche un fervente vichingo come Bjorn, assumono tutto il loro significato con il colpo di scena finale. E capiamo così che le sue parole tendevano a disorientare i suoi prigionieri proprio come hanno disorientato noi.

Ora sappiamo che il vero piano di Re Olaf risponde a un’ambiziosa visione di unificazione – per non dire sottomissione – di tutti i popoli norreni sotto un unico re.

E benchè Bjorn sembri il re designato, il finale di puntata non garantisce che sia così. Qualcosa lascia sospettare che il suo intento sia riunire re e conti del paese per attirarli in una sorta di trappola. Un piano inaspettato, ambizioso. Ma venuto fuori in un contesto che mostra i primi buchi narrativi di questa stagione di Vikings. La dinamica con cui Re Olaf sembra avere così in pugno ben due re (Harald e Bjorn) non è affatto chiara. La faccenda si svolge nel regno che dovrebbe essere di Re Harald ma non è chiaro come il suo esercito allora si sia piegato a Olaf con tanta semplicità.

Altrettanto non si capisce come Bjorn sia diventato praticamente suo prigioniero. A meno che il vichingo si sia presentato con un numero estremamente ristretto di guerrieri. Una leggerezza che consoliderebbe l’idea che ci eravamo già fatti di lui: un re sì giusto, sì vicino al popolo, ma molto, forse troppo ingenuo. Forte sul campo di battaglia, ma debole come stratega. Il passato in fondo ce lo aveva insegnato. Anche in Inghilterra non era certo lui il figlio di Ragnar che meglio si distingueva in strategia militare.

Ma se qui il limite di Vikings 6 si manifesta in un buco narrativo, a Kattegat si tratta più di un vuoto emotivo.

La dinamica che si svolge tra Ubbe e Hvitserk infatti appare piuttosto sbrigativa. Già dallo scorso episodio risulta strano che proprio Ubbe, il primo ad aver notato l’instabilità di Hvitserk, voglia affidargli il comando della spedizione commerciale a est. Le problematiche di Hvitserk sono talmente lampanti da rendere difficile immaginarlo al comando di alcunché. Le sue promesse di miglioramento hanno più che altro il sapore di un’accorata richiesta d’aiuto che Ubbe forse non ha saputo, o voluto, cogliere.

In queste condizioni l’epilogo della vicenda era prevedibile, per questo risulta alquanto sbrigativo averla fatta andare esattamente così. È chiaro che Ubbe non ha ancora perdonato al fratello il tradimento della scorsa stagione, quando l’aveva visto al fianco di Ivar. Tuttavia un approfondimento emotivo del rapporto tra i due avrebbe reso la storia molto più avvincente.

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In effetti il problema di questa stagione di Vikings non sembra risiedere tanto in ciò che ha da raccontare quanto nel modo in cui lo fa.

L’ammirevole intensità della 6×03 sembra del tutto decadere nella narrazione della 6×04. L’unico momento in cui si riottiene una certa forza è quello che vede Hali, figlio maggiore di Bjorn, morire tra le braccia di Lagertha. Una scena drammatica come drammatica può essere la morte di un bambino, anche in una serie come Vikings. Eppure anche in questo caso si può cogliere la mancanza di profondità che un tempo caratterizzava la maggior parte dei più importanti snodi narrativi della serie (qui trovate una lista dei suoi momenti più intensi).

Da questo contesto tuttavia riotteniamo con una certa soddisfazione il ritorno sul campo di battaglia di Lagertha. Certo, un campo meno competitivo di quelli su cui eravamo abituati a vederla combattere. Ma ancora una volta Vikings conferma Lagertha come uno dei più carismatici leader della serie. Capace di risvegliare gli animi di guerriere che avevano ormai deposto scudo e spada come lei. Di uomini ormai troppo vecchi per combattere ma non abbastanza da essere del tutto inutili.

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E, come ogni leader, Lagertha porta su di sé il merito del successo e il peso delle perdite.

Ma ancora una volta decide di non arrendersi. E con la volontà di restare e combattere per difendere quelle terre in cui lei e Ragnar vissero i tempi più felici della loro vita, riesce a trascinare con sè lo spirito degli altri sopravvissuti. Uno spirito piegato dalla morte di figli, sorelle, fratelli, ma non abbastanza da arrendersi. In una puntata in cui doppi giochi e prigionieri illustri fanno da padrone è proprio il malandato e umile esercito di Lagertha quello da cui nascono sentimenti inequivocabili. La voglia di lottare, la paura che si trasforma in forza, il desiderio di proteggere la propria libertà a ogni costo.

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