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Ci vediamo all’Inferno, Rollo

Vikings è una grande epopea sui vichinghi che, mescolando realtà e finzione, è riuscita a essere avvincente, piena di momenti adrenalinici alternati ad altri più emozionanti e intimi, abitata da personaggi complessissimi, dalle mille sfumature e alle prese con le sfide del loro tempo. Invadere o essere invasi, questo è il loro dilemma principale. Però, ogni cosa nella serie tv è legata a un unico comune denominatore; un uomo il cui nome non smette di aleggiare sul suo popolo nemmeno dopo la sua morte, sia esso una forza o una maledizione: Ragnar Lothbrok. C’è chi vuole imitare il leggendario re norreno, chi semplicemente desidera rendergli onore, chi invece brama con tutto sé stesso di allontanarsi dalla sua ombra e trovare il suo mondo, il suo percorso e la sua identità. Come Rollo.

Lui è l’altro, il fratello del prescelto e predestinato alla grandezza, oppresso da un cognome importante e da un legame di sangue che non gli dà altra scelta che esserne all’altezza. E quanto deve essere frustrante per lui questa situazione? Essere il secondo pur dimostrandosi un fortissimo guerriero? Pur essendo il primogenito? Infatti, tanto Ragnar diviene potente in Vikings, tanto crescono in Rollo la gelosia, l’indivia, le fiamme di un Inferno che finiranno per corromperlo, abbracciarlo e farlo suo.

La brama di superarlo, di essere migliore del migliore, di spodestare Ragnar ed essere venerato allo stesso modo parte da lontano, da prima che diventasse un Re in Vikings.

Rollo non ha mai superato il rifiuto di Lagertha, che ha scelto di stare assieme a un uomo che l’ha continuamente ferita e ha ripagato il suo amore abbandonandola per un’altra. Come ha potuto farlo, lei, la shieldmaiden più forte, potente e bella di tutti i tempi? Lagertha avrebbe potuto essere la sua via di fuga, Siggy ha provato invano a diventarla. Ma, del resto, al cuor non si comanda. Allora, Rollo non ha mai avuto uno spazio che fosse davvero suo, continuando a vivere alle spalle di Ragnar e non conoscendo altro modo se non la violenza per conquistarlo e affermare la sua identità, scissa dal fratello. Ecco che si abbandona a una delle inclinazioni più infami dell’essere umano, paragonabile a un virus che si innesta nel nostro corpo e fa ammalare la nostra anima, e che occupa il girone più terribile e in profondità dell’Inferno dantesco, tanto il peccato è grave: il tradimento. E Dante l’avrebbe trovato immerso nelle acque ghiacciate del fiume Cocito. Col volto all’insù.

Vikings

Infatti, si schiera con Jarl Borg, pur rifiutandosi in battaglia di combattere il suo fratellino, perché uno scontro tra di loro avrebbe significato la morte di uno dei due. E per quanto Rollo si convinca di odiarlo, non è così. Per quanto lo combatta, ciò non spegne il suo senso di inferiorità. Come dice lui stesso:

Ho voluto fare un passo fuori della tua ombra, ma quando ho messo piede fuori dalle porte, non c’era la luce del sole“.

Però, la cosa è reciproca. Rollo ha messo Ragnar di fronte a una delle nostre paure più grandi, ovvero l’esser tradito dai nostri cari, ed è riuscito a concederli ciò che un normale vichingo non potrebbe mai offrire al suo nemico, ossia il perdono. Lo riammette tra le sue schiere, per portarlo nell’esplorazione di territori sconosciuti e pieni di ricchezze, perché sa benissimo che non vorrebbe avere nessun altro al suo fianco durante queste razzie. E Rollo prova a redimersi e a uscire da quel lago ghiacciato a cui è destinato, sacrificandosi per la causa e facendosi battezzare nell’acqua consacrata della terra inglese. Ma senza mai togliersi quel bracciale che lo lega alla sua cultura, simbolo imprescindibile delle sue origini. Il messaggio è chiaro: il battesimo è una formalità, i vichinghi sono il suo popolo e la sua religione. Almeno fino a Parigi, dove ricade vittima del morbo del tradimento in Vikings. Da guerriero redento e alla guida dell’assalto alla capitale francese tornerà a essere un reietto. Perché sì sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio. E chi tradisce e ne ha provato il gusto, spesso lo rifà.

Sebbene continui a ferirlo nel profondo, questo non vuol dire che Rollo non ami Ragnar, colui che dalla vita ha ottenuto tutto e compiuto le imprese più grandi. Anzi.

Odia quanto lo ama e odia ciò che Ragnar è stato capace di realizzare. Una metà vorrebbe togliere di mezzo suo fratello e salire sul trono, l’altra sarebbe morta proteggendone la vita. È dovuto cadere prima di poter spiccare il volo e, alla fine, è costretto ad andarsene per diventare sé stesso, forgiare la propria eredità e difendere le sue conquiste con le unghie e con i denti. Le sue, non quelle di Ragnar. E l’avrebbe protette anche a costo di combattere il suo popolo, rinnegare le sue tradizioni e la sua Kattegat, adorata patria che amava più di sé stesso.

Ecco perché, adesso, nel Cocito infernale dantesco, sarebbe stato a faccia all’insù, da traditore della patria qual era. Eppure, Parigi gli ha dato esattamente ciò che stava cercando: ricchezza, terre, potere, amore, famiglia, eredità e libertà, soprattutto dall’ombra di suo fratello. Certo, su di lui pende la spada di Damocle di Ragnar, rappresentato dalla minaccia di un vichingo morente, dopo che Rollo stesso ordinò l’attacco alla colonia in terra francese dei suoi compatrioti:

“Rollo sei un traditore! Ragnar ci vendicherà!”

Parole profetiche che lo tormentano, fino a che non diventano realtà in Vikings. Non può sfuggire a quel faccia a faccia. E allora Ragnar contro Rollo sia. Però, ancora una volta, non riescono a uccidersi, perché la morte di uno equivarrebbe alla fine dell’altro. Le urla di Ragnar, piene di odio e di disperazione, sono così amare perché rappresentano la sua perdita. In quelle grida strazianti c’è tutto il dolore di chi ha pensato che Rollo potesse tornare da lui; nei suoi occhi pieni di lacrime, dopo questa terribile batosta, c’è il suo punto di non ritorno. Distrutto, butterà all’aria il suo regno e, semplicemente, scompare. Perché Rollo non è l’ombra di Ragnar, ma parte di ciò che quest’ultimo ha dovuto nascondere in profondità per ascendere al trono di Re dei Norreni. E di quell’ascesa inarrestabile, il fratello ne è il fallimento. L’unica sconfitta. Il suo inferno personale.

E del vichingo di un tempo non è rimasto niente in un attempato Rollo. Ha solo un rimpianto, ovvero Lagertha, e prova un grande orgoglio per ciò che Bjorn, suo figlio, è diventato. Seppur nel cuore del ragazzo ci sia posto solo per un padre, ovvero Ragnar. Così, dopo un cammino arduo e pieno di cadute, il traditore Rollo semplicemente svanisce, senza più farsi vedere, ormai troppo vecchio, stanco e cambiato per combattere. In Francia avrà trovato la pace, magari terminando la sua esistenza lontano dallo spettro di Ragnar, magari capendo il suo reale valore nella storia. Ormai i norreni non sono più la sua gente e le lotte tra i figli di Ragnar non lo riguardano più. Perché la sua esistenza a Kattegat era profondamente legata a quella del fratello. Essendo due facce della stessa medaglia, con la sua morte, anche il Rollo vichingo muore. E chissà, magari per il battezzato Rollo non si spalancheranno le porte dell’Inferno; magari sentirà di nuovo il martello di Thor, ritroverà le sue origini e ascenderà a quel Valhalla in cui Ragnar lo sta aspettando a braccia aperte. Pronto a perdonarlo per l’ultima volta.