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La spiegazione del finale di Vikings

ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER sul finale di Vikings.

I piccoli cinghiali grugniranno quando sapranno quanto ha sofferto il vecchio cinghiale.

Queste le ultime parole di Ragnar sul destino dei propri figli, in una delle citazioni più iconiche di Vikings e nell’episodio che, per molti fan, avrebbe dovuto costituire il vero finale della serie. Eppure, il progetto di Michael Hirst per History è sopravvissuto e si è protratto per altre due stagioni, dando spazio al viaggio reale e spirituale dei figli di Ragnar, e mostrando il loro tentativo di ripercorrere le orme del padre, il cui fantasma e il cui nome continuano a echeggiare fino all’ultima puntata. Ed è proprio puntando a rendere onore a Ragnar che ciascuno dei personaggi principali prosegue il proprio cammino.

Prendendo strade diverse, i fratelli (quattro dopo la morte di Sigurd) finiscono per puntare a un destino comune: rendere onore alla memoria di Ragnar e sentirsi vicini all’eroe vichingo più temuto e rispettato di sempre. Il primo a compiere il proprio destino è Bjorn la Corazza (Alexander Ludwig), all’inizio della seconda parte della sesta stagione. Bjorn è l’unico tra i figli di Ragnar a essere riuscito a uscire davvero dalla sua ombra, dimostrando che il suo nome potrà essere ricordato tra gli uomini del nord e di tutto il mondo, tanto quanto quello di suo padre. La sua fine e la sua morte leggendaria in battaglia dimostrano però che anche la corazza più dura, dopo troppi colpi può lasciar passare le frecce. E così cade il figlio maggiore di Ragnar.

ivar vikings

Ma Vikings riserva anche agli altri una degna conclusione.

C’è un frammento di Ragnar in ciascuno di loro, e questo diventa chiaro nell’ultimo episodio (qui la nostra recensione), intitolato The Last Act. Fra tutti Ivar Senz’ossa (Alex Høgh), il personaggio psicologicamente più complesso e il cui destino sembrava essere quello di vendicare sua madre e poi uccidere i suoi fratelli, è il primo a capire che la sua strada è dove suo padre lo aveva condotto negli ultimi istanti della propria vita. Rimette in piedi una partita rimasta in sospeso molti anni prima con re Alfred ed esaurisce le sue ultime forze in una guerra che, più che per il possesso del Wessex e dell’Inghilterra, si scopre essere per esaudire l’ultimo desiderio di un uomo in punto di morte.

Dopo una lunga ricerca di sé, anche il terribile Ivar, dagli occhi blu come la notte, dalla potenza quasi mistica e dalla tanto decantata discendenza divina, muore in battaglia, ucciso in modo banale da un soldato qualunque. La sua vita si spezza, come le sue ossa e il suo percorso terreno si conclude con il sangue, che ne dimostra la vulnerabilità e la consapevolezza di essere tutt’altro che un dio e nient’altro che un uomo. Un sangue necessario per dare inizio a ciò che lo aspetta nel Valhalla, dove potrà finalmente sedere tra gli dèi, sentendosi parte di loro, e altrettanto necessario per far sì che il figlio concepito con Katja conosca il valore di suo padre.

hvitserk Marco Ilso

Così il destino di Ivar si divide una volta per tutte da quello di Hvitserk.

Incertezza e insicurezza sono sempre state le compagne d’avventura di Hvitserk (Marco Ilsø), così come la sua necessità di trovare se stesso e una missione in cui credere, distante dai suoi fratelli e lontano dalla loro ombra. Anche il suo percorso si conclude in Inghilterra ma, a differenza di Ivar, non è giunto il suo tempo di sedere nel Valhalla e mai giungerà. Il dubbio ha combattuto al suo fianco e, alla fine, si è guadagnato la vittoria, vincendo la battaglia contro le sanguinarie divinità vichinghe. Al loro posto, Hvitserk giura fedeltà al Dio cristiano, incarnando tutti i dubbi e le curiosità di suo padre verso ciò che è altro e dimora altrove.

Testimonianza di questo rimando studiato a Ragnar e al principio della serie è anche il nome cristiano che assume: Athelstan, come colui che aveva donato la sua vita a Dio e poi era stato sul punto di perdere la fede quando ogni cosa sembrava perduta, come il compagno di avventure che suo padre aveva tanto amato.

gustaf skarsgard

Infine, sono la strada intrapresa da Ubbe (Jordan Patrick Smith) e le sue scelte a concludere davvero la sesta stagione di Vikings e a dare il giusto epilogo a tutta la serie. Come tutti i figli di Ragnar, anche lui si dimostra suo degno erede, inseguendo la stessa voglia di ignoto che aveva segnato suo padre e riuscendo a raggiungere terre mai viste prima, proprio nel momento in cui la morte lo aveva quasi abbracciato. Non c’è più spazio per l’odio nella nuova vita che Ubbe cerca di creare tra i Mi’kmaq. Anche Floki lo sapeva e per molto tempo aveva combattuto affinché gli altri potessero comprenderlo. È significativo che a riunirsi siano stati proprio questi due personaggi, così come è significativo il loro ultimo dialogo.

Con i figli di Ragnar si avvia verso la fine l’era vichinga e si evolve in un mondo in cui per gli dèi non c’è più spazio. Così come il sole, di fronte al quale Floki e Ubbe siedono negli ultimi minuti, sorge e tramonta, il tempo dei vichinghi è giunto al termine, e lascia spazio all’alba di una nuova luce. La fine di Vikings testimonia non solo la conclusione della serie, ma anche e soprattutto il crepuscolo delle molteplici divinità vichinghe, sostituite dall’unicità di un Dio portatore di pace e amore, ma in nome del quale il suo popolo ha combattuto fin troppe battaglie.

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