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Il finale di Lost, raccontato da chi l’ha visto solo negli ultimissimi anni

Nella storia delle serie tv esistono un’epoca pre e una post Lost, e questo è un dato di fatto. Si tratta di una di quelle nozioni riportate sui libri che parlano di televisione che ormai si danno per scontate e assodate. Perché vivere sul serio Lost è stato, al tempo, una di quelle esperienze uniche nel loro genere. Una visione che ha accompagnato intere generazioni, formate da uomini e donne che, non contenti di assistere solo a un episodio a settimana, si rifugiavano abitualmente in quelli che erano tra i primi forum online a commentare con foga ogni episodio, a scambiare folli teorie con gli amici, ad analizzare minuziosamente i dettagli e gli indizi forniti dalle interviste degli autori o semplicemente per farsi nuove conoscenze. Un fenomeno di cui abbiamo parlato nel dettaglio e che potete approfondire nel dettaglio in questo articolo.

Chiudete gli occhi. Provate a ricordare il fomento provato il 23 maggio 2010 (31 maggio in Italia), quando l’epocale viaggio dei sopravvissuti del volo 815 giunse al termine: un capitolo imprescindibile della storia degli anni ‘2000. Una tipologia di esperienza oggi irripetibile in quanto a modalità: un evento dall’immensa portata.

Lost

Fatevi tornare alla mente l’emozione generale: un fomento senza eguali, la commozione, l’ansia… Come dite? Alcuni di voi non riescono a ricordare? Beh, a dirla tutta nemmeno io.

A fine maggio 2010 infatti molto probabilmente stavo studiando come una dannata per prepararmi all’esame di terza media e io di Lost, forse, non avevo mai sentito parlare. “E allora perché sei qui ad ammorbarci parlando nostalgicamente di qualcosa che tu non hai vissuto?” vi starete forse chiedendo. Oggi vi voglio raccontare la mia particolare esperienza con Lost e soprattutto con il suo finale, vissuta circa dieci anni dopo il suo primo rilascio, nell’epoca dello streaming, sulla fine del febbraio del 2021, quando la Lombardia oscillava tra l’essere una zona gialla e una zona arancione.

Ritrovandomi isolata e senza serie tv da vedere, durante l’inverno di quell’anno, decido di riprendere in mano quella serie tv che tanto mi stava piacendo ma che avevo interrotto sull’inizio della terza stagione quando uno spoiler ricevuto per caso sui social mi aveva tolto lo stimolo per proseguire la visione. Da lì è la fine e in poche puntate mi ritrovo catapultata in quel vortice potentissimo di curiosità ed emozione, di tensione e sentimento che è Lost. Per me è un viaggio continuo e senza possibilità di abbandono: vengo catturata dalla storia come mai prima d’ora e in poco tempo arrivo al tanto atteso finale di cui nel corso degli anni ho sentito qualsiasi tipo di giudizio, dall’elogio sperticato fino alla condanna più totale. Per l’occasione mi collego in watch party con un amico con cui avevo discusso e teorizzato sulle ultime stagioni, anche lui alla prima visione.

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Sono tesa. La sesta stagione, seppur con alcune tra le più belle ed emozionanti puntate, infatti non mi aveva convinto al 100% come invece successo per le precedenti. I tasselli da chiudere sono ancora parecchi e il destino dei personaggi ancora incerto. Che ne sarebbe stato di Jack, Sawyer, Hugo, Ben e gli altri? La morte? Un ritorno alla normalità? E poi, cos’è quella specie di “dimensione parallela” in cui tutti si ritrovano a vivere? Voglio essere fiduciosa. Io e il mio amico facciamo il conto alla rovescia da distanza.

Clicco play. Religioso silenzio.

Quel che ho provato al termine della visione penso che faticherò a scordarlo negli anni a venire. Un senso di vuoto misto a un piacevole tepore nel petto. Le lacrime agli occhi e uno strano senso di pace nel sapere che dei personaggi che in così poco tempo mi avevano dato così tanto in qualche modo erano riusciti a svolgere il proprio compito e a ritrovare la serenità. Non dimenticherò mai quell’occhio che si chiude lentamente così come si era aperto di scatto nel pilot della serie, il senso di fratellanza e di comunione respirato all’interno di quella chiesa, la consapevolezza che quel viaggio incredibile si era concluso.

Dopo un primo momento di generale euforia sono andata a fare ciò che faccio sempre dopo aver visto una nuova serie tv: ricercare pareri, recensioni e commenti per sapere cosa la gente pensasse del prodotto. Mai l’opinione degli spettatori mi è parsa più divisiva, da coloro che avrebbero difeso a spada tratta il finale da qualsiasi critica a chi si dichiarava tanto deluso dalla spiegazione finale da rinnegare completamente l’intera serie. Così mi sono ritrovata a riflettere, stavolta un po’ più a freddo, su un finale che mi aveva emozionata e tenuta in tensione come poche cose prima di allora, ma che certamente avrebbe potuto essere spiegato meglio con alcuni accorgimenti e che eclissava alcune questioni che avrebbero meritato più approfondimento. Leggerezze che in una serie del giorno d’oggi difficilmente sarebbero perdonabili, ma che acquistano senso se calate nel suo tempo.

Nonostante i suoi limiti, dettati dalla fretta e dai repentini cambi di genere della sesta stagione, a parer mio, l finale di Lost è davvero qualcosa di unico, proprio perché tocca in maniera differente ciascuno spettatore. E io, consapevole dei suoi difetti e del suo essere antimoderno, l’ho amato davvero tanto e con tutta me stessa.

Non sapete quanto io rimpianga di non averlo vissuto all’epoca del suo massimo splendore, quando mi sarei ritrovata a discutere per ore e ore sui forum (se solo avessi avuto all’epoca una connessione internet e la maturità per farlo). Non sapete quanto io rimpianga di non essermi presa il tempo di assaporare ogni suo singolo episodio settimana dopo settimana, anno dopo anno, per crescere con lei nel tempo, con la giusta cura e attenzione, godendomi il viaggio.

Ma non era destino e forse è stato un bene attendere di avere ventiquattro anni per entrare davvero dentro ai personaggi, per comprendere nel profondo le loro evoluzioni e le destinazioni finali a cui essi sono giunti. Per riuscire a comprendere nel profondo il vero significato della serie, che ruota non tanto attorno ai tantissimi misteri che hanno reso celebre la serie, quanto su personaggi incredibili e caratterizzati nel minimo dettaglio. Uomini e donne che hanno continuato a evolversi con coerenza e che hanno dato tutto loro stessi l’uno per l’altro in quella che non è solo la lotta del Bene contro il Male, ma anche per la propria anima.

The End

Personaggi che ci hanno insegnato che non è vero che “si vive insieme, si muore soli“, ma che i legami sono la vera spinta che ci porta a lottare e ad andare avanti, anche qualora tutto ci possa remare contro. Perciò, ben venga la svolta paranormale, ben vengano le soluzioni adottate per riunire in qualche modo tutti i personaggi, ben vengano i discorsi filosofici che vincono sulla razionalità.

Tuttavia, al di là degli elogi, so bene che non tutti gli spettatori sono d’accordo con questo genere di soluzioni, che in qualsiasi altra serie tv (soprattutto più contemporanea) mi avrebbero per prima fatto storcere il naso, e riesco a comprenderne il motivo. Perché, abituati come siamo a narrazioni seriali più lineari e coerenti, siamo portati per natura a trovare storture e buchi di trama laddove qualcosa fuoriesca dagli schemi. Ma Lost è Lost, ed è stata proprio a lei a insegnarci che nel suo mondo la fede vince molto più spesso della ragione. Una fede in questo grande universo che non fa altro che metterci alla prova, ma che al contempo ci indirizza lungo la strada che siamo destinati a percorrere. Una fede che forse su alcuni aspetti ci ha reso ciechi, ma che d’altra parte ci ha fatto volare con la mente come mai prima d’ora.

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Perché al di là di alcune incoerenze ed ellissi su spiegazioni e avvenimenti, ciò che più mi è rimasto dalla visione di Lost è un grande senso di appagamento, forse dato da un eccesso di empatia nei confronti dei personaggi, forse dalla creativa soluzione data da Lindelof e compagnia, che hanno amato davvero tanto la loro creatura, tanto da infondere in essa tutta la loro poetica, sperimentando scelte di narrazione che fino ad allora non avevano mai visto la luce in una serie tv.

Perché no, l’Isola non era il Purgatorio. No, i protagonisti non erano tutti morti sin dall’inizio della serie. No, non era tutto un sogno. Tutto è successo davvero. Una lotta tra bene e male, una lotta per capire chi i personaggi fossero veramente fino alla verità finale: le nostre esistenze acquistano senso solo se a fianco di chi per noi è stato più importante, un ultimo abbraccio prima di proseguire oltre, verso l’ignoto.

L’unica cosa che posso fare in questo momento, con solo più di dieci anni di ritardo, è dirti grazie, Lost, grazie per avermi aspettata per tutto questo tempo.

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