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La seconda stagione di True Detective è davvero così brutta?

Quando parliamo di True Detective a tutti viene in mente quella straordinaria prima stagione prodotta dalla HBO nel 2014. L’immagine di Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson) che guardano il cielo notturno delle Louisiana. Una scena conclusiva che trasmetteva una sorta di ottimismo. Sottolineata anche dalle parole di Rust: “La luce sta vincendo“. Un ottimismo che creava una grande rottura con l’atmosfera malsana e corrotta di tutta la prima stagione.

La seconda stagione ha cancellato quell’ottimismo. La serie ci ha trasferito dagli spazi aperti e paludosi della Louisiana a Los Angeles. Un luogo, una città, in cui le stelle sono soffocate dallo smog.

True Detective 2

Il pubblico non l’ha apprezzato. Le critiche principali si sono indirizzate verso la complessità della trama, la lentezza della narrazione e il clima esageratamente cupo e claustrofobico. Anche la scelta del cast ha sollevato lamentele. La seconda stagione è stata così ampiamente considerata come un fallimento che per quasi due anni si è temuto che il destino di True Detective fosse segnato. Fortunatamente lo scorso 13 gennaio abbiamo ricevuto in dono la terza stagione.

Ma la seconda stagione è stata davvero così negativa?

Perché abbiamo il sospetto che abbia ricevuto una condanna sproporzionata rispetto alle colpe. E che questa seconda stagione sia stata vittima del proprio successo, del proprio nome.

Con la terza stagione che sta già ricevendo i primi commenti positivi si corre realmente il rischio che la seconda scompaia letteralmente dai virtuali “libri di storia” delle serie tv. Ma non merita questo destino. Era una serie tv davvero ambiziosa. E, sì, complessa. Sostenuta da recitazioni di altissimo livello e con una regia decisa, variegata ma comunque esperta.

Il quadro di corruzione politica che ha saputo dipingere risulta oggi ancor più credibile, realistico ed efficace di quanto già non fosse nel 2015.

Breve recap. Colin Farrell nei panni di Ray Velcoro è un poliziotto in una città fittizia della California chiamata Vinci. Ray ha stretti legami con il criminale Frank Semyon (Vince Vaughn). Le loro vite sono sconvolte dall’assassinio di un manager doppiogiochista di nome Ben Caspere. Nel caso è coinvolto anche l’ufficiale di polizia Paul Woodrugh (Taylor Kitsch) oltre all’investigatrice Antigone Bezzerides (Rachel McAdams). Da qui la storia si dipana tra treni ad alta velocità, sparatorie in laboratori di metanfetamine e festini dell’élite politica.

True Detective 2

Valutare la seconda stagione diviene più semplice e oggettivo se si mettono da parte le aspettative e la memoria della prima. Questo secondo capitolo di True Detective è, prima di tutto, molto più ambizioso. Esplora e indaga ancora una volta il fallimento e l’inadeguatezza della mascolinità moderna. Lo fa però attraverso una lente diversa, grazie alla quale è possibile sottolineare maggiormente le convenzioni che si annidano dietro il mistero dell’omicidio. Convenzioni che sono rappresentative di un dramma urbano trasversale a più personaggi.

Il primo True Detective era caratterizzato da due forti protagonisti: una coppia di detective indimenticabili ossessionati dallo stesso caso. La seconda stagione soppianta questa relazione per fornirci un ritratto più ampio. L’affresco di una città corrotta vista attraverso gli occhi di quattro personaggi che spesso interagiscono a malapena tra loro. Quando l’assassinio di Caspere è risolto, la maggior parte degli spettatori ha già però da molto perso il filo degli eventi. E si è disaffezionata alla serie. Questo perché era difficile accettare che la storia non riguardasse realmente chi avesse uccise Ben Caspere.

Ma uno degli aspetti eccellenti è proprio il fatto che il cuore della seconda stagione di True Detective, il mistero, fosse solo un pretesto. Uno sfondo per affrontare invece le vere tematiche che la serie voleva narrare.

Nic Pizzolatto ha deciso di presentare al pubblico un mondo nel quale tutti i personaggi sono stati plasmati e condizionati da un trauma.

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Partendo dall’infanzia di Semyon fino alle esperienze di combattimento di Woodrugh. Dal passato oscuro di Bezzerides, all’omicidio da parte di Velcoro dello stupratore della moglie. Molte delle critiche rivolte alla seconda stagione sono focalizzate sulla mancanza di un mistero “irresistibile”. Ma è evidente che Pizzolatto tentasse qualcosa di più ambizioso.

La seconda stagione è costellata di straordinarie riprese aeree delle strade di Los Angeles. Quelle strade però, come le vicende dei personaggi, non sono collegate tra loro in modo significativo. Non quanto il disagio che le attraversa. È una visione di Los Angeles in cui il dolore e la disperazione sono ovunque. Dolore e disperazione che premono sulle persone fino a quando queste non si spezzano e crollano. L’assassinio di Caspere è quindi solo un catalizzatore. Le lealtà e le virtù sono fugaci. Anche la giustizia è spesso differita, quelle rare volte che è presa veramente in considerazione.

Se torniamo a parlare del cast è doveroso ammettere che la recitazione di Vaughn non ha mai ricevuto il giusto merito. È infatti perfettamente funzionale ai dialoghi di Pizzolatto. Le scene con Farrell, poi, sono alcune tra le migliori dell’intera serie. Entrambi i personaggi non sono in grado di sfuggire al loro passato. Sono uomini con sempre meno umanità a cui aggrapparsi, null’altro che avatar della mascolinità fatiscente che rappresenta il nocciolo centrale del lavoro di Pizzolatto.

Vogliamo parlare del personaggio di Woodrugh? Si potrebbe definire in modo chiaro già partendo dai suoi problemi: stress post traumatico, omosessualità repressa, false accuse. Ma Taylor Kitsch riesce a dargli una profondità e sottigliezza unica mediante uno straordinario lavoro corporeo e recitativo. La tensione nella sua mascella e nel suo corpo mostrano la drammaticità di un uomo che si sforza di essere esteriormente forte per nascondere ciò che è null’altro che una debolezza interna.

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Anche la qualità della produzione è stata decisamente trascurata e sottovalutata.

Le tecniche e la maggior tecnologia utilizzate nella seconda stagione di True Detective sono state semplicemente ignorate da critica e pubblico. Ovviamente non c’era la mano e soprattutto l’occhio di Fukunaga dietro la camera, che aveva invece diretto tutta la stagione 1. Ma è sostituito da una fila di registi, Justin Lin, John Crowley, Miguel Sapochnik per citarne alcuni, che hanno portato la loro esperienza e qualità nella serie. Quasi tutta la critica invece sembra aver preventivamente respinto la possibilità di riconoscere quelle qualità. Ossessionata da quanto la seconda stagione di True Detective fosse differente dalla prima.

Sicuramente la prima stagione è stata migliore. Un gioiello imperituro nella storia della televisione. Ma questa seconda stagione è comunque un prodotto di alta qualità che purtroppo non ha avuto la possibilità di sfuggire dall’ombra della precedente. Proprio come i personaggi di cui racconta è rimasta intrappolata in una insuperabile e triste oscurità.

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