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È un’ombra incombente quella che ci perseguita. Di una densa oscurità intrisa delle note di Far from Any Road degli Handsome Family. Poi la storia cambia, per ben due volte. Siamo testimoni della lenta e intensa ballata di Leonard Cohen che introduce la perdizione lungo una strada illuminata solo dai fanali di un auto. Nevermind è il biglietto da visita con cui la seconda stagione di True Detective si presenta a noi. Per finire con Death Letter con cui Son House apre la terza stagione, quella di Mahershala Ali. La foresta e il tormento, la volontà di riportare tutto alle origini della prima stagione, come a chiudere un cerchio.

I volti e insieme le storie dei protagonisti vengono tagliate, dimezzate dall’improvvisa apparizione del contesto. Immagini su immagini, immagini nelle immagini, come storie che si sovrappongono creando una trama che si allarga, si nutre di ogni suo elemento, naturale e artificiale, cosicché nulla possa sembrare casuale. La natura, con i suoi boschi e le sue montagne, si scontra con il traffico cittadino, con l’intersecarsi di strade che vengono percorse e che poi d’improvviso si interrompono negli occhi del protagonista.

Sono gli occhi a dare lucidità, vivida spontaneità e dinamicità al progressivo avanzare della sigla di True Detective (se vi interessa l’ argomento vale la pena di leggervi questo).

In quella della prima stagione riusciamo ad avere uno sguardo sulla realtà della trama. Nell’esatto momento in cui l’occhio della sigla, che in un certo senso potrebbe essere quello dello spettatore insieme a quello del narratore o dello stesso protagonista, si apre, vediamo parte della soluzione di ogni stagione.

True detective

Ritroviamo la stessa metafora anche nella terza stagione. Questa volta a essere osservato è un paesaggio, con ruscelli d’acqua e colline. Lo sguardo è il modo più reale ed efficace per raccontare visivamente una storia e le sigle di apertura di True Detective utilizzano l’astratto delle figure amalgamato con il concreto dei paesaggi e dei volti dei personaggi.

True detective

Ognuna delle tre sigle rappresenta il raffinato riassunto delle storie raccontate. Vediamo il contatto tra tutti gli elementi presenti in esse, ci vengono mostrati uno ad uno, l’uno sopra l’altro, a volte li ritroviamo all’interno di altri elementi come nell’esempio dell’occhio che si apre su di una scena.

La sigla della terza stagione si colora di rosso, utilizza lo stacco cromatico dal cremisi al grigio polvere in una sorta di collegamento con il contesto industriale delle fabbriche della prima stagione e dell’intensità emotiva della seconda.

True Detective crea con le intro delle opere d’arte prima ancora di trasportarci nel vero contesto della stagione. Vediamo come anche le tecniche utilizzate sono le stesse per tutte e tre. La sovrapposizione delle immagini è forse l’escamotage più importante per la resa visiva.

True Detective – stagione 1

Inconsapevolmente siamo tirati dentro una sorta di loop che non lascia riflettere, che propone immagini e tagli netti che descrivono eventi e brevi attimi della stagione. Il contesto si inserisce nei volti e nelle sagome, diventa sostituto di una parte della persona lacerandone l’ologramma visivo. Non viene rispettata la soglia delle dimensioni, si mischiano tra loro formando così spiragli tridimensionali all’interno di altre immagini tridimensionali.

True detective

Tutto è costruito per essere dipendente da tutto il resto. Nulla rimane solo se non la soluzione finale che però diventa la somma di tutto ciò che vediamo durante le stagioni.

Ogni nuova visione della sigla, puntata dopo puntata, acquista significato e importanza. Diventano fondamentali elementi che prima sembravano non aver valore e il brano che accompagna le immagini raccoglie l’attenzione dello spettatore e ne guida i movimenti.

Saltare la sigla significherebbe perdere un’opera d’arte, nel caso di True Detective significherebbe perdere anche gran parte del fascino della serie tv stessa.

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