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Saw X – La Recensione: ancora una volta giudice, giuria e carnefice

Voglio fare un gioco con te

– Saw l’enigmista

Nel 2004, un giovanissimo e ancora sconosciuto James Wan arrivava in sala con il suo Saw l’Enigmista, un film horror a basso budget dalla trama semplicissima e senza nessun tipo di aspettativa. Quella pellicola, sulla quale nessuno avrebbe probabilmente scommesso un centesimo, si sarebbe presto stagliata nel panorama cinematografico come un cult horror per le generazioni a venire dando vita a una delle saghe più longeve e feconde del suo genere. Certo, non tutti i capitoli della saga di Saw valgono la pena di essere ricordati. Ben presto la formula inventata da James Wan ha finito per stagnarsi su cliché da manuale e sull’elemento sanguinolento senza capo né coda. Ma quel primo, indimenticabile Saw ha davvero gettato le basi per un nuovo filone horror, un genere splatter reinventato in chiave psicologica in cui il killer di turno non è il solito assassino spinto da istinti omicidi incontrollabili ma un uomo normalissimo che ha preso una decisione drastica per punire il sistema.

Così come Walter White diventa un signore della droga come ultimo, sprezzante atto di ribellione nei confronti di chi non l’hai mai rispettato, così John Kramer decide di assumersi il ruolo di giudice, giuria e carnefice. Chi non apprezza il dono della vita viene dunque punito da colui che alla vita dirà addio molto presto, senza possibilità di salvezza. I primi ad affrontare la giustizia crudele di Kramer sono allora Lawrence Gordon, oncologo di Kramer e traditore incallito, e Adam Faulkner, giovane fotografo d’assalto. Entrambi si svegliano chiusi in un bagno con le caviglie legate a dei tubi. A loro disposizione hanno seghetti e un registratore, mentre al centro della stanza il cadavere di un uomo morto annega nel sangue. Il resto è storia.

Dopo la parentesi ambiziosa ma infelice di Spiral, Saw torna a parlare del suo protagonista indiscusso con una storia che strizza l’occhio al sentimentalismo ma non dimentica le sue origini.

Saw X
Saw X (640×427)

Tobin Bell torna nei panni dell’Enigmista. Più vecchio e stanco, senza aggiustamenti in CGI, ma ancora in grado di affascinare il pubblico con un’interpretazione pacata, lineare e studiata. Come un Leonardo da Vinci dell’orrore, John Kramer elabora e crea le sue macchine mortali con la solita inventiva e stavolta la spinta all’azione è ancora più personale. Saw X si piazza come un interquel tra il primo e il secondo capitolo della saga originale, con John ormai sempre più scisso tra il suo alter-ego Jigsaw e la sua esistenza di malato terminale. Quando una cura sperimentale promette di poterlo guarire, Kramer si affida con cieca ingenuità alla dottoressa Cecilia Pederson e viaggia fino in Messico pe sottoporsi alla costosissima operazione. Grato e felice, John è pronto a ripartire per gli Stati Uniti dove, forse, una volta realmente guarito avrebbe anche potuto appendere il giocattolo al chiodo e iniziare una nuova vita. Ma il sogno di John si scontra con la realtà dei fatti e l’uomo capisce la spietata truffa di cui è stato oggetto.

Solo che John Kramer non è affatto un uomo normale ed ecco quindi che è il momento di far uscire l’alter-ego fuori dal cilindro per sporcarsi un po’ le mani. Nuovi marchingegni vengono quindi costruiti (sempre in un arco di tempo imprecisato e inverosimilmente rapido) e le vittime sacrificali raggruppate, pronte a essere immolate di fronte al tribunale vivente di Jigsaw. Le sadiche e truculente prove del killer sono pronte a partire e, come sempre, una scelta viene concessa prima che il gioco inizi: vivere o morire. Ma vivere, nel mondo di John Kramer, implica un sacrificio necessario per dimostrare di meritare il dono della vita stessa. Uno dopo l’altro i membri del finto team della dottoressa cadono come mosche, tra arti amputate e budella in piena vista.

Saw X
John Kramer (640×359)

Eppure lì dove il decimo capitolo avrebbe potuto piazzarsi come l’ennesimo sequel non richiesto, Saw X riesce invece a bilanciare splatter e sentimento.

Jigsaw, seppur annoverato nella schiera di killer da cinema horror accanto a nomi illustri come Freddy Krueger e compagnia bella, non condivide quell’aura sovrannaturale e metafisica. Anzi, è proprio il suo essere completamente umano ad averlo reso un personaggio comprensibile nelle sue scelte efferate. Freddy, Jason e gli altri sono mostri da cinema, killer inumani che uccidono senza una reale motivazione ma in virtù di quell’impulso che si potrebbe riassumere con la famosa frase “e che mi disegnano così”. Per Jigsaw la faccenda si fa molto più complessa. La strada che Kramer, uomo malato di cancro e solo, ha deciso di percorrere non è per nulla condividibile ma è “giustificabile”. C’è una logica arbitraria nella mente di John per cui male e bene sono concetti ben definiti e divisi tra loro. Non esistono zone di grigio o di ambiguità. O sei dentro o sei fuori, o meriti di vivere oppure devi morire. Per questo motivo, fedele a questa ideologia malsana, chi sopravvive alle sue prove sopravvive davvero. Non c’è trucco, almeno fino all’avvento di Nick Hoffmann che cambia le regole del gioco tradendo la filosofia del suo maestro.

In questo Saw X l’attenzione torna a concentrarsi sull’uomo John, sulla sua psiche e sulle sue motivazioni inserendo un’ulteriore tassello della sua storia personale all’interno del franchise. Il film procede lento, soffermandosi sia sui momenti di riflessione del protagonista sia sui giochi sanguinosi ai quali sottopone le sue vittime. Anche in tal senso, Saw X è un ritorno alle origini. La regia frenetica dei capitoli successivi al terzo e il montaggio serratissimo lasciano il posto a una regia che si muove lenta, placida e sicura di sé. Esattamente come lo è John Kramer, mente machiavellica che, anche quando messo all’angolo, ha sempre un’ultima carta da giocare.