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La Casa de Papel non è la storia di una rapina. È l’inno di una rivoluzione

Siamo fratelli e siamo banditi. E l’unica cosa che conta per i banditi è non tradire mai i propri fratelli: è questo il principio fondamentale de La casa de Papel.

Andrés si siede. E’ sempre elegante, in quel completo. Ci tiene alla sua immagine. Ci tiene in modo maniacale.

Per lui non sempre sono importanti le cose giuste, spesso perde la bussola nel proprio ego. Ma nel buio della villa, col camino che scoppietta nel silenzio, tutto gli sembra così chiaro. Versa il vino al Professore, poi si siede. Versare il vino, versare il sangue. Andrés gli sta dicendo questo, ma il Professore non è d’accordo. La sua idea di Resistenza non contempla versare il sangue. Andrés è poco esplicito nel dire quello che pensa, ma sa farsi capire. Soprattutto dal Professore. Hanno un linguaggio tutto loro fatto di gesti, quello che si crea da due amici che si rispettano come fratelli.

Il Professore gli lancia uno sguardo, per far intendere che ha capito. Il sorriso di risposta di Andrés vuole essere rassicurante. Ma lui è un tipo sinistro, e quando parla la sua voce rimbomba nella grande sala dove i due hanno consumato la loro ultima cena.

Domani inizia tutto. – esordisce Andrés.

Dove vorrà arrivare è già chiaro. Vuole parlare della lotta, della causa, un’ultima volta prima di andarsene in trincea. Il Professore posa il bicchiere pieno di vino rosso senza berne: “nessuno morirà, non sarà versato il sangue.”

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Voglio che tu mi faccia una promessa.- Continua Andrés, serio – Se le cose dovessero mettersi male… devi scappare. Non rimanere ad aspettare nell’hangar.

Il Professore scuote la testa: – Niente andrà male.

Sai quanto me che può andare a finire male. Vado lì dentro solo se mi prometti che, se le cose andranno a puttane, non ti lascerai prendere.

Il Professore accenna un sorriso timido, come sempre quando deve dire quello che veramente pensa.

Non te lo posso promettere.– Non può, non sarebbe in grado.

Non è quello che ha detto agli altri, non è una rapina. Ma una ribellione e una guerra contro il mondo. Loro due sono gli unici che lo sanno, gli unici che non stanno facendo tutto questo per soldi. Il Professore non potrebbe mai, lui ha un’idea così forte da dedicarci tutta la vita. E Andrés… Non potrebbe mai farlo per soldi. Comunque vada, lui non avrebbe così tanto da vivere da potersi godere tutto quel denaro.

O me lo prometti adesso o questa notte stessa rimani senza capitano. Tu mi conosci – Incalza Andrés, ma con un tono talmente sereno che sembra quasi già in pace con se stesso. Andrés è un bastardo, e un ladro, e un narcisista. Ma anche un uomo che morirebbe per il suo onore. E che soprattutto morirebbe per un amico.

Niente andrà male, Andrés. – Risponde il Professore, dopo che i loro sguardi si sono detti altre mille parole silenziose – Siamo la Resistenza, no?

Un’idea, una sola idea per cui sacrificare l’intera vita. Non tutti a questo mondo possono dire di aver avuto un dono così grande e allo stesso tempo una maledizione così ineluttabile. Un’idea, più forte di ogni delusione, di ogni difficoltà, di ogni fallimento.

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Il nonno del Professore aveva fatto la resistenza coi partigiani, in Italia, per sconfiggere i fascisti. E da lì quell’idea si era radicata così forte in quell’uomo che l’aveva tramandata al nipote.

Ma i tempi cambiano. Oggi il nemico è diverso, è ammantato di una luce che lo rende invisibile. Ma l’idea, la Resistenza, è rimasta. E il Professore ha passato la vita a preparare l’unica battaglia in cui mostrerà come duemila miliardi di banconote non sono che carta straccia a cui l’oppressore dà il valore della vita.

Suo nonno in Italia gli aveva insegnato una canzone. E poi lui l’aveva insegnata ai suoi partigiani.

Una mattina… mi sono alzato. – Il Professore ha un filo di voce – O bella ciao, o bella ciao, o bella ciao ciao ciao… una mattina… mi sono alzato…

Andrés chiude gli occhi, come se quel suono, quella musica, lo avessero colpito nel profondo. Quando una causa diventa tua, tu gli appartieni. E non c’è parte di te che possa resistere al suo richiamo.

I due ora cantano in coro. Due voci diverse, una timida e flebile e l’altra profonda e tetra:

-...e ho trovato l’invasor… O partigiano, portami via… O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao… O partigiano, portami via e mi sento di morir…

La voce dei due si spegne, inghiottita dal silenzio della grande sala. C’è poca luce, i due in pratica sono ombre che cambiano forma a seconda delle lingue del fuoco. Il Professore abbassa lo sguardo, il canto s’è sopito di nuovo. Mille pensieri, troppi. Ricordi che ti portano a non credere perché è tutto così grande e tu sei così piccolo. Forse ti illudi, e avresti bisogno di qualcosa che ti dia forza.

Me è questo il ruolo di Andrés.

Andrés, creatura morente. Un uomo spietato, con pochi mesi da vivere, pronto a combattere la sua più grande battaglia prima di cadere nell’oblio. Il capitano di questa impresa suicida.

La sua voce, ora sola, rimbomba nel salone nel pronunciare il suo ultimo e più grande desiderio.

– E sei io muoio… da partigiano… O bella ciao ciao ciao….

La forza, eccola. Quella che il Professore spesso sente mancare. La forza di cantare viene da un uomo che sta morendo. E’ un’immagine così brutale da togliere il sonno.

I due, ancora insieme, riprendono a cantare quelle parole.

E sei io muoio da partigiano, tu mi devi seppellir…

Calici alzati, ancora pieni di sangue. Ma ad Andrés non basta, si mette in piedi, si avvicina e la sua voce è ancora più violenta.

E seppellire… lassù in montagna…

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Il Professore fa un sorriso timido, ha imbarazzo. Ma poi vede Andrés in piedi, serio, con quegli occhi cupi. E si alza anche lui. Ancora insieme, cantano.

O bella ciao, o bella ciao, o bella ciao ciao ciao…

Il Professore cammina, diretto verso il suo amico. Sono uno di fronte all’altro e la loro voce ancora spezza il silenzio delle stanze vuote.

E seppellire, lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior!

Alla parola “bel fior” Andrés lo prende un po’ in giro, dandogli una carezza. Un po’ di sarcasmo, tanto per ricordare che è sempre il solito bastardo, in fondo.

E seppellire, lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior!-

Una mano sulla nuca l’uno dell’altro. Gli sguardi ora hanno perso ogni ironia, ogni debolezza. Sono pieni di malinconia. Sembra di sentire i tamburi di guerra nella sala, a battere il tempo alle loro parole cantate.

O partigiano, portami via, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao… tutte le genti che passeranno, mi diranno che bel fior! E questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà!

Una mano sulla spalla dell’altro, a cantare come sopra un palco immaginario. O come davanti ad un plotone di esecuzione. I calici di sangue sono alti.

– E questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà!

Il canto si spegne, di nuovo. I due amici si guardano negli occhi. Un abbraccio.

Il loro tempo è scaduto. La casa de Papel parte da qui.

Un inno a non mollare! La sete di vendetta! La voglia di non mollare mai! Tutto ciò è la Casa de Papel!

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