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Poor Things – La Recensione: la linea sottile tra distopia e attualità

Travolgente bellezza visiva e sfrontatezza sono le fondamenta del nuovo film Poor Things. La pellicola è firmata Yorgos Lanthimos, ed è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1992 scritto da Alasdair Gray. Arrivato nelle sale questo 25 gennaio, è già Leone d’oro al miglior film all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e candidato a ben 11 statuette per gli Academy Awards. Poor Things (Povere Creature!) è un film che possiamo già definire storia cinematografica, e fruirne sarà come sognare ad occhi aperti.

Un po’ fiaba, un po’ incubo. Questa produzione, che a tratti ricorda un’opera video artistica sofisticata e disturbante, rispolvera le opere più intriganti del regista. Proprio come la sua protagonista, la pellicola grida la volontà di scardinare il già visto, la voglia di esplorare ciò che è sconosciuto. L’arroganza di imporsi a canoni e regole a cui ormai siamo stufi sottostare.

Poor Things – Una donna, una tela immacolata

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Poor Things si apre con un suicidio e la promessa di un viaggio nell’estro di Lanthimos che solo chi è già affezionato al regista può prevedere dalle prime scene. Il Fish Eye, accompagnato da continui zoom in e out, ci pongono nella condizione di osservare da uno spioncino una casa fuori dal tempo. Veniamo subito catapultati nella storia e facciamo la conoscenza di Bella, Victoria per gli amici del passato. La donna si è tolta la vita condannando anche il figlio che portava in grembo.

Viene tuttavia riportata alla vita dal dottor Godwin Baxter (uno straordinario Willem Dafoe), che si fa chiamare umilmente God, letteralmente “Dio”. In diverse sequenze, che ci riportano agli albori del cinema di Frankenstein, scopriamo che il dottore, vittima e carnefice di esperimenti disumani, ha trapiantato il cervello del feto in quello di Bella. Così facendo, ha reso la donna al tempo stessa madre e figlia di se stessa.

Bella è una tela bianca, un corpo vergine. I capelli le crescono in fretta e impara alla svelta, desiderosa di conoscere il mondo all’esterno. Eppure totalmente veicolata dal volere del suo Dio (God), che le offre solo sbiadite tonalità di grigio. Condannandola a una visione unilaterale che non può restituirle emozioni. Tuttavia, il mondo della giovane donna si colora in fretta grazie alla sua intraprendenza. Iniziatasi da sola al mondo del sesso con la masturbazione e messa al corrente di quanto la pratica sia “mal vista” dalla società, Bella trova il conforto e il piacere nelle mani (letteralmente) di Duncan Wedderburn. Duncan è un avvocato donnaiolo che si propone di spiegarle il mondo. Peccato che anche la sua versione sia censurata da un’idea patriarcale che non lascia spazio alla libertà.

Potere, controllo e sesso

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Comincia dunque un viaggio in un’epoca senza tempo, un po’ barocco e un po’ futuro, costruito egregiamente grazie a una CGI volutamente esasperata che ci piace tantissimo. Duncan emerge poco alla volta per quello che è. Da emblema di potere, che esercita su Bella vantando le sue doti in termini di prestazioni sessuali, a un agglomerato di regole, convezioni e ideologie che vedono il tutto confluire in insicurezze e controllo. “Non innamorarti di me“, le dice, già consapevole di essere lui stesso in una condizione di dipendenza affettiva. Bella non lo vuole, o meglio lo desidera sessualmente ma al tempo stesso lo odia. Sempre più consapevole della sua forza, del suo corpo e delle sue possibilità. Quelle che le vengono nuovamente sottratte quando la rapisce e la imprigiona sulla barca.

Lanthimos ci mostra, non a caso, l’estremizzazione dei temi legati alle relazioni e al piacere. Il cibo diventa per Bella piacere estremo, incapace di fermarsi di fronte a quei sapori di cui era stata privata. L’alcool è la perdita di controllo, l’amore è il possesso, il sesso è l’emozione. Bella ha una mente vergine, un foglio bianco privo di esperienze condizionanti. Ella vive le emozioni senza una base da cui attingere e pone domande che per noi sono a tratti scontate, a tratti proibite.

La rappresentazione delle emozioni

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Uno degli aspetti che più ho apprezzato in questa nuova opera di Lanthimos è stato sicuramente la sua capacità di rappresentare le emozioni. Tema astratto, viene traslato sullo schermo grazie a musiche e colori. Finché Bella risiede nelle mura di God, un’arpa delicata accompagna quella fiaba sbiadita e macabra che prende vita tra mutilazioni e cadaveri. Tuttavia, man mano che Bella acquisisce nuove emozioni, tra queste rabbia e tristezza, i colori prendono vita sullo schermo. Ma la musica è sempre più disturbante. Quasi come a rappresentare il pacchetto completo della vita, fatto di gioie e sorprese, ma anche dolore.

Bella viene iniziata al dolore da un passeggero della nave, e tenta di colmarlo donando i soldi di Duncan ai più bisognosi. Ingenuamente ingannata, si ritrova sul lastrico con l’uomo, ormai totalmente insofferente di fronte alla realtà: la donna non è più manipolabile. Esperienze e conoscenza l’hanno resa autonoma. Bella vuole sapere sempre di più, non le basta più la versione del suo manipolatore. La protagonista vuole assaporare la vita, scoprire il suo corpo. E così riprende di nuovo i suoi vizi e ne dispone a suo piacimento, Fa sesso per soldi e con quei soldi compra un dolce, appaga i suoi sensi, pensa a sé stessa e al suo piacere. Lanthimos le fa fare cose immorali, ma lei è così determinata che noi non la giudichiamo. Ma la società, che in questo caso è rappresentata da Duncan, sì.

Vizi, violenza e virtù

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La donna si ritrova quindi in un bordello, che prende vita in un ambiente che definirei a metà tra lo stile di Tim Burton, Del Toro e il ritorno al Freak Show. Bella si colloca, con il suo bagaglio di conoscenze ancora povere, in un ambiente machista. Qui poco importa se l’uomo scelto la aggrada o meno, lei deve soddisfarlo e farlo sentire anche “formidable“.

Scardinando completamente i preconcetti della “polite society”, Bella non prova vergogna perché non si cura del giudizio altrui. Crea le basi per nuove ideologie, decide lei ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ascolta le opinioni altrui ma rimane ben salda su ciò che vuole. Ancora più ricca di esperienze, una Bella ormai donna e matura fa ritorno al capezzale del creatore. Qui chiederà verità e abbandonerà God e il povero sventurato promesso sposo, per far ritorno alla vita passata. Ancora desiderosa di saperne di più sul mondo circostante. Assaporato ancora una volta il gelo delle catene, Bella fa finalmente ritorno a casa. Quelle stesse catene che l’avrebbero non solo relegata alla casa del marito Alfie, ma che l’avrebbero privata di quella che viene definita la sua colpa. Il clitoride. La sua sessualità.

Poor Things, un po’ bambola un po’ povera creatura

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Poor Things

“Trovo che il tema sia contemporaneo in ogni suo aspetto. Solo la forma è il romanzo gotico, d’epoca, ma per parlare di temi moderni”. Con queste parole di Lanthimos a Venezia80, tutto ciò che abbiamo visto acquisisce un senso, sia nella sua costruzione cinematografica e visiva sia nel significato. Divertente, irriverente e provocatoria, la fiaba dark del regista ci regala 2 ore e 20 di piacevole intrattenimento. Alternato tra risate e disgusto, a tratti stupore. Il film attraversa, grazie a una scrittura eccellente, un percorso che tocca temi distinti, dalla filosofia alla metafisica.

Bella nasce e cresce priva di qualsiasi influenza. Tuttavia, anche lei è vittima di un finale che la vede in parte vittima della società. Lo capiamo quando inizia a dire “empiricamente parlando“, e capiamo che anche il suo destino tenderà in quella direzione. Tutto nella pellicola è curato nel minimo dettaglio, gli stessi abiti finemente pensati dal costumista Holly Waddington vanno da semplici babydoll bianchi ad abiti a sbuffo e mutandine vittoriane. Elementi che segnano l’abbandono dell’innocenza di una donna che sta scoprendo il mondo e se stessa. Bella oserà sempre di più, i suoi abiti saranno sempre più estrosi man mano che acquisirà sicurezza e consapevolezza. Infine, Emma Stone (nominata agli Oscar anche quest’anno) riempie lo schermo, dà vita a un personaggio che dell’empowerment farà le sue fondamenta. Ma che, tuttavia, non conoscerà mai il sentimento dell’amore, o almeno non quello convenzionale.

Signore e Signori… Yorgos Lanthimos

Poor Things

Non serve che io lo dica esplicitamente quanto questa pellicola mi sia piaciuta, ma è quasi impossibile per me non spendere qualche parola per il suo regista. Chi è fan di questo artista dalla mente sorprendentemente creativa, avrà sicuramente trovato tutti i rimandi che il regista spesso utilizza per manifestare trame intricate. Non parlo solo dei tecnicismi registici. Di fatto l’utilizzo di tecniche come il fish eye, già apprezzato ne La Favorita, oppure i movimenti di camera fissa (Il Sacrificio del Cervo Sacro) sono uno dei suoi marchi distintivi. Ma Lanthimos gioca con le musiche, con i colori e soprattutto con la sessualità e l’immoralità (pensiamo solo a Dogthoot) e la fusione corpo umano-animale. The Lobster è un chiaro rimando.

Insomma, andare a vedere un suo film è una incognita. Dalla sala si esce sopraffatti, stanchi, ma pieni. Il film non termina con i titoli di coda, ma viene a casa con noi in riflessioni che non riusciamo a non porci. Il cinema, di fatto, ha tante forme. Ma la visione distopica e irreale di Lanthimos ci piace da morire.