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7 Film di cui non sapevi di aver bisogno

I film da vedere non sono mai troppi. Dopo averne visto uno, si vuole subito un altro. E’ una droga, qualcosa di cui non puoi fare a meno. Alcune pellicole vivono nell’attimo esatto in cui le guardi per poi cadere nel dimenticatoio, altre invece ti possiedono rimanendoti attaccate addosso. Non sai spiegare cosa sia accaduto, ma dopo aver visto quel film qualcosa dentro di te è cambiato. Ti ci sei rivisto o, peggio, ti sei imbattuto in te stesso senza volerlo. Hanno scavato dentro di te e hanno tirato fuori sia il marcio che il bello, rimettendoti in vita. Hanno reso poetica la tua insicurezza, i tuoi punti deboli. Hanno reso quello che non va in te una storia, e da quel momento farne a meno diventerà impossibile. Non sai neanche dire come tu li abbia conosciuti, ma una volta fatto il tuo coinvolgimento è stato immediato. Non te ne sei mai distaccato, vedendo in questi la celebrazione di un qualcosa finalmente spiegato come avresti voluto dirlo tu a parole. Il regista sembra averti chiamato di notte, nel tuo momento più vulnerabile, per chiederti i fatti tuoi, e alla fine tu – un po’ perché non ce la fai più a star zitto e un po’ perché dopo le due di notte non accade niente di buono (ciao Ted) – hai rivelato tutto. Non sai se troverai mai il rimedio giusto per come ti senti, ma sai che quel film ha spiegato quel che provi come mai avresti potuto spiegare tu. Perché certe pellicole portano addosso il peso di conoscerti come neanche mai tu stesso ti sei conosciuto. E per questo, a volte, guardare un film significa conoscersi un po’ di più.

Da Il Laureato a The Mood for Love: 8 film di cui non potrai più fare a meno!

1) Vivre Sa Vie – Godard

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Jean-Luc Godard nasce nel 1930 e decide, trent’anno dopo, di ucciderci tutti con Vivre Sa Vie. All’apparenza fredda e distaccata, la pellicola del regista della Nuovelle Vague racconta in modo freddo l’apatia di un mondo che sembra girare al contrario. In modo quasi futuristico ed estremamente attuale, Nana – una ragazza francese e indipendente – diventa il mezzo attraverso il quale Godard studia e analizza tutto quello che ruota attorno alla donna, sviscerando temi come l’indipendenza, la freddezza del prossimo, l’incapacità di riuscire a fidarsi e la voglia di essere sempre lì dove non si è. Nana è una ragazza che cerca se stessa ma che, al tempo stesso, scappa non appena si ritrova. Il suo istinto, presto diventato la sua ancora di salvezza ma anche il suo peggior nemico, la porta a farsi trascinare dal vento in qualsiasi situazione, trovando in queste sia la libertà che la prigione. A differenza di molte pellicole dell’epoca, Vivre Sa Vie riesce a conservare dentro di sé una nota attuale, estremamente vicina al telespettatore, sempre pronta a intervenire per ricordarci che non importa come ci sentiamo: negli anni ’60 si sentivano nello stesso modo. Certi stati d’animo non conoscono epoche.

2) Melancholia – Lars Von Trier

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Lars Von Trier ha sempre raccontato l’esistenza come un rischioso e oscuro salto nel buio, la consapevolezza che qualcosa – anche se non sai quando – porterà tempesta nella tua vita. All’interno di Melancholia questa certezza si fa più viva che mai costringendoci a comprendere che spesso siamo più che consci della tragedia che ci sta capitando e per questo ci prepariamo ad accoglierla. Sappiamo che tutto arriverà al suo totale disfacimento e, impauriti di non poter più rivivere qualcosa, cerchiamo in tutti i modi di affrontarla, provando goffamente a far qualcosa a riguardo. Melancholia si divide per questo in due parti: la prima vede protagonista una parte di noi inconsapevole, e l’altra vede quella pronta ad accogliere quel che deve arrivare, raccontandoci come la maggior parte di noi affrontano la tempesta. Se un fulmine deve colpirci, che almeno lo faccia alla fine, quando oramai abbiamo tentato e fatto il tutto per tutto. Almeno, in quel caso, non sarà il rimpianto a farci fuori.

3) I Tenenbaum

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Wes Anderson parla di tenerezza, di ragazze che scendono da un autobus a rallenti con una musica malinconica di sottofondo. I Tenenbaum è una delle opere che più ha messo tutti i fan di Anderson d’accordo: questo piccolo gioiello merita ognuna delle lodi che le sono state conferite. Ogni famiglia è infelice a modo suo diceva Lev Tolstoj, e sembra essere proprio questo il motore che aziona l’intera pellicola. Ognuno dei componenti di quest’ultima è infelice, insoddisfatto, impaurito dalle incognite dell’esistenza e dagli assiomi che invece la contraddistinguono. Nessuno di loro si sente davvero al sicuro, e sono rari i momenti in cui si prendono del tempo per razionalizzare le problematiche. Tutti sono mossi dall’istinto, da quel brivido che solo gli irresponsabili possono provare. Perché questa è la storia di una famiglia che cerca di allontanarsi quanto più possibile dal futuro, e per farlo non hanno scampo: deve costringersi a non pensare. E riesce a farlo piuttosto bene.

4) Il Laureato

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Se l’insoddisfazione avesse un volto, quello sarebbe sicuramente sarebbe rappresentato dai due protagoniste del celebre cult Il Laureato. La pellicola, come i più sanno, si chiude proprio con questa immagine: i due amanti hanno finalmente raggiunto il loro obiettivo concretizzando nei fatti il loro sentimento. Dopo un evento simile tutti, in un qualsiasi altro film, arriverebbero i titoli di coda e un finale felice, ma non qua. Perché l’esistenza è un pieno flusso di situazioni, e nessuna ci soddisfa davvero. Il protagonista, d’altronde, aveva appena raggiunto un importante traguardo professionale all’inizio del film, ma non gli bastava. Voleva qualcosa di diverso, e lo ha trovato nella sua amata. Alla stessa stregua del principio, la fine de Il Laureato racconta – attraverso questi sguardi spenti – che i due protagonisti, non appena raggiunto l’obiettivo, ne cercano già un altro. Hanno ottenuto quel che volevano, e ora a malapena lo sopportano. Ed è così che i loro sguardi spenti domandano al telespettatore qualcosa a cui nessuno, neanche loro, potrà conoscere risposta: abbiamo ottenuto quel che volevamo. E adesso?

5) In The Mood for Love

Può esistere un amore fatto solo di sguardi e parole sussurrate? Può esistere un rapporto, senza nessuna conferma che questo sia davvero reale? Sì che può, e il perché ce lo spiega direttamente In The Mood for Love. I due protagonisti si conoscono quando oramai sono già fatti a pezzi dalle delusioni che i due coniugi hanno provocato in loro. Traditi e senza più l’ebrezza della meravigliosa sensazione delle illusioni, si conoscono per rinascere, anche se non lo sanno. Il tempo in In The Mood for Love è per questo a sé stante, diverso da tutto il resto di film a cui ci siamo già approcciati. Le cose scorrono qui lente, senza alcuna frenesia. Nessuno sa dove andrà a finire quel sentimento che silenziosamente sta iniziando a nascere, ma loro sì. Sono consapevoli che la possibilità di un legame concreto sia irrealizzabile, ma ciò non diventa mai motivo di struggimento. Quello che è reale non può essere soltanto paragonato a ciò che è tangibile, e per questo entrambi accettano di vivere la separazione del loro niente come il normale svilupparsi degli eventi. Ognuno possiede la propria realtà e loro, dentro quel lungo corridoio, avevano trovato la propria.

6) Drive My Car

Un lutto non si supera, si impara semplicemente a conviverci. Parlare di ripartenza, dopo un evento del genere, è un’illusione forzata che alcune pellicole ci hanno inculcato. E’ questa, forse, la base di partenza di Drive My Car, la pellicola asiatica vincitrice degli Oscar 2022. Il protagonista, a seguito della morte della misteriosa moglie, cerca in tutti i modi di non forzarsi a tirarsi a fuori da quella sensazione di mancanza, perché sa già che non è quello il modo. Evitare il problema non impedisce al problema di sussistere, soprattutto se questo ti ha privato di una parte essenziale della tua vita. Ma è proprio questo il punto all’interno della pellicola: le cose, i dolori, non si superano urlando. Drive My Car è per questo un film fatto di silenzi e parole sussurrate. Il legame affettivo che unisce lo sceneggiatore all’autista è intimo, silenzioso. Non viene sbraitato. I due si scambiano i loro mali, trovando nell’altro qualcuno che non parla per confortare ma che, semplicemente, ascolta. Di quante persone possiamo dire lo stesso?

7) A Single Man

A Single Man racconta il lutto in modo molto simile a Drive My Car, aiutandoci a capire l’elegante tenerezza del regista Tom Ford. Il protagonista, anche in questo caso, cerca di convivere con la perdita del proprio partner. L’importante gioco di effetti e luce riesce a far comprendere al telespettatore i momenti in cui le cose acquisiscono di nuovo un bagliore, e quelli in cui invece tutto si fa irrimediabilmente cupo. Il suo rapporto con uno dei suoi studenti riuscirà a fargli capire che nel mondo esiste ancora qualcosa capace di farlo sentire al sicuro, non sempre in balia dei rischi della sofferenza. Questa è purtroppo tale, non può essere evitata, ma ciò non implica non vedere più la luce. Sussiste anche questa, anche se tendiamo a guardare solo il buio. La sua sola presenza gli dà modo di vedere che, anche senza speranza, qualcosa di bello potrebbe ancora accadere, e che la vita – nonostante la sua complessità – possiede sempre un motivo per essere vissuta, e non importa quanto faccia male. Si impara a conviverci.

In un modo o nell’altro.

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