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Un dialogo onesto, brillante e struggente tra Zero, BoJack e Fleabag

Sto camminando lungo un corridoio immenso, e a ogni passo avverto il peso del cemento che sento di avere sotto le scarpe. In realtà sotto le scarpe non ho niente, ho solo il pavimento. Il peso è tutto nella mia testa, è tutta la mia insoddisfazione. Sto attraversando questo corridoio completamente scuro, e anche se non lo ammetto, vorrei che fosse infinito. Finché sto qua, va tutto bene. Nell’attesa non devi fare niente. L’attesa è il momento in cui sei giustificata a prenderti una pausa, e non muovere un dito, a non sentire il peso del cemento nelle scarpe. Sono una delle persone più fastidiose che io abbia mai conosciuto, e ogni volta che sento di star per arrivare da qualche parte, a un traguardo, mi fermo e mi blocco. Non faccio più niente. Sono l’insoddisfazione perenne, il traguardo mai raggiunto. Non lo raggiungo, e lo faccio perché penso che una volta arrivata lì – dopo tutta l’attesa, e tutte le aspettative – io non sappia abitarlo. Penso sempre di essere in grado di mandare tutto all’aria. Un po’ come quando conosci davvero una persona. Ecco, forse io sono quel tipo di persona che da lontano sta alla grande, è quasi perfetta, interessante. Poi però mi conosci, ti avvicini. Cominci a conoscermi nel quotidiano, e tutto quello che da lontano pensavi di aver visto, si rivela una grande e deludente balla. Perché se arrivi qua, e mi tocchi, e mi vedi, scopri le mie incertezze, le mie paranoie. Scopri che ho paura del domani, e scopri che non so essere intraprendente, e che in noi – io – non ci credo, perché non credo a nulla. Non sento niente. Allora capisci che sei tu ad avere il peso. Allora capisci che devi crederci per tutti e due. Che tra i due, quello che deve riuscire a strappare lungo i bordi, sei solo tu. Io non ce la faccio. Continuo a ripetermi tutto questo, e lo faccio ad alta voce. Quasi lo urlo, come se questo corridoio immenso fosse la mia tomba, e da qui niente potrà mai uscire. Mi sento al sicuro. E continuo a stare immobile. Vorrei star da sola, forse ancora un po’. Ma non faccio in tempo a godermi la solitudine che tre figure si piazzano di fronte a me, e mi lasciano sbigottita. Una di loro è un cartone, ma ha le mie stesse sembianze umane; un’altra è una giovane ragazza; un altro – e qui forse farete ancora più fatica a credermi – è un cavallo antropomorfo. E io avrei dovuto bere di meno stasera.

Fleabag

<<Però ‘te non è che puoi vivè così, eh. Che qua noi tre stamo messi male, ma te – figlia mia – te devi ripija. Ma te sembra il modo?>> <<Stai calmo, Zero. Non lo vedi come sta questa ragazza? Prima di farti vedere insensibile, aspetta un attimo. Non ti fare riconoscere subito>> <<Sembrate marito e moglie. Scusali. Li presento io: loro sono BoJack e Zero, e io sono Fleabag.>>

Ora che li guardo meglio, mi sento ancora più confusa di prima. Di fronte a me ho due cartoni animati, e uno è un cavallo antropomorfo. Questa ragazza di fronte a me, almeno, sembra normale, e se è tranquilla lei in questa situazione, chi sono io per agitarmi? Ci sarà un’uscita d’altronde, ammesso che questo non sia un sogno. O un post sbronza.

<<Ma tu l’hai sentita che dice questa? Parla de insoddisfazione, de strappà lungo i bordi. Ma che, dove se sente? Nella mia Serie Tv?>> <<Ma cosa dici, Zero? Parla di traguardi mai raggiunti, di deludere le aspettative. Si sente all’interno della mia serie, dai. Si sente Diane. Eppure, se quella la sentisse, quante gliene direbbe.>>

<<Pronto? Oh, ci siete? Guardate che ha parlato anche del fatto che, non appena qualcuno le si avvicini davvero, poi scappi. Non prendiamoci in giro: è chiaro che si senta dentro la mia di serie. Parla di quello che è successo tra me e il prete.>> Dice Fleabag, con uno sguardo intriso di una chiara malinconia, una di quelle che si capisce al volo. <<Ma perché, Flè, che è successo tra te e sto qua? Giusto ‘pe capisse>> <<Ma sai, le solite storie. Praticamente andava tutto bene, finalmente. Ma sai come vanno queste cose…alla fine non va mai bene.>> <<Io non so un c***o dell’amore. Sono stato amato, più che amare. Però poi ho sempre deluso le aspettative, e non mi hanno amato più. Un po’ come raccontava questa ragazza qua.>> Dice BoJack, un po’ per auto commiserarsi, e un po’ per ricordarsi che forse, un po’ di amore, lo ha davvero avuto.

<<Sisi, tutto bello, tutto bello. Però a me m’è salita ‘na botta de malinconia, mamma mia. Sto a ripensà ad Alice, a tutte quelle robe che non ho detto quando potevo. Sta qua, con la sua tristezza, m’ha ammazzato.>> <<Zero, sei tu che sei focalizzato su di te. Questa tra un po’ scoppia a piangere, e guarda te a che pensi. E guarda te, BoJack. Hai subito chiarito di essere stato amato. Non potevi farne a meno, vero? Dovevi subito specificare quanto l’inguaribile cavallo antropomorfo fosse amato>> Dice Fleabag. <<Ma perché, Flè, te c’hai fatto? Hai parlato subito der prete tuo. Qua ognuno parla de quello che ricorda, de quello che je viene meglio. Aiutamo così.>> Ed è in questo caso che a Fleabag si accende una lampadina, e riesce a capire cosa è che ci sia davvero dentro di me. <<Lo sappiamo quali sono i suoi problemi. Questa qua è la versione di ognuno di noi tre. Pensateci: in un solo corpo, c’è una parte di ognuno di noi. Non vorrei offenderci, ma trovo tutto questo assurdo. Noi con una parte ciascuno siamo già ridotti così.>> <<Vò dico io: questa c’ha il sarcasmo tuo Flè, la malinconia mia, e l’insoddisfazione de BoJack. Unito a tutto questo, come bonus, difetti, amori e pochissimi rimedi.>> <<Vabbè. Scusaci se qua parliamo solo noi, ma tu hai parlato tanto. Sei un po’ come me anche in questo: con quel prete che ti dicevo parlavo solo io. Sempre e solo io. Alla fine ho rovinato tutto. Me ne sono andata, e ho pianto, pianto pianto>> <<Sì, Fleabag piange sempre. Io tendo a bere, lei a piangere. Zero tende a stà zitto, al massimo fa fumetti per sfogarsi. Tu scrivi. Perché tu vuoi fare la scrittrice, no?>> Mi chiede BoJack, e questa domanda un po’ mi terrorizza.

Fleabag

E sì che voglio fare la scrittrice. Ma ogni volta che penso a una cosa tutta mia che duri più di una pagina, penso che sia troppo. Penso che, come al solito, lascerei tutto bianco. Perché finché il libro è solo mio, dentro la mia testa, è bellissimo. Ma quando lo immagino concreto, reale, di fronte a me, ecco che lo vedo brutto. Vuoto. Inutile. Di colpo, scopro di non aver più nulla da dire. Di colpo, non conosco più le parole.

<<Questa se vede peggio de come ce vediamo noi. Ma come jo diciamo che finché non lo fa, nun se scopre?>> <<Possiamo dirle che ho una vita fatta di rimpianti, e che se smetti di pensare, forse cominci a fare qualcosa. Se io avessi scoperto queste cose prima, forse la mia serie avrebbe avuto un finale diverso. Magari non avrei salutato Diane su quel tetto. Forse sarei riuscito a scendere da lì in modo migliore.>> <<Vabbè, BoJack è un piagnucolone. Si mette al centro dell’attenzione con tutti quei rimpianti e rimorsi. Non ha ancora capito che tu non vivi dentro una Serie Tv, e che hai una vita per fare tutto quello che lui avrebbe potuto fare in sei stagioni.>> Dice Fleabag, prima di essere interrotta da Zero che, con un tono un po’ stizzito, va ancor di più contro BoJack <<Oh, Bò, ma di che ti lamenti? C’hai avuto sei stagioni pe dì e pe fà quello che volevi. Io e Flé una e due. Un tempo proprio limitatissimo. C’è, ora non pe offendere, però se ‘nce sei riuscito in sei stagioni, forse il problema eri proprio te, eh.>> <<Il problema sono sempre stato io>> Ribatte BoJack, continuando <<Volevo vedere voi. Avrei proprio voluto vedervi al mio posto a convivere con quello sdegno che provavo per me stesso.>> <<Ma perché, BoJack, secondo te noi come stavamo con noi?>> Chiede Fleabag <<Io ero perennemente insoddisfatta di qualsiasi cosa facessi. Ero insalvabile. Zero si è lasciato scappare ogni cosa, e perché secondo te? Perché non si ama, neanche un po’. Neanche quel minimo per evitare di auto sabotarsi.>> <<Ma secondo voi, le persone, alla fine, quelle che non fanno parte de sto quartetto, che fanno ‘na vita? Se amano almeno un po’?>> <<Non lo so, Zero. Io lo notavo con Todd, Diane, Princess Carolyn: mi guardavano sempre come se fossi un alieno, come se non avessi le carte in regola per stare in questo mondo. Però quando le guardavo – non so spiegarvi – notavo dei miei stessi dettagli. Non avevano la mia stessa tristezza, ma avevano delle sfumature che la ricordavano. Forse nessuno sta davvero bene. Però ci prova.>> <<Secondo me, invece, tra noi quattro e tutto il resto delle altre persone c’è un differenza sostanziale: l’autocommiserazione. Loro cercano di curarsi, e noi, invece, ci piangiamo addosso.>>

<<Voi la dovevate vedè l’amica mia, Sara. Quella c’aveva un’infinità di robe che non andavano bene, e lo sapevo pure mentre le piangevo sulla spalla. C’aveva il mondo addosso, però lei un modo pe rialzarlo o trovava sempre. E anche se c’aveva il nodo alla gola, se preoccupava de sciogliè il mio.>> <<Quindi secondo te noi siamo solo fragili, e mai forti?>> <<Fermi. Vedi, BoJack, ti stai autocommiserando. Zero ha raccontato di Sara che, si, è forte. Ma questo non implica che noi non lo siamo. Magari siamo forti anche noi che, nonostante tutto, siamo qua a parlare con lei, e abbiamo qualcosa da dire. Qualcosa da spiegare, a questa ragazza, lo abbiamo. Questo vuol dire che abbiamo conosciuto la parte brutta delle cose, ma anche se tardi, le siamo sopravvissuti. Forse essere forti non vuol dire solo stringere i denti.>> Dice Fleabag, prima di essere interrotta da un’ennesima auto commiserazione da parte di BoJack <<E che vuol dire, che adesso posso finalmente considerarmi un cavallo antropomorfo forte?>> <<Vor dì che forse essè forte significa anche non saperli stringè, ma alla fine inventarse un modo per stà comunque a galla.>>

Fleabag

<<A me, l’armadillo, una cosa l’ha insegnata. Noi ce dipingiamo le cose. Non facciamo in tempo a creà una situazione, che subito pensiamo a come rovinalla. Ce mettemo lì, e creiamo drammi su drammi. Pensamo de essè sbagliati, e damo pe certo l’errore. Non dovremmo considerà che magari l’errore non sia ‘na prassi, ma un’eventualità?>> <<Probabilmente è così. Probabilmente, io potrei essere una Fleabag diversa, se solo volessi. Dovrei imparare a non darmi per spacciata.>> <<Magari anche io. Su quel tetto ho cercato di promettere una parvenza di miglioramento, però forse senza crederci davvero. Anche se io sono BoJack Horseman, e distruggo tutto quello che tocco.>>

Io non lo so sti qua chi sono. Però vederli qui, di fronte a me, mentre cercano di aiutarmi per aiutare loro stessi, mi fa sentire più al sicuro. Forse la verità è che ci stiamo usando a vicenda, ma lo stiamo facendo con uno scopo legittimo, uno di quelli per cui tutto è concesso. Soprattutto perché qua, io e loro, ci siamo fatti del bene come non ce ne facevamo da tempo. Ci siamo raccontati le nostre atrocità, e nessuno è scappato. E se questo vuol dire qualcosa – e io spero davvero che sia così – allora forse sono salva. Allora forse non è proprio vero che se ti avvicini scappi per forza. Ed è forse per questo motivo che adesso mi va bene che il corridoio finisca, e che l’attesa smetta di prolungarsi. Ma è proprio quando oramai sono pronta per uscire che mi accorgo di essere ancora all’inizio del corridoio, e di essere totalmente sola. Zero, BoJack, Fleabag non ci sono più, e io non ho ancora capito se tutto quello che è successo, sia successo realmente. Però una cosa adesso la so: sto andando verso la porta, e non ho più terrore. La fine, finalmente, ha acquisito il sapore dell’inizio, e io di me voglio farci una rivoluzione.

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