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The Killer – La recensione del film che segna l’atteso ritorno di David Fincher e Michael Fassbender

David Fincher sa raccontare il mondo dei serial killer come pochi altri registi. Basti pensare a quello misterioso di Seven, al Killer dello Zodiaco di Zodiac, a quello misogino di Millennium – Uomini che odiano le donne e alla squadra di assassini seriali narrata in Mindhunter. Con The Killer, però, ci propone qualcosa di diverso rispetto ai suoi film passati o alle nostre stesse aspettative, tanto che qualcuno potrebbe rimanere perplesso o scontento vedendolo. Adottando il punto di vista del protagonista, un killer di professione, Fincher ci porta alla scoperta dei loro codici e della loro realtà. Non ci sono eclatanti colpi di scena o machiavellici complotti, così come mancano gli adrenalinici ed esagerati ritmi degli action. Insomma, non è tanto un dramma che racconta una data trama, ma un’opera più profonda e filosofica.

The Killer ci conduce direttamente nella mente contorta di un assassino metodico, concentrato, allenato, alla ricerca della perfezione, che non trascura niente nella sua vita e che segue uno specifico mantra costantemente ripetuto nel film su Netflix:

Attieniti al tuo piano. Anticipa, non improvvisare. Non fidarti di nessuno. Non cedere mai un vantaggio. Combatti solo le battaglie per cui sei pagato“.

Non è la vita romanzata e avvincente che viene solitamente raccontata al cinema, quella dell’assassino professionista. Il protagonista di The Killer non ha particolari gadget e si serve di Amazon per ottenere le cose che gli servono per lavoro. Rimane nell’anonimato, la sua esistenza non è piena di scontri adrenalinici o inseguimenti epici. È fatta di attesa e di domande esistenziali, come vediamo nei primi formidabili 20 minuti, dove entriamo letteralmente nei pensieri e nel flusso del protagonista. Riempie quei momenti vuoti con parole e gesta ordinarie, ripetitive e che potrebbe scoraggiare chi cerca ritmi più frenetici. Eppure, anche quest’ultimi non possono negare di essere piano piano catturati, soprattutto grazie alla maestria di Fincher. Ed è proprio in quella scena iniziale che sentiamo per la prima volta il suo codice, col quale vorrebbe distinguersi da John Doe o Zodiac, ma potrebbe essere una di quelle menzogne che si ripete per autoconvincersi di non esser come loro. Che uccide solo perché deve e non perché può. Insomma, non lo facciamo tutti? Mentire solo per convincere noi stessi che siamo altro? La risposta è sì, anche se non vorremmo ammetterlo.

The Killer
Michael Fassbender nel film su Netflix

Ed ecco che Fincher e lo sceneggiatore con cui aveva lavorato in Seven, Andrew Kevin Walker, ci mettono genialmente in una posizione scomodissima.

Facendo coincidere il nostro punto di vista con quello del protagonista, vediamo il mondo attraverso gli occhi di un uomo spietato, senza sentimenti e che non concepisce il concetto di empatia. Perché è solo per deboli. Del resto, non compiremmo mai le sue azioni. Così, Fincher sfida i nostri valori morali e il caposaldo cinematografico dell’immedesimazione nel personaggio principale. Allo stesso tempo il film su Netflix, pur incanalandosi nei binari di un classico e prevedibile revenge movie, ne capovolge il nucleo: in primis, non permette all’azione di esplodere, come succede in John Wick o Kill Bill, ma usa la vendetta come veicolo per creare tensione, realizzando una pellicola più ragionata che attiva (le stesse esecuzioni del killer sono glaciali e velocissime); in secondo luogo, solitamente c’è una giusta causa che muove le azioni di vendetta dell’eroe; in The Killer, invece, il protagonista causa il suo stesso male, sbagliando il tiro e costringendosi all’improvvisazione. Cosa che, tra l’altro, detesta.

Il coincidere i due punti di vista permette anche di limitare le spiegazioni. Anzi, non ce ne sono in The Killer; non ci viene detto niente sui personaggi o sugli obiettivi del protagonista, sebbene il film riveli comunque pezzi di lui dalla musica che gli piace, dai libri che legge o dal modo quasi ossessivo in cui presta attenzione alla sua igiene. È un atto di fede, quello che ci chiede Fincher, lasciando che il tutto emerga attraverso le immagini. Perché questa è una pellicola che racconta per immagini, che sono ipnotiche e rapiscono, nonostante le poche informazioni che abbiamo. Ed è sempre attraverso le immagini che Fincher ricerca il distacco del killer dalla realtà e fa emergere la sua percezione del mondo.

La stessa regia, infatti, eleva un film ben fatto, ma che non ha entusiasmato una gran fetta di fan, che grida all’occasione persa. Nonostante per molti The Killer si perda dopo la memorabile scena iniziale, ci sono altri due momenti che vale la pena ricordare. Il dialogo con Tilda Swinton è sublime; lei, pare superfluo dirlo, è ogni singola volta il valore aggiunto delle opere in cui è presente. Anche solo per un cameo come questo. Siccome la regia segue lo stesso andamento del suo protagonista, cambia quando sopraggiunge un imprevisto. Ciò si riverbera nell’unica e ben realizzata scena di combattimento. Le inquadrature diventano frenetiche, il suono fa percepire tutto il caos della scena. Eppure, ogni cosa è calcolata alla perfezione e capiamo ciò che succede in ogni istante, senza quello smarrimento che caratterizza chi le scene d’azione non le sa realizzare. E non assolutamente è questo il caso.

Michael Fassbender e Tilda Swinton nel film su Netflix

Il cinismo di Fincher, poi, viene incarnato totalmente dal protagonista di The Killer, regalandoci riflessioni alla Fight Club sulla società odierna, in cui lo sviluppo dei social e della tecnologia rende impossibile essere invisibili e dove il potere è in mano a pochi. Ed è difficilissimo far parte di quell’élite. Sebbene sia il non detto a dominare la pellicola su Netflix e, se da un lato ciò scoraggia chi ha bisogno di spiegazioni, dall’altro rende il killer un simbolo, l’emblema dell’omicidio e dei suoi effetti.

La mano di Fincher è determinante, ma The Killer non sarebbe stato lo stesso senza Michael Fassbender. Non a caso il regista non l’avrebbe realizzato se l’attore non avesse accettato la parte.

È un ruolo semplicemente perfetto per Fassbender che, dopo troppi passi falsi, torna ai fasti di un tempo. Il suo è un grandissimo lavoro in sottrazione, rappresentando questo killer granitico, dall’ironia pungente, ma che, piano piano, scioglie i suoi strati rivelando le sue contraddizioni: basta uno sguardo dell’attore per far trapelare l’emozione che sta provando il suo personaggio in quel dato momento. Perché, nonostante lui dica di non provare niente e di fregarsene di tutto e di tutti, cercando di giustificare le sue azioni con il piano che sta seguendo, di sentimenti ne prova parecchi. Ed ecco che, come abbiamo già accennato, lui vive nella menzogna. The Killer, infatti, è un film chirurgico, che non possiede il classico climax. Infatti, questo va ricercato nell’evoluzione dell’assassino, le cui bugie emergono sempre di più e raggiungono l’apice nel finale, dove le sue parole dicono una cosa ma il suo corpo rivela quel che pensa davvero, tradendolo e rivelandone il trucco.

È chiaro che Fincher ami i personaggi che sono sempre in controllo della situazione, forse perché anche il regista cinematografico deve esserlo. O forse, in questo modo, può mostrare la sua bravura nel trattare la tensione drammatica e l’esistenzialismo cinico, quasi ironico. Così, come il suo protagonista, si attiene al piano e porta avanti la sua idea anche se questo vuol dire far storcere il naso a molti fan, che lo ritengono più un esercizio di stile che una pellicola in sè. Certo, non sarà uno dei suoi film migliori, ma The Killer è ben realizzato e, oltre ai pregi già citati, menzioniamo anche l’ottima colonna sonora e la significativa fotografia. In fondo, davanti non abbiamo un capolavoro e ne siamo consapevoli, ma Fincher è pur sempre Fincher e ci regala comunque un’opera godibile e immersiva, densa di significati, che tiene incollati alla poltrona e che sicuramente ha bisogno di più visioni per essere davvero compresa e metabolizzata al meglio.