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Nanny è un profondo dramma sociale travestito da horror

Ci sono i film horror che raccontano di mostri, alieni e oscure presenze. Ci sono i film horror ironici e sottili, che portano in scena una storia per raccontarne un’altra. Ci sono anche i film horror che raccontano di destabilizzanti storie vere, quelli che ci spingono a chiudere la porta a doppia mandata la sera per paura di quello che potrebbe esserci al di fuori. E poi ci sono i film horror come Nanny, quelli veri e forse i peggiori, perché raccontano una paura reale, un sentimento che ti striscia sotto la pelle e non se ne va più via. Paura atavica, ma di che cosa? Nanny è uno di quei prodotti per il quale non serve chiudere il mondo esterno fuori dalla porta per proteggersi: il male o la paura arrivano da dentro e non c’è barriera che regga. Nanny, sotto sotto, è “solo” un profondo dramma sociale travestito da horror. E lo sa il film per primo, che basta questo per fare davvero paura.

Nanny
Nanny (640×360)

Presentato al Sundance Film Festival del 2022 ed entrato a dicembre dell’anno scorso nel catalogo di Amazon Prime Video, Nanny è un prodotto meravigliosamente “a parte” in ogni sua componente: diretto da Nikyatu Jusu al suo debutto alla regia, studiosa americana di origini sierralionesi e prima regista donna di colore a vincere il Gran Premio della Giura nella US Dramatic Competition, è ambientato nella New York dei nostri giorni e vede come protagonista Aisha, la quale viene assunta come tata per prendersi cura della figlia unica di una ricca (e quanto ricca) famiglia dell’Upper East Side. Quanti horror possiamo trovare con protagonista una babysitter, direte voi; cosa c’è di nuovo, di diverso?

Tutto. Perchè Nanny si presenta inizialmente come horror, nascondendosi dietro ad alcune premesse da manuale per quanto le possiamo aver viste e riviste, e senza che quasi ce ne accorgiamo imbocca una strada che nessuno si sarebbe mai aspettato. E ad ogni passo noi lasciamo un pezzo di cuore con lei.

Nanny, ancora prima di essere un horror o un dramma, è la straziante e bellissima storia di una madre. Aisha, infatti, è un immigrata senegalese senza documenti e sta raccogliendo i soldi per poter far venire in America il figlio Lamine, ancora dall’altra parte dell’oceano. Il film in questo senso è bravissimo a mostrare la profonda sofferenza di una donna, separata da ciò che ama di più al mondo, paragonata ad un altro rapporto madre e figlia, apparentemente idilliaco eppure debole e pieno di problemi. I genitori della figlia a cui Aisha fa da tata, infatti, sono distanti per non dire completamente assenti: la madre in particolare è severa ai limiti della tirannia. E’ facile sentire un profondo senso di oppressione ogni qualvolta viene inquadrata la ricchissima casa di famiglia, ed è proprio qui che Nanny centra l’obiettivo perfettamente: pone in correlazione due rapporti madre e figlio che non potrebbero essere più diversi, mostrandone i lati più dolci e quelli più terribili.

Nanny (640×360)

L’abbiamo già detto e lo ripetiamo: Nanny è molto, molto più di quanto sembra. Se da un film vi aspettate colpi di scena destabilizzanti, scene al cardiopalma, jumpscare e momenti di tensione difficili da digerire questo non è il prodotto che fa per voi. Perchè in Nanny la tensione c’è, ma striscia sottopelle; piano piano, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, veniamo immersi in una narrazione sfuggente, quasi onirica, acuita dall’interpretazione magistrale dell’attrice protagonista, Anna Diop. Attrice che non solo è bravissima nel ruolo che porta in scena, ma che risulta veritiera ai limiti del nervoso nel dipingere una madre lacerata in due. Non è solo il film a sembrare spezzato in due, infatti, ma la protagonista stessa: divisa tra l’amore per il figlio e il desiderio di regalargli un futuro migliore, Aisha si destreggia come può in un mondo che le pesta i piedi. Un mondo che, in quanto immigrata, le passa di fianco senza quasi notarla. E lei rimane in silenzio.

Ma dov’è la componente horror? Dove Nanny ha rivoluzionato il genere come poche serie tv e film hanno fatto finora? Domanda lecita, alla quale rispondiamo con una risposta imprevedibile quanto il film stesso: ovunque e da nessuna parte. Perchè il film è uno di quei prodotti talmente pieni di metafore e significati nascosti da rendere difficile un lavoro di interpretazione; ogni aspetto potrebbe significare qualcosa e al tempo stesso non voler dire niente.

Nanny (640×360)

Sicuramente possiamo dirvi che Nanny sa bene come gestire la tensione. Il film è pieno di colori, inquadrature inondati di luce, primi piani apparentemente inusuali e senza significato. Nanny dice anche molto poco, e quando lo fa è sempre con un senso: infiniti sono i silenzi, i momenti dove è dato spazio solo all’interpretazione degli attori. Eppure, pur rimanendo per lo più in silenzio, il film urla in ogni scena una terribile sofferenza di fondo.

Se la macchia di muffa in La La Land serviva a comunicare un profondo senso di inadeguatezza, quella di Nanny richiama una presenza maligna.

Un qualcosa che Aisha per prima non comprende ma che, forse influenzata da strane leggende che le vengono raccontate, teme. Un timore che, alla fine del film, non si rivela infondato e preannuncia una conclusione terribile, devastante e profondamente ingiusta. Un finale che non ci meritavamo ma che è perfettamente coerente con il messaggio che il film vuole comunicare: un insegnamento cattivo e senza pietà.

Nanny va visto e soprattutto va ricordato. Perchè non è uno di quei film horror che fanno semplicemente paura: è uno di quei film horror che terrorizzano. E insegnano qualcosa, in un momento in cui ne abbiamo bisogno più che mai.

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