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Il film della settimana: La Promessa dell’Assassino

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto La Promessa dell’Assassino.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere La Promessa dell’Assassino? Ecco la risposta senza spoiler.

A David Cronenberg non è mai mancato il coraggio di mostrare gli effetti che gli istinti umani hanno sulla società, attraverso la violenza fisica e psicologica presente nei suoi film, a tratti insostenibile per i cuori più deboli. Lo fa anche con La Promessa dell’Assassino, allontanandosi dalla componente fantascientifica e portando lo spettatore nel mondo reale. Disponibile su Sky e Now TV (a noleggio su Apple TV e Amazon Prime Video), racconta di Anna, ostetrica londinese di origine russa, scossa dalla morte di una teenager avvenuta mentre quest’ultima partoriva. Vuole rintracciare la sua famiglia, così da affidargli il neonato, aiutandosi con il diario che la giovane ha lasciato. La sua ricerca apre una pericolosa porta nella mafia russa, visto che la ragazza era una loro prostituta; la fazione di Londra è retta da Seymon, apparentemente titolare di un ristorante, e dall’inaffidabile e immaturo figlio Kirill, alle cui dipendenze ha l’autista e tuttofare Nikolai.

Tra macchinazioni, omicidi, tradimenti e scoperte, si svolge davanti agli occhi dello spettatore una storia emotivamente impattante, coinvolgente e ben realizzata. Dove la violenza equivale alla degradazione della società e dell’umanità; dove non vengono risparmiati quei mutamenti corporei tanto cari a Cronenberg. Il regista conferma la vena psicologica e meno horror iniziata con Spider, aggiungendoci elementi noir e del genere poliziesco.

Ne esce un film lucido, mai accademico, terribile, che lascia inchiodati allo schermo fino all’ultimo minuto grazie anche al cast memorabile in cui spiccano Vincent Cassel nei panni di Kirill e, soprattutto, Viggo Mortensen (candidato a Oscar e Golden Globe) in quelli di Nikolai. Merita di essere visto non una, ma più volte, anche solo per QUELLA scena. E quando l’avete fatto, tornate qui a leggere la recensione di una delle vette più alte del cinema di Cronenberg.

SECONDA PARTE: La recensione spoiler de La Promessa dell’Assassino

La Promessa dell'Assassino

Con La Promessa dell’Assassino sembra che Cronenberg sia, in un certo senso, rientrato nei ranghi, nelle convenzioni tipiche di Hollywood. Del resto, quello che abbiamo davanti è un noir a tutti gli effetti, in cui sono riscontrabili gli elementi canonici del genere: la voce narrante, qualcuno muore, l’opposizione a tratti sfumata tra buoni e cattivi, personaggi psicologicamente complessi, una donna combattiva e minacciata dal male, un destino in atto, un passato che contamina il presente. Infatti, è dal diario della giovane morta, dalle sue memorie che influenzano l’oggi, che prendono vita gli eventi.

Ma il noir è solo lo strato superficiale, il primo livello.

Il regista sfrutta abilmente e intelligentemente le caratteristiche del genere classico per mettere in scena la sua poetica del corpo, destrutturandone le regole fino all’eccesso – ad esempio, non usa armi da fuoco e le poche scene d’azione esplodono improvvisamente e con una potenza inaudita – e squarciandone i confini sotto la spinta autoriale. Lì emerge il secondo livello, quello intimo e complesso dell’ossessione per il corpo, il mutamente dell’identità e la mortalità della carne. L’indugiare su dettagli raccapriccianti, la brutalizzazione della rappresentazione e il dilatamento della violenza lo dimostrano; basti pensare alla spietatezza di uno sgozzamento, al lago di sangue del parto, al cadavere scongelato utilizzando un phon. Raggiunge così il suo obiettivo: colpirci e restituirci tutta la sofferenza del nostro essere mortali.

Pare che, attraverso la fotografia che vira sul nero e rosso, l’atmosfera sospesa di quella realtà disturbante e i tagli delle inquartature che non assecondano il tono degli avvenimenti, ci venga proposta l’immagine finale dell’umanità. I corpi così si trasformano in statue di ghiaccio (il cadavere di Soyka) o di marmo (Nikolai sempre immobile e in posa), fogli su cui incidere simboli e impronte del passato, quasi alla maniera di Memento di Christopher Nolan, rappresentando il tempo che passa e i segni che lascia sulla pelle. Sono marchi da esibire e temere, come le stelle che vengono impresse sulle ginocchia di Nikolai, a significare che “egli non si inginocchierà mai di fronte a nessuno”, e sul petto perché ormai è entrato nella famiglia.

La Promessa dell'Assassino

Tatuato sì con i simboli dell’onore, ma anche come bestia da mandare al macello, vittima sacrificale disegnata. Già, il sacrificio, uno dei temi centrali de La Promessa dell’Assassino. Quello della giovane vittima morta di parto e, soprattutto, di Nikolai che, per scalare i gradini del potere, aderisce a un ruolo che qualcun altro ha scelto per lui. Subaffittando appunto il suo corpo alla mafia, affinché riscriva la sua intera storia, la sua completa identità. Perché lui, in un certo senso, rappresenta il Bene – per quanto controverso – incastrato nel Male, che qualche volta si desta e riemerge, per salvare. Anche se sa benissimo che la morte prima o poi lo batterà: è un vinto che lotta quotidianamente per non affogare nel torbido mare in cui si trova.

La scena cult della sauna ne La Promessa dell’Assassino ne è la perfetta metafora.

La sua voglia di vivere, infatti, trasuda tra vapori e vasche, tra sangue e cadaveri, nonostante l’amarezza che l’accompagna. È l’urlo di potersi considerare ancora uomo e non un automa macchiato e guidato dalla malavita, incarnazione del male più assoluto. E lì Viggo Mortensen recita nudo, mostrando a quasi 50 anni un fisico impeccabile, un corpo muscoloso e una prestanza atletica tale da far entrare di diritto QUELLA scena nella storia del cinema: potente, colorata dal rosso scuro e con i soli colpi delle lame e dei pugni a fare da colonna sonora, perfetta nel movimento dei corpi sia a livello fisico che psicologico. Regala il suo corpo al regista, come Nikolai alla mafia russa, non avendo paura di mostrare i segni dell’età. Regala la sua anima dando vita a un personaggio intenso, memorabile e suggestivo, con quelle meravigliose microespressioni impercettibili e il suo sforzo nel riprodurre un perfetto accento russo.

Una performance che traduce ottimamente le manie di Cronenberg e che si sarebbe ampiamente meritata la vittoria all’Oscar. Incarnazione dell’ambiguità totale; sospeso tra la crudezza, la violenza e l’umanità nascosta; al centro della riflessione morale del film: che fare quando il mondo anomalo della mafia si scontra con quello normale della quotidianità?

Ma gli altri interpreti non sono da meno. Cronenberg crea per Vincent Cassel una figura folle, malata, completamente instabile e immatura, visibile in quegli sguardi stranianti e negli scatti d’ira improvvisi; eppure in grado ancora di provare pietà. Risultando, forse, il villain più complesso che abbia mai interpretato. Nella sua apparente tranquillità Armin Mueller-Stahl dà vita a un cinico ed estremo Seymour; Naomi Watts dona luminosità e delicatezza ad Anna ed è impeccabile nel rappresentare un ragazza completamente in balia degli eventi, senza però lasciarsi abbattere. E tutti vengono racchiusi nei loro corpi dai quale traspare un’inquietudine esistenziale: quella data dalle scelte nella vita e della sua moralità.

Emerge l’utopia irrealizzabile del melting pot londinese, dove le subculture si incrociano senza mischiarsi, possedendo ognuna delle caratteristiche di cui vantarsi ma disprezzate dalle altre, come la squadra di calcio, l’origine o la famiglia da non abbandonare. Una mescolanza che si ritrova non solo in quella Londra dalle origini russe, ma anche nella regia canadese, nei personaggi interpretati da australiani, statunitensi, francesi, tedeschi, inglesi, polacchi e via dicendo. Scelte che, forse, ci costringono quantomeno a una seconda visione in lingua originale, per capire come ognuno pieghi la sua lingua alla cadenza russa e apprezzarne ancor di più il lavoro.

Come viene negata l’unione tra culture, così viene fatto per la coppia ne La Promessa dell’Assassino. Perché l’uomo Nikolai e la donna Anna vivono in universi opposti, che si toccano per pochi istanti ma che devono necessariamente rimanere divisi. Per evitare di essere inghiottiti dalle torbide acque del Tamigi.

Infatti il finale de La Promessa dell’Assassino è lynchianamente accogliente: vale a dire che è rassicurante quanto una minaccia. Niente appare finito, eppure il cerchio è chiuso perfettamente. Nikolai viene inchiodato in un loop di sangue che fa apparire quello che abbiamo visto come una fase della sua vita, che però non potrà ripetersi all’infinito, concludendosi in una morte già annunciata. Perché la violenza del suo mondo è cruda, viva, risuona in ogni fotogramma con una durezza tale che opprime: come dimenticare quando viene costretto con la forza a violentare una delle prostitute della mafia russa. Proprio per questo gli sprazzi di umanità sono ancor più impattanti, perché nati dalla sofferenza e dalla tristezza, perché inaspettati da quei personaggi. Morale nella sua immoralità, è uno dei prodotti migliori dei primi anni 2000, che ha sancito un’unione cinematografica che ci provoca incessanti brividi di gioia. E che sta per tornare con un nuovo, imperdibile film: Crimes of the Future.

Chi come noi non vede l’ora?

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