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Jesse Pinkman è tornato per ricordarci che dobbiamo prendere in mano la nostra vita

Jesse Pinkman è tornato. Con tutto il suo immenso alone di depressione, strazio, spaventosa tristezza. Di quelle che ti entrano dentro fino ad arrivare a farti paura. Perchè in fondo la rappresentazione di questo personaggio che non è stato in grado durante la sua vita di ribellarsi agli eventi, fa paura.

Jesse Pinkman poteva essere molto altro, e non ha scelto di diventare quel che è diventato. Walter White lo ha scelto, in modo consapevole. Così come lui anche Gus Fring o Mike Ehrmantraut. E persino Saul Goodman. La storia di Breaking Bad è costellata di scelte sbagliate, dove il termine sbagliate è consequenziale al termine scelte: una serie di uomini che hanno deciso, in determinate fasi e conseguentemente a determinati eventi, di diventare dei criminali. Questa scelta Jesse Pinkman invece non l’ha mai posta in essere per davvero, ed è forse per questo che è destinato a soffrire più di tutti. L’ignavia e la mancanza di esercizio del controllo con cui ha affrontato la sua esistenza lo hanno condannato a una vita che in realtà non voleva. Ma dalla quale ormai non può più uscire.

Jesse Pinkman non ha avuto il coraggio ne la fortuna di riuscire a essere veramente se stesso. Di scoprire veramente chi fosse. Perchè il ragazzo aveva tutto, sulla carta, per essere altro. Bello, intelligente, di buoni sentimenti e con una buona famiglia. Jesse Pinkman poteva essere quello che voleva lui. Ma non ha mai avuto il coraggio di scegliere il suo destino. Di decidere che in quel determinato momento doveva cambiare strada, farsi forza e uscire dalle magagne in cui un giovane può irrimediabilmente andare a finire a un certo punto del proprio percorso. Jesse non ha avuto il coraggio di guardarsi allo specchio e dire a se stesso che c’era tutta una vita davanti. E che non era il caso di buttarla via così.

Il coraggio e anche la fortuna, certo. Nella vita la fortuna serve sempre. Per personaggi fragili come Jesse la fortuna è letteralmente un attimo. Non hanno la forza interiore per andare oltre quell’attimo, e se quell’attimo in cui stanno provando a fare le cose per bene non gli sorride, ri-crollano in un vortice autodistruttivo senza nemmeno rendersene conto. Senza nemmeno capire esattamente cosa stia succedendo.

Quell’attimo per Jesse poteva essere quando nel quinto episodio della prima stagione fa un colloquio con un’azienda che lo rifiuta. Se quell’azienda non lo avesse rifiutato, magari Jesse non avrebbe avuto più niente a che fare col mondo della droga. Era ancora in tempo per salvarsi, e aveva ancora quel briciolo di autodeterminazione per farlo. Ma per quelli fragili come lui un attimo può voler dire tutto. Se l’attimo dopo il rifiuto non avesse incontrato Badger che gli chiedeva di mettersi in società per preparare droga, Jesse avrebbe ancora avuto margine per salvarsi. Se Jane non fosse stata un’ex tossicodipendente in una delicata fase di riabilitazione e fosse stata invece solo una bellissima artista della porta accanto che una volta resasi conto dell’attività criminale di Jesse avrebbe lavorato con lui per cambiare l’inerzia della sua vita, Jesse per lei sarebbe cambiato. Non avrebbe avuto difficoltà a farlo, perchè lui quella vita non l’ha scelta. L’ha sempre sofferta e ne è rimasto inghiottito semplicemente perchè gli sembrava l’unica possibile. Quando sei un soggetto debole e tendente a perenni crisi d’identità, la strada sbagliata ti sembra sempre l’unica percorribile.

Ma no, Jesse quella fortuna non ce l’ha avuta. E non ha avuto nemmeno il coraggio di indirizzarla la fortuna. Il problema è che se lasci che gli eventi ti dominino a un certo punto ti ritrovi solo con te stesso, ti guardi attorno e ti rendi conto che non ci hai capito veramente niente di tutta la tua vita. E ti rendi conto che non puoi tornare indietro ormai, non ci sarà nessuno che ti darà la possibilità di ri-percorrere la strada al contrario e ripartire da zero. Poco importa che non l’hai scelto: nessuno si impietosirà, nessuno ti darà delle seconde occasioni.

Ti senti irrimediabilmente perso, senza più niente a cui appigliarti. Provi a salvare il salvabile e ti accorgi del fatto che di salvabile non c’è rimasto praticamente nulla. Ed è questo il punto da cui ripartirà Jesse Pinkman. Scampato al massacro dell’ultima puntata di Breaking Bad per gentile concessione del suo mentore e carnefice Walter White, Jesse si ritrova per l’ennesima volta in un beffardo purgatorio che sa di Inferno più dell’Inferno. Come se la condizione di ignavia con cui ha affrontato la sua vita lo perseguitasse. Come se l’Inferno stesso, in fondo, rifiutasse di averci a che fare in modo continuativo. Jesse ha vissuto l’Inferno nella seconda parte dell’ultima stagione di Breaking Bad, trascorsa in schiavitù e prigionia, e adesso ne è uscito. Prima aveva provato a consegnarsi alla polizia per trovare un senso di pace e redenzione, raccontando tutte le malefatte sue, di Walter White e dell’intera combriccola. Anche in quel caso le cose sono precipitate di nuovo e i suoi nobili intenti sono finiti in brandelli, trafitti da una discarica di proiettili nel deserto. Sembra destinato a vivere in un eterno stato di fuga, ansia, incertezza. Tremenda solitudine.

Condannato a convivere con degli errori che in fondo non avrebbe mai commesso, se qualche attimo fosse andato diversamente. Condannato a riempire ancora una volta i nostri schermi di quegli sguardi persi, intensi, che con una sola espressione riescono a comunicarci tutta la sua anima tagliata a fette. A trasferirci quel terribile senso d’impotenza e a ricordarci che se nella vita non prendi posizioni, sarà la vita a decidere per te. E spesso non finisce bene.

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