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L’incredibile dignità di Marie Schrader, uno dei personaggi più odiati di Breaking Bad

Acclamata da pubblico e critica come una tra le migliori serie tv di tutti i tempi, Breaking Bad ha cambiato per sempre la storia della serialità televisiva (puoi recuperarla qui su Netflix alla pagina dedicata). Lo ha fatto come pochi altri prodotti del piccolo schermo. Questo grazie soprattutto alla scrittura impeccabile di tutti i suoi protagonisti e alla sorprendente evoluzione degli stessi. Anche i personaggi considerati secondari godono infatti di un proprio arco narrativo curato nei minimi dettagli, celando sotto alla superficie un complesso universo simbolico e psicologico talvolta essenziale per comprendere al meglio lo show nella sua interezza.

È il caso di Marie Schrader (Betsy Brandt), uno dei personaggi meno apprezzati della serie creata da Vince Gilligan e su cui difficilmente ci si tende a soffermare, passato decisamente in secondo piano rispetto agli altri membri della famiglia protagonista della vicenda; eppure Marie è fondamentale nella chiave di lettura di Breaking Bad, insospettabile quanto accurato riflesso del protagonista Walter White (Bryan Cranston), con il quale condivide molto più di quanto ci si possa immaginare.

Entrambi i personaggi sono infatti principalmente mossi dalla stessa spasmodica ambizione: quella di essere qualcun altro.

Come ben sappiamo, per Walter White questo desiderio affiora in particolar modo dopo la diagnosi di cancro ai polmoni che lo priva della possibilità di controllo sul proprio futuro, dell’opportunità di provvedere alla propria famiglia e, di conseguenza, della propria mascolinità retta appunto da quella possibilità di mantenimento dei propri cari. Più che per le limitazioni della malattia, è la percezione che il mondo esterno ha di lui come“uomo che non può provvedere alla sua famiglia” a ferire maggiormente il suo ego, come risulta evidente già dal quarto episodio della prima stagione Cancer Man (Una malattia scomoda in italiano), nel quale dà fuoco a un’auto che poco prima aveva ignorato la sua presenza prendendosi il suo posto in un parcheggio del supermarket.

Situazione analoga e parallela era avvenuta a Marie nel precedente episodio …And the Bag’s in the River (Conseguenze Radicali) in un negozio di scarpe, dal quale la donna vi esce con delle calzature non sue dopo essersi sentita giudicata non economicamente all’altezza per quell’acquisto dalla commessa. Entrambi lottano con la necessità di esser visti dagli altri allo stesso modo in cui percepiscono se stessi, cominciando a infrangere la legge come risposta alla comune sensazione di non vedersi riconosciuto il proprio valore.

Marie rappresenta in scala ridotta l’evoluzione di Walter White, la rivisitazione light e quasi grottesca del dramma del protagonista, il modo attraverso il quale il creatore di Breaking Bad ci offre una riflessione sulla questione centrale della serie: cosa ci spinge verso il male?

Breaking Bad (640x360)
Marie Schrader

Il desiderio inconscio di superare le barriere della propria personalità diventando qualcun altro si palesa sempre di più nel corso degli episodi; Walter assume lo pseudonimo di Heisenberg e Marie, invece, fingendosi interessata all’acquisto di una casa, si presenta ogni volta con un nome (e una vita) diverso ai vari agenti immobiliari. Questo superamento dei confini del proprio essere è espresso dalla donna anche attraverso la sua cleptomania, travalicando quindi la barriera tra “ciò che è mio” e “ciò che è tuo”. Walter e Marie, seppur in maniera differente, piegano entrambi il mondo al proprio volere, alimentando quel gonfiato quanto fragile ego che li porta all’ipervalutazione di sé.

L’egomania della donna è simboleggiata anche dal colore viola caratteristico del suo personaggio; il viola è infatti simbolo di regalità e nobiltà, il modo attraverso il quale Marie esprime e sottolinea al mondo esterno il suo sentirsi speciale e importante, rimarcando l’immagine che ha di se stessa nel suo immaginario attraverso l’abbigliamento.

L’ego smisurato, l’impulsività, la dispettosità e l’impellente bisogno di esser considerati e riconosciuti, la sensazione di essere più di quel che si è.

Walter e Marie sono due facce di una stessa medaglia, viaggiando in modo parallelo nell’arco di tutta la serie tv non incontrandosi mai se non in quei confini invalicabili che entrambi superano costantemente. Nella quinta stagione, non a caso, entrambi provano a rapire la piccola Holly da sua madre Skyler (Anna Gunn, di cui vi abbiamo raccontato qui la carriera), oltrepassando i limiti di una moralità che esiste solo all’esterno del proprio mondo. Marie e Walt sono infatti entrambi bugiardi patologici, in particolar modo verso se stessi, raccontandosi una verità deformata pur di non ammettere quelli che sono i loro reali sentimenti e le loro reali sensazioni di insoddisfazione verso la propria vita, mostrando quindi una profonda ipocrisia nel giudizio che riservano agli altri in confronto a quello che hanno verso i propri crimini.

L’ipocrisia è così radicata nei personaggi e, di conseguenza, nella stessa Breaking Bad da diventare parte integrante dei telespettatori stessi, interiorizzandola al punto da finire col raccontarsi la stessa alterata verità del suo protagonista, giudicando più deplorevole l’infedeltà di Skyler o la cleptomania di Marie che gli atroci e imperdonabili crimini commessi dal più grande trafficante di droga del suo paese. Ed è proprio in questo che risiede la dignità di Marie Schrader: pur condividendo gli stessi tratti caratteristici di Walter White non arriva mai a ledere gli altri. Marie è la risposta alla domanda posta in precedenza su cosa spinga gli individui verso il male, è la prova che non sono solo le circostanze a separare bene e male, ma la volontà di rimanere ancorati al lato buono pur potendo “breaking bad” , ovvero virare verso il male.

Nonostante le innumerevoli similitudini, la forza di Marie è negli unici elementi in cui si differenzia dal protagonista.

La devozione al marito Hank (Dean Norris), il supporto ricevuto da questi, l’empatia e la vicinanza che mostra nel momento del bisogno alle persone a lei care.

È la connessione agli altri a mantenerci legati al nostro lato migliore, ed è la dignità di conoscere quali confini superare e quali ritenere invalicabili a definirci davvero come essere umani. Ed è proprio sui confini che si definisce l’equilibrio precario di questa serie mastodontica.