Quando si tratta di descrivere Lost ad un amico che non ha avuto la nostra stessa grande idea di infognarsi in questa tragedia, gli scenari possibili sono due: evitare di sovraccaricare la propria memoria a lungo termine e fare finta di aver rimosso tutto oppure iniziare a pensare a come costruire una trama decente con un minimo di logica che riassuma il tutto.
“CAOS! Una tragedia che dà vita ad un’altra tragedia! Un gruppo di persone che si possono soltanto definire sfortunate che precipitano su un’isola tropicale e lì… un disastro! Hai presente i disastri? Ecco, ancora peggio di quelli che stai immaginando! Insomma questo gruppo di sopravvissuti deve trovare un via di fuga da quest’isola ed ogni giorno succede qualcosa di catastrofico che non riuscirai mai a comprendere… Hai capito?”
“Ehm, veramente no, mi sfugge qualche passaggio.”
Il tentativo di descrizione della trama sarebbe impossibile e le domande che durante tutta la serie si sono accumulate non avranno mai risposta. Ma Lost ci ha insegnato molto, tanto che in alcune situazioni critiche ci scopriamo ancora a pensare a ‘cosa avrebbe fatto Locke in questo momento?’
E come in ogni serie che si rispetti la presenza di temi esistenziali è necessaria, così anche in Lost ritroviamo aspetti della vita quotidiana che in un certo senso ci aiutano a farci sentire dei survivors.
‘NULLA ACCADE PER CASO’
Quel gran simpaticone di Locke aveva ragione. Tutto quello che vediamo succedere in Lost è disegnato su misura alla situazione, tutto è programmato in maniera certosina. Niente è lasciato al caso e anche il disordine è perfettamente controllato per essere funzionale alla trama. Come nella vita anche in Lost riusciamo (anche se per pochi istanti) ad intravedere una mappa di un autore sconosciuto, che però è costruita sulla base degli eventi della serie, come a voler mettere insieme tutti i frammenti che si incontrano in ogni episodio. Si arriva sempre più vicini alla verità che però non avrà mai modo di essere scoperta.