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Stranger Things non avrà stravolto completamente il genere da cui attinge, e non credo neanche intenda farlo, ma resta un prodotto molto valido, e sicuramente uno che dà più dignità alle sue fonti di certi remakes contemporanei (Poltergeist del 2015, sentiti chiamato in causa).

Convengo in parte sui problemi concernenti il mostro: a più riprese lo show riesce a creare suspense, a intrigare e anche a far sentire minacciato lo spettatore, ed è facile crearsi grandi aspettative. Forse bisognerà aspettare la seconda stagione, già confermata (che quelle fossero effettivamente uova e che siano in procinto di schiudersi?) e vedere che cosa succederà, ammesso che non sia una serie antologica (e credo che anche questa potrebbe essere una scelta valida).

Stranger Things

In ogni caso, il clima di mistero, di meraviglia, e anche di terrore è delineato talmente bene che non credo che lo show risenta tanto del suo mostro da risultare deludente. Prima della conclusione, ho passato diverse ore di intensa e ben costruita tensione: penso di potermi ritenere soddisfatta.

E, alla fine, almeno non tutti i personaggi restano intrappolati nel loro stereotipo.

Nancy ad esempio non rientra del tutto nella categoria della secchiona, così come quella della damigella che deve essere salvata, o dell’adolescente ribelle. È un po’ tutte queste cose ed è giusto che sia così. È comprensibile che cerchi di sperimentare uno stile di vita diverso dal solito, che menta, che sia confusa, che voglia fare la cosa giusta, ma che si senta sola, fra una famiglia che le sembra una farsa borghese e un fratello con il quale non sa più bene come comunicare.

La stessa cosa vale per Steve, che inizialmente sembra possedere diverse carte in regola per essere il personaggio del ragazzo popolare che seguirà il destino di trame a sfondo amoroso lasciando che Jonathan prenda il suo posto, o creando una crisi di coppia perché incapace di dimostrarsi sensibile davanti agli amici. Però Steve ha qualche sfaccettatura in più, tiene a Nancy e la crisi che si crea ha delle basi abbastanza comprensibili.

E poi c’è Hopper, lo sceriffo che affoga nella noia come nell’alcol, nel dolore e nel disgusto verso se stesso, intepretato magistralmente da Matt Harbour.

Vi giuro che io ci provo a non nutrire profondi sentimenti verso sceriffi, detective, agenti speciali, ma questo è un caso dal quale non posso proprio tirarmi indietro. Impossibile non provarci gusto nel seguire Hopper nella sua indagine. C’è questa sensazione di risveglio di un antico istinto, di una vita adesso segnata dal dolore, una determinazione talmente coinvolgente che non si può non essere partecipe di questa sua rinascita. È semplicemente piacevole vederlo lavorare, decifrare il caso in modo da fornirci i pezzi mancanti. Ed è anche un personaggio che sfugge alla completa lettura da parte dello spettatore. Anche in questo caso, vedremo se il futuro ci dirà qualcosa in più.

 

Per parlare dei ragazzini e di Eleven ci vorrebbe almeno un altro articolo (e noi l’abbiamo fatto), ma sì: sono assolutamente irresistibili.

Fra gli ottimi dialoghi, le performances eccellenti, e le loro personalità, questi personaggi sono  la chiave della magia di Stranger Things.

Uniti da una chimica straordinaria, i membri di questo gruppo sono l’apice del nostalgico, ma sono anche talmente vivi, talmente immersi nel loro mondo, che anche se io un gruppo così non l’ho mai avuto, durante quelle otto ore sarei stata pronta a testimoniare il contrario. Da un’impalcatura sorretta anche dalla nostalgia, Stranger Things costruisce anche un’occasione per sognare, per sentire ancora qualche emozione un po’ smarrita durante la crescita.

E un altro grandissimo punto a favore di Stranger Things è davvero semplice:

È bellissimo.


Stranger Things è semplicemente una meraviglia per gli occhi. Le ambientazioni, la mise-en-scène, i colori, le inquadrature.
Stranger Things si lascia guardare, anche a livello puramente estetico, con un tale piacere che è davvero difficile resistere al suo incanto. Splendida anche la colonna sonora, capace di evocare stati d’animo con una forza travolgente.

Per quanto possa sembrare banale da dire, Stranger Things è una serie che sa come tenerci col fiato sospeso, tenere viva la nostra attenzione, coinvolgerci e, soprattutto, sa come farci vivere una storia.

L’assenza di stalli narrativi, la sua semplice ma seducente storia, la ricchezza delle atmosfere e la durata decisamente conveniente della Serie fanno sì che si presti a una visione rapida e anche a una più controllata (ma vi sfidiamo a resistere).

Poi se siete dei grandissimi intenditori della cultura anni ’80 e giocare a “trova la citazione” inizia a sembrarvi un incubo, trasformatelo in un gioco alcolico e sicuro inizierete a trovarlo divertente (e fatemi sapere se è più avvincente di quello basato sulle imprecazioni in Pulp Fiction).

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