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Un giudizio finale su Sherlock, qualora non dovesse tornare mai più

Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di Sherlock

Sherlock si è davvero conclusa? Ci ha davvero abbandonati per sempre? Al momento parrebbe proprio di sì, anche se la speranza è sempre l’ultima a morire. Soprattutto perché quel finale non ci ha convinti fino in fondo. Non tanto per la sua completezza, sappiamo che Sherlock ha una capacità tutta sua di auto concludersi ogni volta per poi riaprirsi in una nuova avventura. Il vero problema è, però, proprio che ci lascia uno spiraglio, abituati come siamo ad una continua rigenerazione della serie. La rivisitazione in chiave moderna del detective più famoso al mondo, nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, rappresenta una delle migliori serie riuscite negli ultimi anni e, soprattutto per quanto riguarda la scrittura, è un piccolo gioiello imperdibile e unico nel suo genere. Pur non essendo una sceneggiatura originale, Sherlock riesce a conquistare come fosse qualcosa di completamente nuovo e non smette, nemmeno dopo quattro stagioni, di sorprendere e di incuriosire. Per questo motivo, a fronte della vana speranza che ancora abbiamo nel vedere una quinta stagione, è giusto tirare le somme di questa serie, che sarebbe troppo riduttivo definire solo detective story. Perché ci ha convinto in modo così viscerale? Perché dovremmo aver bisogno di una quinta stagione? E soprattutto perché mai non riusciamo a farne a meno?

Partiamo dall’ultimo quesito, che è poi quello attorno a cui gravitano anche gli altri due. Non riusciamo a fare a meno di Sherlock per un motivo molto semplice: è una serie ben curata nei minimi dettagli e nella scrittura, che sa creare una certa suspence ma anche forte tenerezza, con una narrazione completa e chiara, con un cast eccezionalmente perfetto e soprattutto con un’ambientazione perfettamente calzante con la rivisitazione su cui si basa. Insomma, Sherlock si avvicina alla perfezione e farne a meno significherebbe privarci di un prodotto come non se ne vedono molti. La serie ci appassiona come farebbe un bel giallo, ci commuove come solo un ottimo drama potrebbe fare e ci diverte, con quella tipica ironia inglese che non lascia indifferente quasi nessuno. Ci siamo affezionati al novello Sherlock Holmes soprattutto grazie a Steven Moffat (l’autore della serie, che ha saputo ricreare le trame tipiche del giallo ambientandole in una Londra moderna), ma anche e soprattutto attraverso la fantastica interpretazione di Benedict Cumberbatch che sembra essere nato per questo ruolo. Nonostante la serie abbia un formato molto particolare e poco utilizzato, delineato da stagioni da tre o quattro episodi che sono dei piccoli film della durata media di almeno un’ora, Sherlock riesce ad appassionare e ad intrigare senza mai far perdere interesse e, anzi, fidelizzando lo spettatore alla sua narrazione.

Ma allora veniamo al finale della quarta stagione, quel buco nero che ci ha avvolti nella speranza di rivedere Sherlock. A voler dire tutta la verità pare proprio che le intenzioni fossero quelle di una chiusura dell’intera serie: il mood è quello conclusivo, completo di voice over ad analizzare i protagonisti e la loro evoluzione (Mary, nel caso di Sherlock), di apprezzamento della propria realtà da parte dei personaggi, di un messaggio di commiato e addirittura di sigla finale che richiama quella iniziale. Insomma, gli autori di Sherlock, con quel finale, sembrano proprio volerci dire che è conclusa l’avventura dei due di Baker Street. Eppure, analizzando l’intera puntata, notiamo dei dettagli che sembrano essere lì per il solo scopo di incuriosirci e, forse, di ingannarci in pieno stile Sherlock Holmes. La puntata che chiude la quarta stagione è forse una delle più tensive, caratterizzata da una incessante ricerca e da una manipolazione psicologia da togliere il fiato. Finalmente scopriamo il volto della sorella degli Holmes, tenuta nascosta in quanto pericolosa per sé stessa e per gli altri. Ma altrettanto geniale, come tutti gli Holmes e forse anche di più. Apparentemente alleata di Moriarty, scopriremo solo alla fine una grave mancanza di amore che la porta alla follia più lucida. La puntata in sé, come ogni altra puntata di Sherlock, è davvero bellissima. Curata nei minimi dettagli e creata attraverso una narrazione perfettamente in linea con i temi trattati. Ma allora perché ci dà speranza?

Sherlock

Perché esattamente come Sherlock ritrova speranza nella sorella, speranza nell’amore e nella compassione, anche noi ritroviamo nel tipo di scrittura una luce alla fine del tunnel che ci porta a ritrovarci. Eurus, rimasta sola e abbandonata alla sua genialità distruttiva, ritrova nell’affetto del fratello una salvezza inaspettata. Noi, come lei, nonostante il sentore della fine ritroviamo negli sguardi di Sherlock la speranza di un ritorno. Illusi, forse. Inguaribili sognatori, probabile. Nell’enigma finale ci rivediamo come spettatori inermi di una serie che ci ha travolti, ci ha coinvolti e ci ha, infine, disillusi. Perdoniamo Sherlock, se davvero fine dovrà essere, solo per la sua magnifica capacità di farci amare (chi di nuovo, chi per la prima volta, chi per pura curiosità) il detective più scaltro al mondo, nonché forse quello più originale. Sherlock ha ridato vita al personaggio di Conan Doyle attraverso una nuova narrazione che, se letta male avrebbe potuto essergli letale. Invece Moffat riesce a fare un lavoro di riscrittura e di scrittura creativa fuori da ogni aspettativa. Sherlock vive in una Londra moderna, che si porta con sé proprio un carattere contemporaneo, sfuggente, frenetico, a tratti mistico. In questa Londra si muovono Holmes e Watson, diversi da quelli che ci ricordavamo ma al contempo molto simili. Ognuno dei due con i proprio traumi, ognuno dei due con le proprie caratteristiche. Entrambi unici e perfetti l’uno per l’altro, tanto che la serie stessa spinge molto sulla loro amicizia e sul loro legame e ne fa un perno dell’intera serie.

Sherlock
Sherlock

Sherlock è stata in grado di coniugare il vecchio col nuovo, l’ironia e la suspense, l’odio e l’amore. Alla fine dei giochi, quando gli enigmi sono finiti, Sherlock non è solo valida quanto piuttosto è indispensabile. In un mondo popolato da serie televisive, che affiorano da ogni parte e che cercano di convincere in tutti i modi, Sherlock non vuole convincere proprio nessuno. È quella che è, un riadattamento di un bellissimo giallo, niente di più. E, senza pretese, racconta le sue storie in maniera lineare, unica, originale e fuori dagli schemi. E, ovviamente convince proprio per questo. Il lavoro degli autori sui personaggi e lo studio dei casi da riadattare è talmente accurato da risultare quasi impercettibile; come fosse una sceneggiatura ex novo. Il lavoro che viene fatto intorno a Sherlock e intorno alla figura di Sherlock Holmes, è un lavoro finemente pensato che dimostra quanto lo studio dettagliato porti a risultato eccellenti. Sherlock diventa un’icona, ancora di più di quanto non lo fosse già, e arriva ad un pubblico diverso e nuovo che è pronto al rinnovamento. Lo conquista e ce la fa grazie ad un linguaggio mai scontato e soprattutto sempre ragionato. Ci mancherà davvero molto, ci mancheranno quei momenti di amore platonico tra Holmes e Watson, ma anche la ricerca sfrenata, le battute irrisorie dirette al comandante della polizia di Scotland Yard. Sherlock lascia un vuoto difficilmente colmabile, se non con la speranza stessa di rivederlo; magari in un’altra veste ancora, con un nuovo volto ancora, con un nuovissimo caso ancora, ma pur sempre Sherlock.