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Il rapporto tra Sherlock e Watson ci manca da morire

Sono passati anni ormai dall’ultima volta che abbiamo visto un nuovo episodio di Sherlock. Di notizie neanche l’ombra. Brancoliamo nel buio, nell’incertezza, senza sapere se la serie sia stata cancellata o se possiamo sperare in un ritorno. Non possiamo fare altro che ipotizzare, sognare, immaginare come sarebbe Sherlock Holmes tra dieci anni: Sherlock Distopia. Ma tra tutte le cose che ci mancano della serie – l’estro geniale del protagonista, la sua caccia a Moriarty con cui sembra danzare un walzer anziché combattere, i colpi di scena mozzafiato – ce n’è una della quale abbiamo un’intesa nostalgia. Ogni tanto fa capolino nella nostra mente, ancora continuiamo a pensare e ripensare all’incredibile amicizia tra Sherlock e Watson. Il loro rapporto ci ha conquistato fin dal primo episodio, diventando sempre più coinvolgente, sempre più intimo ed emozionante. E tra tutti, forse è proprio questo l’elemento che maggiormente ci manca della serie tv.

Sherlock

Quello tra i due protagonisti non è un rapporto convenzionale. Sono più le volte che si tengono a distanza, più quelle in cui non comprendono le scelte dell’altro che quelle in cui c’è un normale scambio di battute affettuoso. Ma l’uno per l’altro rischierebbe la propria vita. E l’abbiamo visto innumerevoli volte. Un’amicizia che evolve in una relazione quasi simbiotica, un legame viscerale che non può essere paragonato a nulla. È solo il bisogno dell’altro, che l’altro ci sia e stia bene. La consapevolezza di avere consegnato al proprio aguzzino di turno un’arma in grado di distruggere entrambi simultaneamente.

Ha un che di morboso, no?

Eppure, non è proprio questo attaccamento ossessivo che ci ha – a sua volta – legato indissolubilmente ai personaggi? Forse perché nella vita c’è bisogno di uno scopo per cui continuare a lottare, un altro obiettivo che non sia la sopravvivenza e la soddisfazione personale. E l’idea che questo scopo possa essere il bene e la salvezza di un amico è ciò che ha mosso qualcosa dentro di noi, che ci ha assuefatto e incatenati, finendo per diventare in qualche modo anche noi parte di quel rapporto incantevole e maniacale.

Sherlock & John hug

Tra i due, anche se sembra difficile crederci, è sempre stato Sherlock Holmes il più coinvolto. John – a modo suo – ha mantenuto la sua indipendenza, la sua voglia di realizzarsi anche attraverso l’amore per una donna e il desiderio di costruire una famiglia. Con occhio alla propria intimità e uno costantemente fisso sull’amico, per assicurarsi che stesse bene e che non combinasse guai. Ha cercato in qualche modo di conciliare i due ambiti, e al contempo di porre dei paletti.

Ma per Sherlock, il costruttore di palazzi, è stato diverso. Difficile crederlo, o forse scontato se la si guarda da un’altra prospettiva, John è diventato tutto il suo mondo. Nessuno a parte lui meritava tanta attenzione, nessuno a parte lui sentiva affine e degno di essere protetto. John gli ha insegnato ad aprirsi – anche se minimamente – al mondo circostante. A guardare alla vita con un pizzico di ottimismo, dandogli un motivo per cui valesse la pena vivere. Era il solo in grado di tenergli testa, anche se poi alla fine spettava a Sherlock l’ultima parola. John non si è mai tirato dietro nel momento in cui bisognava discutere. E neanche quando bisognava combattere. È la fiducia la chiave di tutto. La fiducia cieca nella purezza d’animo dell’amico. La consapevolezza che ci sarebbe stato, anche se a parole questo non era mai stato esplicitato.

Anzi, le parole potrebbero essere menzognere, astratte, effimere. Non avrebbero fatto altro che banalizzare un legame molto più vero, concreto, inossidabile.

peaky blinders

Sherlock non avrebbe mai permesso a nessuno di frapporsi tra lui e il suo compagno, nessuno avrebbe potuto portarglielo via. Perché se John si fosse allontanato, il mondo dell’investigatore Holmes sarebbe andato in frantumi. Un sentimento difficile da inquadrare, ma che guardando qualsiasi episodio della serie tv era possibile comprendere e sentire.

La curiosità per il veterano di guerra, l’affinità che immediatamente – come una scossa elettrica – hanno entrambi avvertito durante il primo caso. E ancora, la paura per l’incolumità dell’altro. Il terrore in grado di disorientare nel momento in cui ci si rende conto che la cosa più preziosa che si ha è anche la peggiore e più letale arma nelle mani di un folle nemico. Il dolore sordo per la perdita. Il sollievo quando John vede l’amico salvo e la rabbia per l’incoscienza di quest’ultimo. Per il suo egoismo. Un egoismo dato dal bisogno che l’altro stia bene, perché consapevole che la sopravvivenza di John equivale alla propria salvezza. E ancora la gelosia corrosiva quando questi decide di sposare Mary, il rifiuto e la successiva accettazione. Nel discorso che Sherlock tiene al matrimonio dei due si coglie tutta la difficoltà che prova nel lasciarlo andare, ma al tempo stesso tutto l’affetto che prova per lui e il desiderio che sia felice. E dopo questo la consapevolezza che proteggere la donna voleva dire salvaguardare la salute di Watson.

Emozioni che segnano come tappe la grande amicizia tra i due investigatori londinesi e che man mano diventa sempre più profonda, mette radici impossibili da estirpare e il pubblico si sente parte di quel rapporto, quasi protagonista di un’amicizia così speciale. Perché a prescindere dai casi, dalle affascinanti teorie e dalle brillanti deduzioni, Sherlock è anche Holmes e Watson. La storia di un’amicizia che va oltre le convenzioni, oltre le regole e le sovrastrutture. Un’amicizia che ha i connotati tipici dell’amore, non quello romantico, ma quello puro e reale che unisce due persone. Un rapporto profondo e istintivo, e nello stesso tempo irrazionale e acritico, quasi congenito alla natura stessa dei personaggi. In grado di toccare le corde più intime dello spettatore.

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