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Quanto risparmiano le piattaforme streaming eliminando una serie tv dal proprio catalogo?

Le serie tv sono ormai diventate il pane quotidiano della nostra vita. Parte integrante della giornata tipo di ogni fan che si rispetti, potremmo quasi dire che la nostra ossessione ha origini piuttosto profonde, quando ad esempio tra gli anni ’90 e 2000 (ma per alcuni anche anni prima) il programmi televisivi per bambini e ragazzi ci hanno fatto conoscere delle serie tv animate che ci hanno appassionato fin da subito. Poi gli anni sono passati, siamo cresciuti e abbiamo conosciuto storie a episodi di diverso genere. Siamo passati attraverso serie di un certo calibro come Lost e Breaking Bad, approdando, prima o dopo, a cosa più leggere come i teen drama. Non solo Dawson’s Creek, ma anche tutta una serie di sviluppi futuri del genere, che ci ha portato nell’Upper East Side di Manhattan con Gossip Girl e in California con The. O.C., fino a vedere un’evoluzione del genere, che si è spostato sul fantasy facendoci conoscere Teen Wolf e The Vampire Diaries, serie tv che, tra l’altro, ci ha fatto capire che alla fine Ian Somerhalder è un bravo attore. Una ulteriore evoluzione, di quelle importanti, è stata data dalle piattaforme streaming e dagli abbonamenti vantaggiosi che sono stati proposti. A fare da apripista nel nostro Paese ci ha pensato Netflix, che ha sempre cercato di proporre un catalogo ricco e variegato, facendosi apprezzare, soprattutto nell’ultimo periodo, per le sue serie true crime cosa che in qualche modo riesce sempre a coinvolgere lo spettatore. Anche le piattaforme streaming, tuttavia, stanno pian piano cambiando faccia ed evolvendosi, e nello specifico negli ultimi mesi sono state introdotte novità e modifiche introdotte per contrastare il calo degli abbonamenti.

Sempre più spesso, inoltre, abbiamo visto che gli streamer eliminano dai loro cataloghi determinate serie tv, cosa che, in realtà, sembra porti a un discreto risparmio.

Di quanto si parla però, nello specifico? E poi, è davvero da considerarsi un risparmio consistente? Rimettiamo un po’ le cose in ordine. Ormai è passato un anno da quella che è stata definita la “big Netflix correction”, ovvero quel cambiamento paradigmatico seguito all’annuncio che la piattaforma streaming più nota al mondo avesse cominciato a perdere abbonati. Fino a quel momento Wall Street stessa aveva in qualche modo premiato lo streamer pensando che la crescita dei suoi abbonati sarebbe stata sempre e comunque costante, e al tempo stesso diversi altri studios a Hollywood si erano lanciati in progetti simili, per replicare il successo di un grande competitor come Netflix, creando piattaforme proprietarie e investendo miliardi di dollari in contenuti con l’unico scopo di aumentare il numero di abbonati.

Il crollo in borsa subito da Netflix, tuttavia, ne ha dimezzato la capitalizzazione e l’ha portato a dover cambiare drasticamente strategia, concentrandosi di più sulla generazione di nuovi profitti per andare poi a evidenziare i progressi nelle successive comunicazioni trimestrali. Dopo un anno e mezzo circa da questo riassestamento sembra che Wall Street abbia ben accettato questo cambio di rotta, anche perché l’interesse principale per gli investitori rimane sempre e comunque il profitto. Questo tipo di modifica ha però colto alla sprovvista gli altri studios, che attualmente non riescono ad avvicinarsi ai numeri di Netflix e, anzi, si trovano in una situazione di pesante perdita, avendo investito miliardi di dollari in piattaforme streaming che non sono cresciute quanto in realtà avrebbero voluto. Investimenti in perdita che certamente non vengono visti bene dalla borsa, motivo per cui Warner Bros. Discovery, Paramount, Comcast e soprattutto Disney hanno dovuto prendere provvedimenti piuttosto drastici per riordinare i conti, tramite licenziamenti, tagli agli investimenti, aumento del costo degli abbonamenti e contemporaneamente lancio di abbonamenti più economici (che spesso vedono la presenza aggiunta di pubblicità) e rimozione dai cataloghi di film e serie tv per poter avere un risparmio.

È proprio questo ultimo aspetto, come ben si può intuire, a preoccupare gli abbonati, che si sono visti togliere 20 serie tv da HBO Max, 5 da Paramount+, una da Showtime e Starz e all’incirca una dozzina da Disney+ e Hulu, più un determinato numero di serie tv di catalogo tra le quali figurano, per Disney+, sia Willow che Dollface. Ma cosa succede, davvero, quando una serie tv viene tolta da una piattaforma streaming? L’obiettivo che porta a questa scelta, generalmente, è quello di risparmiare sul pagamento dei compensi residuali di autori e attori. Tendenzialmente uno streamer va a rimuovere serie apparentemente poco popolari e il cui costo non ne giustifica la presenza in piattaforma. Per capire a quanto ammonta il risparmio in questione, su Puck Jonathan Handel ha fatto un calcolo piuttosto interessante, partendo dalla serie tv Elena, Diventerò Presidente, che ha debuttato nel 2020 ed è stata cancellata dopo 2 stagioni e successivamente rimossa da Disney+ a maggio di quest’anno, ma arrivando comunque a un totale di 20 episodi.

Usando questi dati e basandosi al tempo stesso su i contratti collettivi sindacali (due dei quali, per attori e sceneggiatori, sono al centro degli scioperi anche per quanto riguarda i compensi residuali dello streaming), Handel dichiara che i costi di un episodio dello show per il primo anno su Disney+ sono quasi $16,000 per il regista, circa $15,500 per i vari sceneggiatori (in proporzione al numero e al credito che ricevono), e una cifra in base allo stipendio di ogni attore per un massimo di $4,450 ciascuno (quindi si è fatta una media di circa $32,283 per episodio). In totale dunque i residuali pagati per un episodio della serie nel primo anno di disponibilità su Disney+ ai membri del sindacato DGA, WGA e SAG-AFTRA ammontano a $63,797. Moltiplicando questi soldi per dieci episodi si arriva a un totale di $637,000 per una stagione. Arrivati al secondo anno di disponibilità sulla piattaforma la cifra per la prima stagione cala a $567,000, ma contemporaneamente c’è stata anche l’uscita della seconda stagione, perciò dopo quanto pagato da Disney+ per la prima stagione ora al cifra arriva ad ammontare a circa 1.2 milioni di dollari, visto che le due stagioni coesistono in catalogo nello stesso momento.

Handel quindi stima che dopo aver eliminato dalla piattaforma le due stagioni della serie tv dopo la sua cancellazione la Disney abbia risparmiato circa 2.6 milioni di dollari in compensi residuali nei prossimi cinque anni. Se si fosse deciso di produrre una terza stagione, la spesa sarebbe salita a 4.5 milioni di dollari, senza considerare bonus e compensi aggiuntivi promessi ad alcune star o showrunner per determinate serie tv. Non dobbiamo però pensare che tutto sia perduto. I fan di Willow, ad esempio, non devono dare la serie tv persa per sempre, perché se pure in passato, tolte le repliche, non molte serie tv venivano distribuite in home video, adesso la scomparsa di una serie tv da una piattaforma streaming non significa che sia scomparsa definitivamente. Se da un lato dunque Disney cerca di avere un risparmio rimuovendo dal catalogo Disney+ delle serie, dall’altro potrebbe provare a generare altri profitti proponendo quegli stessi show su licenza ad altre piattaforme streaming. Non necessariamente soltanto Netflix, ma anche canali FAST come Tubi o PlutoTV, note per essere piattaforme streaming totalmente gratuite. In questo caso i compensi residuali si calcolano sull’accordo di licenza e costano decisamente meno allo streamer iniziale (tutto questo a discapito, purtroppo, di attori, sceneggiatori e registi che infatti stanno scioperando anche per questo motivo).