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“I nomi ci sono dati da Dio. Io ho tradito Dio, quindi non ho più un nome”. (Scar, Fullmetal Alchemist: Brotherhood).

Il concetto di antieroe ha permeato da sempre, nella narrazione letteraria, cinematografica e infine seriale, l’essenza delle figure più affascinanti delle storie che venivano raccontate. Fullmetal Alchemist: Brotherhood (2009, anime fedelmente tratto dal manga Fullmetal Alchemist di Hiromu Arakawa), in questo senso, non fa eccezione. Il personaggio di Scar è senza dubbio l’antieroe più interessante della storia su Ed e Al Elric e, anzi, si potrebbe dire che per una buona fase egli sia un vero e proprio villain. Ma è la perfetta ricostruzione del suo passato e delle sue ragioni che permettono allo spettatore di capire che non è “vendetta” l’unica parola associabile all’uomo con la cicatrice: ci sono compassione, lealtà e, soprattutto, fratellanza.

Scar è un ishvaliano, cioè un originario di Ishval. Il popolo di Ishval è stato sterminato nella guerra contro Amestris e, in particolare, sono stati gli Alchimisti di Stato a contribuire a questo sterminio. Scar non sa, almeno fino a un certo momento della storia, che la guerra era stata scatenata dagli homunculus, contro i quali rivolge la sua furia vendicativa inizialmente diretta ai soli Alchimisti. Il fatto che Scar non abbia un nome in realtà è molto più significativo di quanto possa apparire: secondo il suo popolo, il Dio Isvara assegna a ognuno un nome come un dono, quindi il nome è la più alta forma di riconoscimento per un ishvaliano. Votando la sua vita alla vendetta, Scar ha tradito quel dono e non può che rinunciare al suo vero nome.

fullmetal alchemist: brotherhood

La vendetta è un sentimento che, a lungo andare, si rivela privo di senso. Soprattutto, essa è autoalimentata e di conseguenza ti costringe a girare in tondo, senza arrivare mai davvero da qualche parte. Scar, ad esempio, sceglie di assassinare tutti gli Alchimisti di Stato per odio verso l’alchimia, utilizzando in una sorta di contrappasso dantesco, l’alchimia stessa. Come puoi ergerti a superiore, gli chiede Edward Elric, e detentore di un diritto di vita e di morte sugli altri se utilizzi le stesse arme di distruzione che ti hanno portato via tutto? Scar non ha una vera risposta a tale domanda.

Perché la vendetta è un serpente arrotolato su se stesso che divora la sua coda e, alla fine, finirà per divorare se stesso. È per questo, per il fatto che non è solo la vendetta a caratterizzare questo personaggio, che la domanda “cosa significa essere Scar” assume maggior significato. Innanzitutto, vendetta per cosa?

Quando è finita la guerra di Ishval, Scar non aveva più niente. Egli era un monaco guerriero, e la persona cui teneva più al mondo era suo fratello, un monaco scienziato studioso dell’alchimia in ogni sua forma. Quando ci fu l’esplosione ad opera di Kimbly che uccise tutti i monaci e mutilò i due fratelli, il fratello di Scar decise di sacrificare la sua vita cedendogli il proprio braccio, che il guerriero aveva perso in seguito all’esplosione. Una volta risvegliatosi, e resosi conto che il fratello non c’era più, Scar uccise per rabbia e disperazione tutti coloro che si stavano occupando delle sue ferite, tra cui i genitori della piccola Winry. Anni dopo, nella sua spirale di vendetta a danno degli Alchimisti di Stato, Scar ha la possibilità di incontrare proprio Winry, la figlia dei dottori Rockbell, da lui brutalmente uccisi mentre facevano di tutto per curarlo. In questa occasione, Scar le dice che rispetta la sua volontà di ucciderlo: Scar, in questa fase iniziale della storia, prova rispetto solo per la vendetta, che sia la sua o di altri. Tuttavia, si inizia a scorgere qualche crepa: quando Ed si immola per impedire all’amica di attaccare Scar, salvandole la vita, l’ishvaliano è testimone, per un momento, di quell’amore cieco disposto a tutto pur di salvare la vita di chi si ama, anche sacrificare la propria, esattamente come suo fratello aveva fatto con lui. L’uomo, di fronte a questa scena, desiste momentaneamente dall’attacco.

Non si può parlare di pentimento, certo. Ma di simpatia (συμπάθεια): dal greco soffrire insieme, è il sentimento che permette a qualcuno di comprendere le sofferenze altrui, e non necessariamente perché ne ha vissute di simili. In altri termini, Scar mostra di conoscere il profondo significato della parola compassione, perché non è sempre stato una macchina ammazza-alchimisti. Si pensi ancora alla vicenda della chimera Nina: è la prima volta che il personaggio viene introdotto in maniera diretta in Fullmetal Alchemist: Brotherhood e, dopo aver ucciso il folle padre che ha trasformato la figlia in un innocente mostro, le toglie la vita per interrompere le sue sofferenze.

Essere Scar significa essere soli. Una vita dedicata alla vendetta può iniziare a perdere di significato quando ci si rende conto di quanto inutile sia vendersi a un sentimento talmente distruttivo. Non a caso, Scar utilizza l’alchimia per distruggere, non per creare: egli ha pensato che la sua missione, dopo la morte del fratello, sia di distruzione e non di creazione. Eppure, ed è per questo che l’arco narrativo di questo personaggio è così affascinante, l’incontro con i protagonisti della storia muta non tanto la sua prospettiva, quanto i limiti entro cui quella prospettiva viene applicata. Guardiamo ancora al rapporto con Winry. Più avanti, nella storia, Scar si trova in condizioni di salute che necessitano l’intervento della ragazza, che non rifiuta di aiutarlo nonostante avrebbe tutte le ragioni per farlo: ancora una volta colpito, l’ishvaliano le chiede se pensa che potrà mai perdonarlo per ciò che le ha fatto. La risposta di Winry è un’altra lezione per l’antieroe: non può perdonarlo ma i suoi genitori avrebbero voluto che lo aiutasse, se ne avesse avuto bisogno, e così avrebbe fatto. La richiesta del perdono mostra una netta differenza rispetto all’incontro precedente, un’attenzione verso l’altro che sembra ricordare lo Scar monaco di quanto il fratello era ancora in vita.

Ma forse più determinante ancora è l’incontro con Alphonse Elric, l’altro protagonista di Fullmetal Alchemist: Brotherhood. C’è qualcosa di indissolubile che, in un certo qual modo, li lega: entrambi sono vivi grazie al proprio fratello.

La perdita, però, è stata molto diversa: Scar ha perso suo fratello, Al no, ma ha perso il suo corpo. La fratellanza, la simbiosi che lega i due fratelli protagonisti è tale che la perdita del corpo di Al è sentita ad Ed come se avesse perso del tutto il fratellino. C’è una morte, c’è una distruzione costante nei fratelli Elric ma ciò che li distingue da Scar è la voglia di creazione: creare come riottenere i propri corpi, creare come non cedere alla vendetta. È sconvolto Scar quando vede che l’armatura di Alphonse è vuota ed è anzi l’unico oggetto fisico che lo tiene legato al mondo dei vivi: ancora più sconvolto è quando nota che non c’è rabbia nel ragazzo, ma addirittura volontà di anteporre le battaglie di altri alla propria, se necessarie a fare ciò che è giusto. Questa è l’altra grande lezione che Scar apprende, ma non è una lezione sconosciuta: Scar ha dentro di sé quel sentimento di fratellanza che gli ha permesso di amare e odiare il fratello per avergli salvato la vita.

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Essere Scar è il trionfo delle contraddizioni. Essere Scar significa dedicare la vita alla vendetta e capire che non c’è mai fine al distruggere, almeno fino a quando non si comprende quanto sia più bello creare. Ed è per questo che, graziato da Olivier Armstrong per i crimini commessi a causa del suo contributo nello sconfiggere gli homunculus, deciderà di completare il suo arco narrativo per la prima volta creando: aiuterà l’altro ishvaliano Miles a cercare i superstiti del suo popolo nel mondo, per ricostruirne la cultura e la società. Ed è questo finale che, malinconicamente, spiega cosa significhi essere Scar: significa accettare le mostruosità che si sono commesse, gli errori del passato, perché si è arrivati a un punto in cui si accetta, al contempo, di poter essere un uomo migliore. E dopo la distruzione c’è sempre la creazione. Sempre.

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