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Monaco: sull’orlo della guerra – La Recensione del nuovo film Netflix

Settembre 1938. Monaco di Baviera, Germania. In una città tirata a lucido dalla propaganda, ma non solo, si incontrano i quattro leader politici europei più importanti dell’epoca: Adolf Hitler per la Germania, Benito Mussolini per l’Italia, Neville Chamberlain per il Regno Unito e Édouard Daladier per la Francia. I quattro devono discutere e trovare una soluzione che accontenti il padrone di casa riguardo una regione dell’allora Cecoslovacchia, abitata prevalentemente da cittadini di lingua tedesca: i Sudeti.
Ovviamente la Storia la conosciamo tutti, anche se una ripassatina non fa mai male. L’altra invece, quella con la esse minuscola, quella raccontata in Monaco: sull’orlo della guerra, inizia qualche anno prima, nel 1932, in una della più prestigiose università del mondo, Oxford.

Durante una festa universitaria tre giovani studenti sono in disparte e chiacchierano con passione della situazione socio-politica che si sta delineando in Europa. Da una parte ci sono due studenti tedeschi, Lenya e Paul, dall’altra un inglese, Hugh. Sebbene Paul e Lenya siano di fatto una coppia hanno un’idea opposta della nuova Germania che da poco aveva consegnato nelle mani di Hitler il parlamento con una maggioranza molto ampia di seggi. Paul sostiene con trasporto che il nazionalsocialismo è il futuro della Germania e che solo Hitler è in grado di restituire al popolo tedesco la sua grandezza e il giusto posto all’interno dell’Europa. Lenya, ebra, è preoccupata perché la violenza e il razzismo con i quali i nazisti si muovono sono già spaventosi. Hugh pare essere d’accordo con Lenya, sostenendo che i nazisti siano pericolosi per il continente e per la Germania stessa.

Il trio si incontra nuovamente qualche mese dopo a Berlino. In una classica Bierstube (le tipiche birrerie tedesche dove la birra viene venduta a boccali da un litro) dove già si vedono le famigerate camicie brune i tre sono ancora lì a discutere animatamente. Ma questa volta la discussione degenera: Paul è troppo veemente nell’elogiare il nazismo e viene accusato, seppure velatamente, dall’amico Hugh di esser diventato un irriconoscibile fanatico. Queste accuse porteranno i tre a rompere definitivamente l’amicizia e i contatti. Fino alla Conferenza di Monaco, nel 1938, quado i due giovani uomini si ritroveranno di fronte con l’intenzione di scongiurare lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Monaco: sull’orlo della guerra è un nuovo film di Netflix uscito il 21 gennaio scorso. Si tratta di una co-produzione tedesco-britannica scritta da Ben Power, diretta da Christian Schwochow, con Jeremy Irons nei panni di Sir Neville Chamberlain, George MacKay in quelli di Hugh, Jannis Niewöhner in quelli di Paul e Liv Lisa Fries in quelli di Lenya.
La storia è tratta da un romanzo del 2017 di Robert Harris, già autore, tra le altre cose, di Fatherland, L’ufficiale e la spia (da cui l’omonimo film sempre su Netflix) e Il gosthwriter (da cui L’uomo nell’ombra diretto da Roman Polanski, con Ewan McGregor e Pierce Brosnan).
Il film, così come il romanzo, sfrutta un avvenimento realmente accaduto per costruirci attorno una sorta di spy story drammatica. Le sorti del mondo non verranno cambiate, è chiaro, non si tratta di una ucronia, come invece è Fatherland. Ciò che invece cambiano sono i punti di vista dei protagonisti trasformando così il film in una sorta di studio sui personaggi e sulla loro crescita interiore.

Malgrado si conosca già l’esito della Conferenza di Monaco, sia nell’immediato (i Sudeti) che nel futuro (la Seconda Guerra Mondiale), la sapiente regia di Christian Schwochow è capace di regalare una continua e crescente tensione in grado quasi di convincere lo spettatore che sia possibile cambiare la Storia. L’apparente successo politico di Chamberlain permette, alla fine del film, di tirare un sospiro di sollievo con la consapevolezza che l’imminente catastrofe sia stata rinviata a data da destinarsi.
In Monaco: sull’orlo della guerra lo spoiler fa parte del gioco ma non dà assolutamente fastidio, anzi. Permette di concentrarsi maggiormente sui due protagonisti maschili, capaci di incontrarsi fisicamente e ritrovarsi spiritualmente entrambi sulla stessa sponda del fiume, la Storia, che scorre velocemente e nel pieno della piena.

monaco: sull'orlo della guerra

Il tempo stringe e l’inquietante paralisi di chi dovrebbe fare di più per evitare l’apocalisse risulta deleteria per lo spettatore. Quando in mano ci sono tutte le carte per vincere il gioco e chiudere la partita l’immobilismo di chi si crede più furbo per via del ruolo che occupa rispetto al subordinato che invece si danna l’anima è fastidioso e fa venire voglia di battere i pugni contro lo schermo e gridare “sveglia! ascoltateli, salvate il mondo dalla futura tragedia!”. Così non può essere e non sarà, ovviamente e la frustrazione dei due protagonisti risulta concreta, reale e precisa per ciascuno dei due dal loro punto di vista.
In Monaco: sull’orlo della guerra la finzione, dunque, si sposa molto bene con la realtà. Si ha l’impressione che la storia raccontata possa essere effettivamente accaduta all’interno della Storia. Mentre ci si gustano piacevolmente le vicende di entrambi i protagonisti, siano esse più o meno personali e comuni come la vita famigliare, l’incombenza della tragedia aleggia su di loro senza esser mai vista. Persino del nazismo si vede poco, a esclusione di Hitler (interpretato da Ulrich Matthes, già Joseph Goebbels nel meraviglioso La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler), risultando molto opacizzato e per questo dando l’impressione che sia molto meno pericoloso di quello che in realtà è, nel film, e sia stato nella Storia. Una scelta perfettamente in stile per l’epoca durante la quale ben pochi avevano chiaro in mente la pericolosità dei nazisti.

L’impressione generale di Monaco: sull’orlo della guerra è quella di un piacevole prodotto che si lascia guardare senza tanti problemi. La parte vera del film forse tende un po’ verso il revisionismo storico dando a Chamberlain il ruolo di scaltro diplomatico che ha salvato la Gran Bretagna concedendole un anno di tempo in più per prepararsi alla guerra. Quella finta, invece, non potendo uscire da binari già prestabiliti, risulta ben congeniata e verosimile, utilizzando personaggi comuni e privi di superpoteri.
Le ricostruzioni di interni ed esterni sono molto ben curate (meravigliosa l’auto sulla quale la delegazione inglese lascia l’hotel) dando l’idea di un’epoca che avrebbe potuto, e dovuto, essere d’oro per tutta l’umanità.
Gli attori protagonisti (veramente mal sfruttate tutte le parti femminili, purtroppo!) ben caratterizzano i personaggi che interpretano risultando efficaci e coerenti. Tra tutti spicca senza dubbio l’interpretazione di Jannis Niewöhner. Il suo Paul è il personaggio più complesso e interessante del film dal momento che parte come un invasato nazista e finisce col ritrovarsi in mano le redine del mondo senza riuscire a cambiarne una virgola. La sua conversione, che lo trasforma in un feroce anti-Hitler, è dovuta alla violenza espressa dalla dittatura nazista, una violenza molto personale in realtà, che lo obbliga ad aprire gli occhi e rendersi conto della mostruosità che occorre combattere in tutti i modi possibili, anche a costo della vita, così com’è stato per molti uomini e donne della resistenza tedesca.

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