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Il film della settimana: …E ora parliamo di Kevin

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto …E ora parliamo di Kevin.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere …E ora parliamo di Kevin? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Timvision (a noleggio su Amazon Prime Video ed Apple Tv), …E ora parliamo di Kevin è incentrato su una madre, Eva, che ha rinunciato alle sue ambizioni professionali e a vivere nella sua amata New York per crescere suo figlio Kevin nella tranquillità della provincia. Il rapporto con lui, però, è stato difficile fin da subito, quando non smetteva mai di piangere da neonato, non parlava e non faceva altro che disobbedire man mano che cresceva. Tutto solo per provocare sua madre. E a sedici anni compie un gesto terribile, premeditato e che fa interrogare Eva sulle sue responsabilità nei confronti di Kevin, ripercorrendo il loro rapporto in cerca di sue mancanze, di cosa avrebbe potuto fare di diverso e, soprattutto, di un perché. 

Lyanne Ramsey ci porta all’interno di un drammatico rapporto madre-figlio e, ampliandone l’orizzonte, di una famiglia già nata con un’enorme frattura che, non essendo mai stata riparata dal condividere sentimenti e paure, ha portato piano piano a un cedimento dell’intera struttura. È tramite il flusso di coscienza di Eva che il film si srotola; una donna dura, impenetrabile e che scopre una debolezza dolorosa, causata dal suo stesso figlio. La grandissima Tilda Swinton ci ha regalato una delle sue migliori interpretazioni (a detta di molti, la migliore), vergognosamente ignorata dagli Oscar. È chiusa in una lotta intensa, psicologica, asfissiante e violenta con quel Kevin dagli occhi malvagi ma inquietantemente intelligenti di un giovane Ezra Miller. Mentre l’escalation degli eventi ci porta a un finale agghiacciante, la crudezza narrativa è bilanciata dallo stile espressivo, pieno di significati, realistico nel ritrarre la sofferenza profonda di Eva e da una colonna sonora che comunica efficacemente ogni emozione dell’inferno in cui è caduta una famiglia comune.

Oscuro, tenebroso, potente e riflessivo, è un trattato sull’origine del male che avevamo inserito tra i film ingiustamente poco considerati che dovreste assolutamente vedere. E per delle buonissime ragioni, che verranno sviscerate nella seconda parte del pezzo, terreno dell’analisi di questo crudo e meraviglioso gioiellino

SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di …E ora parliao di Kevin

E ora parliamo di Kevin
Eva e il piccolo Kevin nel film su Timvision

Già dai primi momenti emerge come …E ora parliamo di Kevin sia un film pieno di significati. Se nella prima inquadratura il buio della notte si dissolve fino a che lo schermo si colora di bianco (simbolo dell’ingresso e dell’uscita nel finale dalla mente di Eva), già nella seconda vediamo quanto il colore rosso domini sugli altri, colorando l’intera pellicola. Troviamo Eva al festival spagnolo della Tomatina, immersa in quella polpa di pomodoro rossa che è un chiaro presagio del sangue che verrà versato. È un momento di pura libertà e di estrema gioia che, però, cela un’inquietudine che possiamo toccare con mano, proprio grazie al colore rosso. Lo stacco, poi, ci porta nel presente in cui la protagonista è sconvolta, stanca, sciupata e sola. Con una fotografia che tende sempre al rosso, lei esce di casa e scopre che qualcuno l’ha imbrattata con della vernice. Il colore? Ovviamente rosso. Bollata come l’assassina, colpevole quanto Kevin delle colpe di quest’ultimo. 

La vernice, poi, diviene simbolo del sangue. Infatti, per tutta la pellicola Eva tenta di rimuoverla sporcandosi di rosso: è il sangue innocente che non riesce a lavare via dalle mani. 

Il montaggio stacca di nuovo, portandoci indietro nel tempo, quando ancora la strage non si era compiuta. La casa della famiglia di Eva è immersa nel bianco e nel beige, i quali fanno risaltare ancor di più quelle macchie di rosso presenti in tutto il film, in oggetti come le scarpe della secondogenita, la teiera, una lampada, la marmellata spalmata sul pane, le luci rosse e i bersagli dell’arco di Kevin. La benda sull’occhio della piccola è un altro presagio da non sottovalutare. Da lì, però, il film ci porta a due inquadrature identiche in cui prima Eva, poi Kevin hanno la faccia immersa nell’acqua, per poi tirarla fuori (Kevin) e specchiarsi (Eva): è l’identificazione tra i due personaggi e il fatto che condividono la colpa di ciò che è successo. Ma non la vediamo la strage, perché il punto di vista è quello della madre e lei non ha mai assistito a essa, ma solo al prima e al dopo. 

Ed è sempre il primo frame che mostra l’importanza del sonoro nell’opera su Timvision. Lì è già presente il rumore degli irrigatori che percorrerà tutto …E ora parliamo di Kevin, trovandosi principalmente nelle scene di tensione – dove, attraverso la sovrapposizione di suoni, si una sensazione di disagio in noi – e di violenza. Solo dopo ci viene rivelato la natura di quel suono (così come succederà ad altri, ad esempio la sega circolare durante il massacro) che proviene dal giardino, in cui giacciono i corpi del padre e della sorellina di Kevin. Inoltre, il suono delinea il rapporto madre-figlio, con il pianto del bambino che, assieme al martello pneumatico ed altri rumori urbani, conducono la madre alla disperazione e fanno nascere il suo risentimento verso il piccolo Kevin.

Tilda Swinton nel film su Timvision

Concentriamoci ora su Eva, Kevin e il loro rapporto.

Dal primo momento ci viene mostrato come Eva (e non è un caso che si chiami come la prima donna e la prima madre) non volesse rimanere incinta, non volesse Kevin e lo rifiuti finché non nasce. Tutte le future mamme attorno a lei sono piene di gioia per il lieto avvenimento; Eva invece vive con grandissima infelicità la sua gravidanza, impossibilitata a fuggire e con lo sguardo spento, e non prova nessuna emozione quando prende in braccio Kevin per la prima volta. Costretta a rinunciare a ciò che le piaceva, compreso il viaggiare (le cartine geografiche in camera sua lo dimostrano), la sua vita viene stravolta da questo bambino, a cui sa solo offrire gesti automatici, setimenti vuoti, pratiche da manuale e visite mediche. Frustrata e delusa, ancorata a un punto fisso, arriverà in un’esplosione di rabbia a dire al figlio:

“La mamma era felice prima che il piccolo Kevin arrivasse

Attraverso Eva (personaggio complessissimo, impossibile da etichettare, empatizzabile ma fino a un certo punto) viene mostrata una madre in crisi, che affronta una maternità che non voleva mentre tenta di preservare la vecchia sé che piano piano sta svanendo. Tuttavia, i bambini non sono stupidi e Kevin comprende subito i sentimenti contrastanti che sua madre prova per lui e reagisce di conseguenza. Mettendola in discussione, ricattandola emotivamente. Basti pensare a quando Kevin dà a sua madre il pannolino sporco, come a dirle che non merita altro che le sue feci da pulire, o alla cena organizzata da Eva per trascorrere del tempo con lui, in cui il ragazzo risponde sprezzantemente alle banali domande che gli pone. Usa la crudeltà e la cattiveria in un modo tale che non capiamo fino in fondo, tanto da domandarci: lo fa per essere punito? Per senso di colpa? Per ottenere delle attenzioni? Per essere amato? Già, perché Eva si prende cura di lui, ma non gli sorride mai né lo abbraccia sinceramente.

Certo, piano piano Eva accetta il suo ruolo di madre e impara in qualche modo ad amarlo, allo stesso modo di come Kevin ama sua madre. Lei lo cerca sempre e lo va a trovare anche in carcere. Lui fa emergere i veri sentimenti che prova per i genitori nei momenti di difficolta: ad esempio, quando sta male, non si rivolge a quel padre che sembra adorare, ma alla madre che tanto disprezza. Non a caso, Eva è l’unica che risparmia nella strage, anche se il motivo potrebbe essere un altro.

E ora parliamo di Kevin
Ezra Miller e Tilda Swinton nel film su Timvision

Eccola la domanda delle domande in …E ora parliamo di Kevin: qual è la ragione della strage?

Anche Eva se lo chiede, mentre il senso di colpa la lacera nella convinzione di aver creato un mostro e di aver fallito come madre. …E ora parliamo di Kevin riprende il cliché dei bambini malvagi, consapevoli fin da subito del male tanto da divenirne quasi una personificazione, che troviamo spesso negli horror alla Omen e Orphan. Film dell’orrore che sono presenti anche nella fotografia e nelle atmosfere, specie il Suspiria di Dario Argento. Sono bambini che incarnano l’incubo dei loro genitori, facendogli chiedere, come a Eva, se la colpa fosse davvero sua. 

Certo, Kevin mette in scena questo spettacolo per vendicarsi della madre, togliendole ogni cosa ma non la vita. Perché lei è il suo pubblico e non si uccide la propria audience, come dice Kevin stesso. Ma la sensazione è che ciò non esaurisca la risposta alla domanda. La regista stessa non l’ha voluto chiarire, lasciandola alla nostra interpretazione. Attraverso il monologo di Kevin riguardante la televisione, l’informazione e i social, potrebbe averlo fatto per il semplice bisogno di apparire e di fuoriuscire da una banale quotidianità. A sostegno di ciò, c’è il suo inchino prima della carneficina e l’uso di un’arma così particolare come l’arco. Inoltre, …E ora parliamo di Kevin non accenna a possibili disturbi mentali del ragazzo, lasciando a noi il compito di ipotizzarli e, soprattutto, di rispondere alla domanda: quegli atteggiamenti da bambino erano sintomi di una malattia o l’occhio di Eva ha ingigantito quei capricci? Ma soprattutto, malvagi si nasce o si diventa?

La verità è che non c’è una spiegazione univoca e definitiva alla follia di Kevin. Rimane senza risposta, come succede per la maggior parte delle stragi nelle scuole statunitensi. Volontariamente o meno, infatti, l’inchino di Kevin con la bandiera americana sullo sfondo amplia il discorso e la riflessione a livello sociale e non solo individuale, rimandando ai casi di cronaca simili a quello affrontato in …E ora parliamo di Kevin. E lo stesso ragazzo non sa dare una risposta ai perché di Eva. Del resto, il male non necessita di giustificazioni. Ma proprio nel confronto finale tra madre e figlio, si raggiunge una diversa profondità: si tratta del diventare adulti, di porsi interrogativi e di trovare nella crescita una nuova versione di sé, senza più identificarsi nella conflittualità con la figura genitoriale. Stringendo finalmente tra le proprie braccia l’amore mascherato dal dolore.

Il film della scorsa settimana: Il treno per il Darjeeling