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Il film della settimana: Cloud Atlas

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Cloud Atlas.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Cloud Atlas? Ecco la risposta senza spoiler

Quando si parla di film ingiustamente sottovalutati, Cloud Atlas salta subito nella nostra mente. Disponibile su Amazon Prime Video fino al 30/04, su Sky e Now (a noleggio su Apple Tv), l’opera si dipana in sei storie apparentemente differenti – così come i generi a cui appartengono – ma che formeranno un racconto unitario. Nel 1849 l’avvocato americano Adam Ewing si batte per la libertà di uno schiavo, ricalcando il film storico d’avventura; nel 1936, in un dramma romantico, il giovane compositore scozzese Robert Frobisher cerca di sfondare con il suo Sestetto l’Atlante delle Nuvole, mentre lavora per l’anziano e famoso collega Vyvyan Ayrs; nel 1973, in perfetto stile thriller, la giornalista Luisa Rey si trova invischiata in un pericoloso scandalo in quel di San Francisco; nel 2012 l’anziano editore Timothy Cavendish finisce con l’inganno in un ospizio e ne pianifica la fuga (è la commedia dell’assurdo); nel 2144 c’è la distopia dove un clone creato per servire i clienti nella Neo Seul, Sonmi-451, scopre il suo diritto alla vita; infine, nel 2321 la civiltà futuristica è svanita, lasciando un mondo fantascientifico dove gli essere umani, che siano primitivi o iper-tecnologici, combattono per sopravvivere.

Lana e Lily Wachowski e Tom Tykwer adattano ambiziosamente il romanzo di David Mitchell, L’atlante delle nuvole, assemblando un cast eccellente con attori del calibro di Tom Hanks, Ben Whishaw, Halle Berry, Hugh Grant, Jim Sturgess, Jim Broadbent, Hugo Weaving, James D’Arcy, Bae Doona e Susan Sarandon; e ognuno di loro incarna un personaggio diverso in ogni epoca. È un’opera dalla struttura complessa, che ci richiede grande attenzione perché in ogni inquadratura si celano indizi non palesemente spiegati o presentati. Il montaggio, però, è sublime, così come la sceneggiatura, e non si percepiscono i 172 minuti di durata (che sembrano tanti, ma in verità sono pochi), non essendoci alcun calo di tensione, dato che tutto ciò che vediamo sullo schermo è connesso.

Cloud Atlas critica il capitalismo e parla di tematiche di grande profondità, come la predestinazione, l’unione tra le anime, il significato della natura umana, della vita e della morte. Merita una visione per la messa in scena, per i messaggi che veicola, per le significative storie. Perché è uno di quei film che cambia la vita. E, anche se è impossibile spiegarne ogni singolo aspetto perché, vedendolo, ognuno coglie sfumature diverse, abbiamo provato ad analizzarlo nella seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: L’analisi tematico-filosofica di Cloud Atlas (con spoiler)

Cloud Atlas

L’obiettivo dichiarato di Lana e Lilly Wachowski è quello di sovvertire le nostre previsioni e di creare qualcosa che non ci aspettiamo di vedere, attraverso quelle dimensioni immaginifiche che le due riescono a rendere così tangibili e concrete, sia sul grande schermo – pensiamo alla realtà programmata di Matrix – che su quello piccolo, come nella meravigliosa Sense8. Cloud Atlas, però, spinge quella loro ambizione su un livello ancor più elevato, attraverso questi frammenti di vita che si congiungono nella visione delle registe. Non seguono l’ordine cronologico degli eventi, con il passaggio tra le varie storie che avviene per somiglianza di dettagli, sentimenti, ritmo o tematiche. Ci sono, infatti, tre macro-raggruppamenti: il 1849 e il 2144 parla di lotta alla schiavitù, il 1936 e il 2012 di prigionia individuale e il 1973 e 2321 di minaccia nucleare.

La sfida più grande di questo film su Sky e Now, ovvero dare unità a un prodotto così sconnesso sia narrativamente che tecnicamente, è decisamente vinta.

Anche perché i personaggi sono collegati tra loro mediante il racconto della propria storia, che giunge alle generazioni successive. Il diario di Adam viene letto da Frobisher, le cui lettere scritte all’amante Rufus Sixsmith arrivano a Luisa. Le vicende di quest’ultima sono narrate nel libro dal suo vicino Javier Gomez, letto da Cavendish che, a sua volta, ne scrive uno autobiografico, trasformato nel film che vede Sonmi-451. Lei trasmette il suo verbo tramite un ologramma sentito in futuro da Zachry, il quale racconta a voce ai nipotini tutte le storie passate. I mezzi con cui trasmettono ai posteri la loro storia sono significativi: si passa dalla parola scritta alle immagini cinematografiche e olografiche e, infine, alla parola orale, ovvero la più antica forma di comunicazione che possediamo.

È un indizio importante su come l’opera su Sky e Now suggerisca una concezione circolare del tempo. Non a caso la civiltà più avanti nel futuro risulta la più arretrata. Si pensi anche all’affermazione del dottor Henry Goose, che su una spiaggia rivela ad Adam che qui “era teatro di banchetti cannibaleschi”. Il fatto che i Valligeri di Zachry lottino contro la tribù cannibale dei Kona non sembra essere una mera coincidenza.

È l’eterno ritorno nietzschiano, ovvero quella teoria filosofica in cui il tempo nasce, muore e si rigenera continuamente sulla base di cicli temporali, ripetendo in eterno il suo corso e rimanendo, dunque, uguale a sé stesso. Ma non si tratta solo del fatto che le cose si ripeteranno sempre identiche. Importante in Cloud Atlas è la responsabilità delle nostre azioni, che va oltre noi stessi inserendosi nel cerchio della vita, con le conseguenze che si propagheranno negli anni. Come dice Sonmi-451:

Da ogni crimine e da ogni gentilezza generiamo il nostro futuro”.

Eccolo uno dei temi fondamentali di Cloud Atlas: la connessione tra persone che vivono in luoghi ed epoche diverse. Ad esempio, la troviamo negli oggetti: il Sestetto dell’Atlante delle Nuvole di Frobisher viene sentito da Luisa in un negozio di musica; l’ospizio in cui viene intrappolato Cavendish è ironicamente la villa di Vyvyan Ayrs; un edificio di Neo Seul ha l’insegna della centrale nucleare del 1973; infine, c’è la collana indossata da Jocasta Ayrs, Luisa e la ragazza indiana nel 2012. Anche se la suggestione più intrigante è la voglia a forma di cometa di alcuni protagonisti del film su Sky e Now. La possiede Adam Ewing sul petto, Robert Frobisher sul coccige, Luisa Rey sulla spalla sinistra, Timothy Cavendish sul polpaccio destro, Sonmi-451 sul collo e Zachry sulla nuca. E sono proprio loro che cercano di cambiare il mondo in cui vivono, compiendo un percorso di crescita che li conduce a una nuova consapevolezza. Affrontano una prova e trovano così le risposte che cercano su loro stessi e sulla vita.

Cloud Atlas, dunque, accarezza il tema della reincarnazione e della metempsicosi, ovvero il viaggio delle anime immortali nel tempo, come esplicitato dalle parole di Sonmi-451:

“Io credo che la morte sia solo una porta. Quando essa si chiude, un’altra si apre. Se tenessi a immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e, dietro di essa, lo troverei lì, ad attendermi.

Cloud Atlas

Ma le Wachowski vanno oltre attraverso un elemento importantissimo per il contenuto concettuale dell’opera su Sky e Now: gli attori interpretano diversi personaggi e, per questo, siamo indotti a credere che sono persone differenti con vite distanti l’una dall’altra. Eppure, la camera ne mette in risalto i volti, i corpi, le somiglianze nell’aspetto fisico. È un po’ come se suggerisce che, più che le anime immortali che si reincarnano, i personaggi rappresentano le stesse persone che si incontrano nei vari cicli temporali. Tutte le nostre vite sono legate tra loro ed è quel legame la costante da comprendere in ogni vita nel momento temporale in cui la viviamo. È un aspetto caratteristico dell’umanità che, paradossalmente, viene compreso dalla non-umana Sonmi-451 (o forse sarebbe bene definirla in termini di post-umanità). Ed è per questa sua illuminazione che verrà venerata come una dea, acquisendo anche le caratteristiche di una chiaroveggente.

L’uso degli stessi attori in ruoli che travalicano epoche, sesso ed etnia (il cui trucco grottesco non fa perdere credibilità, tanto il tutto è allestito saldamente, e anzi, l’intravedere le caratteristiche di volti visti poco prima avvalora il tema della reincarnazione, del destino e della connessione) è utilissimo anche per rappresentare come cambiano quelle persone nel tempo.

Tom Hanks si trasforma positivamente, passando dall’avido Dr Moose a quello Zachry che combatte la codardia con il suo buon cuore. Jim Sturgess è tendenzialmente colui che lotta contro la schiavitù. Ben Whishaw non si evolve tantissimo e rimane colui che, pur credendo nell’amore, va a letto con tutti: lo si vede con Frobisher e Georgette. Halle Berry cambia potentemente, partendo come schiava impotente, diventano una giornalista impavida e finendo come l’ultima speranza per l’umanità. Un po’ come Doo-na Bae, che dall’essere un artificio schiavizzato diviene una dea adorata dai posteri. Jim Broadbent è egoista e snob sia come Vyvyan che come Cavendish, ma con quest’ultimo comprende il significato di libertà e umiltà.

Invece, Hugh Grant diviene sempre più malvagio e barbaro nel tempo, mentre Hugo Weaving rimane cattivo, non imparando niente e finendo per non essere niente di diverso da un mera un’idea.

Senza contare che Cloud Atlas mostra che la saggezza è a disposizione di chiunque voglia trovarla. Chi la ignora, non accrescerà mai la sua cultura e non cambierà mai. Prendiamo Neo Seoul: in questa distopica metropoli del futuro, non c’è empatia perché è basata interamente sulla tecnologia. Invece, le fondamenta di una comunità dovrebbero poggiare sull’amore, sul sapere, sulla compassione e sulla verità. E proprio l’amore è una di quelle forze che non smette mai di ripresentarsi: Adam e Tilda sono destinati ad amarsi e a combattere assieme nel futuro come Hae-Joo Chang e Sonmi-451; Arys, che ha impedito a Frobisher di vivere il suo amore intrappolandolo in casa sua, sarà prigioniero nella propria villa quando diverrà Cavendish; dopo essersi sfuggiti per quattrocento anni, non solo Zachry e Meronyma potranno amarsi, ma salveranno l’umanità.

Ecco perché l’opera su Sky e Now si erge a insegnamento su come le civiltà e la cultura possono progredire, con tutte le sue narrazioni che diventano un’unica grande Storia dell’Umanità. E non solo narrativamente, ma anche a livello tecnico, con la suggestiva colonna sonora e la splendida fotografia. Dirà Somni-451, riassumendo il senso di Cloud Atlas:

“La nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passati e presenti” 

Ed è una responsabilità verso di noi, verso gli altri e che porta a riflettere sul senso della vita e della morte. Allora, ognuno può diventare una goccia nell’oceano che, con le sue azioni e parole, cambia il corso degli eventi; quella stella cometa incisa sui coraggiosi e i rivoluzionari, in grado di fare la differenza nel loro breve passaggio sulla Terra.

Il film della scorsa settimana: La morte ti fa bella