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Debra Morgan raccontata in versi

Debra Morgan
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“Io fui di Miami, io son Debra Morgan;
Dex o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte.”

Stamattina mi sono svegliata con il mal di pancia. Evidentemente la colpa è da imputare all’estremo quantitativo di sushi ingurgitato la sera precedente, era all you can eat, potete capirmi. Fatto sta che in un momento di debolezza caddi come corpo morto cade tra brontolii e tremori.

E fu così che mi ritrovai in una schiera oscura, che la quotidiana via era smarrita.

L’ho sempre immaginato che prima o poi questa storia delle Serie Tv mi avrebbe fatto precipitare in un vortice di ossessioni e situazioni assurde. Ma non credevo fino a questo punto. Questo è veramente oltremisura.

Ero ancora abbastanza confusa, i postumi della cena si sono trasformati da strani versi gastroenterici in demoni esteriori e reali.
Posso vederli, forse potrei anche toccarli, ma non credo sia una buona idea. Anche se dovesse trattarsi di un sogno non vorrei proprio rischiare la vita importunando queste anime certamente perdute. So esattamente dove mi trovo, cavolo un po’ riesco a sentirmi persa anche io. Quelle anime sembravano meravigliate dalla mia presenza, o forse il mio stomaco faceva troppo rumore. Forse è meglio continuare a camminare, male che vada domani avrò qualcosa di interessante da raccontare.

In un tripudio di dolori gastroesofagei, mi dirigo là dove il sentiero sembra districarsi: dove un ripiano roccioso si erge e sovrasta il buio in cui siamo. Continuo in quella direzione e poco più avanti un enorme cancello appare davanti ai miei occhi, l’insegna recita:

DON’T DEAD OPEN INSIDE

debra morgan

Mmm, va beh, ormai mi ci trovo, quindi entro comunque anche se non ho capito.

“Ve’ che son anni che con modestia,
invano cerco di far cangiar codesta bruttura,
e come parlo par che mi s’ignori.”

Non riesco a vederla chiaramente, ma so perfettamente di chi si tratta: ha l’aria felice e provocatoria come sempre. Il suo linguaggio però, beh, quello è totalmente diverso. Debra Morgan è qui dietro di me, in abiti e spirito.

“E l’tuo ventre sembra intonar
il nostro miserere.”

Con addosso ancora gli stessi abiti dell’ultima sua puntata, sorride malinconica. Come se volesse tradire quell’apparente gioia con un sorriso quasi brutale nella sua disarmante semplicità.

“Son qui si puote immaginar l’motivo,
per mia soave indecisione sulle sorti de l’sangue del mio sangue.

La terza schiera mi appartiene
come l’fumo appartien ad Alighieri,
son dei negligenti a pentirsi morti di morte violenta.

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Nell’Antipurgatorio mi han messa,
timor e sorpresa aveo,
il mondo parea con se stesso farsi la guerra,

e far originare qualcosa di nuovo,
di mostruosa parvenza
e tenea come china l’sangue del mio sangue.

D’inchiostro di china avean scritto la nostra novella,
come vite vissute l’fianco delle nostre umili ombre.
La mia nera ombra è stata la mia famiglia,
mio fratello Dex.”

Mentre parla mi invita a camminare. Apre il cancello con decisione e torna a guardarmi. L’atmosfera diventa sempre più scura e tenebrosa, le anime in pena ci guardano ma non sorridono, proseguono a testa bassa e portano sulle spalle il peso di non essersi redenti. Esattamente come Debra Morgan. Forse è da questo che scaturisce la più grande differenza tra chi ha un nome e chi viene dimenticato.
Debra rimane così com’è, anche dopo la morte non perde nulla, neanche l’identità della vita e dell’essere fisico che era.

“Così affronto la mia dipartita,
arrivata troppo presto per man de l’vituperio delle genti,
Oliver Saxon è costui,
l’uom che ora mi fa tremar le vene e i polsi.” 

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Dai suoi occhi quella sofferenza non va mai via, è ormai permanente come un’incisione sotto pelle.
Non cambia espressione nonostante il suo sorriso sia in apparente disaccordo con l’ambiente che ha intorno.

“Deh, ricorditi di me, che son Debra:
Miami mi fè, disfecemi il mare.”

Intanto la guardo, prima o poi vorrei parlare e farle delle domande, ma sembra impossibile interromperla. Non vorrei si arrabbiasse e mi lasciasse qui. Non faccio neanche in tempo a pensare di poter parlare che lei ha già deciso.

Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole,
buon viaggio, il mio si ferma qui.” 

Solo adesso che Debra è andata via riesco a vedere quello che ho davanti, un’immensa salita che non sembra avere fine. Una scalata che…

oops, mi sento svenire.

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