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10 Serie Tv che sono riuscite nell’impresa di migliorare nel corso delle stagioni, fino alla fine

Quello che scriviamo e leggerete oggi è la summa iperbolica della televisione contemporanea, un hub spaziale della storia della narratologia televisiva. Robert Thompson, studioso americano autore di “Television’s Second Golden Age”, che maggiormente ha promosso il concetto di tv di qualità, l’ha definita come quella “costituita da serie che spiccano in opposizione a tutte le altre.” A comporre l’universo della tv di qualità ci sono le serie di cui oggi scriveremo che – per valore testuale, prestigio, critica e successo di pubblico – sono unanimemente considerate capolavori. Parliamo di giganti come I Soprano Breaking Bad e di grandissime serie come Better Call Saul, The AmericansSons of Anarchy, ma anche di BoJack Horseman e Attack on Titan. Spazieremo da serie storiche come Six Feet Under a quelle più recenti quali Succession, passando per un piccolo gioiello, datato 2013, che è Orphan Black.

Sono le serie che non hanno mai deluso e che, anzi, sono cresciute e migliorate nel corso delle stagioni, fino alla fine. Sono le serie che, nei loro contesti culturali, hanno legittimato la televisione avvicinandola a formati artistici più consolidati come il cinema e la letteratura.

Ciascuna a suo modo, non sono rimaste in superficie ma, stagione dopo stagione, hanno prediletto l’approfondimento, gli affondi sulle psicologie e sulle trame, i processi di cambiamento e la tessitura delle vicende interpersonali.

Se i pilot sono considerati la parte fondamentale di qualsiasi narrazione seriale, vuol dire che l’importanza dell’inizio sottintende quella della fine. In mezzo vi sta lo sviluppo, l’osservazione da parte di noi spettatori del meccanismo del racconto e la conseguente costruzione di un’estetica funzionale al nostro progressivo coinvolgimento verso la costruzione dei personaggi e dei mondi. È difficile, per autori e producer, costruire prodotti in grado di reggere alle alte aspettative degli spettatori e della stessa parola “fine”intesa come parte finale del progetto ma anche come obiettivo che si vuole raggiungere. Le serie di cui parliamo oggi ci riescono appieno e sono uno straordinario esempio di storytelling.

1. Breaking Bad

the big bang theory
Bryan Cranston – 1200×675 

Meravigliosa fino alla fine. Una serie che parla del narcotraffico in modo mai visto prima, né dopo, poiché rifiuta il respiro sociologico in favore dell’introspezione. Breaking Bad, col progredire delle stagioni, non intende fornirci una rappresentazione plausibile di Albuquerque ma vuole condurre la nostra attenzione sul protagonista attorno cui tutto ruota. È lì che si materializza il crudo realismo della storia. L’indagine dentro il pensiero supera la verosimiglianza del mondo rappresentato.

Due aerei possono anche scontrarsi se questo serve a far comprendere quanto egoistiche siano le azioni di Walter White.  Nessuna serie come Breaking Bad descrive il cambiamento psicologico di un personaggio che diventa sempre più abietto trascinando chiunque, inclusi noi, nella discesa agli inferi dell’etica e della vita stessa. E al contempo offre progressive indagini introspettive degli altri characters, con un accuratissimo scandagliare nel groviglio della loro psiche e delle loro psicopatologie.

La grandiosità di Breaking Bad risiede – tra le altre cose – in questo effetto, unico nella storia della televisione, di raccontare gradualmente come identità e convinzioni di una persona, credenze e aspetti psichici, possano cambiare in un certo arco di tempo.

Si giunge quindi al progredire di stagioni una più intensa dell’altra che raggiungono il proprio apice proprio nella quinta, l’ultima, il numero e la durata perfetta, con episodi ritenuti dalla critica e dal pubblico tra i più belli di sempre, Declino e naturalmente Felina

2. Better Call Saul

Attack on Titan e Better Call Saul
Jimmy McGill – 1200×675

Bob Odenkirk in Breaking Bad dà vita a un comprimario, lo spietato e magnetico avvocato Saul Goodman, così forte e intenso da essersi meritato uno spin off tutto per sé. Un prequel che, secondo molti, è anche più bello della serie originale. Un altro gioiello nato dal genio di Vince Gilligan e Peter Gould che ci ha fatto vivere anni fantastici. 

L’epopea decadente di Jimmi McGill ha inizio con una prima stagione introduttiva, forse la meno impattante, dove vediamo solo un lontano raggio d’azione dello spirito di Saul su quello di Jimmy. È la stagione che ci spiega il forte legame col fratello Chuck e quella in cui ancora Jimmy spera di poter far parte di una società e di un settore, quello della giustizia, che in realtà lo respinge.  Da qui in poi sarà un crescendo poetico immenso che raggiungerà l’apice nella sesta, ultima stagione. Siamo di fronte all’autorialità pura intendendo il concetto nella prospettiva di Foucault ovvero non come processo creativo del singolo, ma come risultato di un discorso. Un lavoro congiunto di scrittura, stile, regia che rende Better Call Saul un continuum narrativo e un’opera culturale degna del suo antecedente, fino all’ultimo frame.

Prima di dirigerci verso la punta di diamante degli anime Attack on Titan, altre due serie drammatiche, corali, di infinito spessore: Sons of Anarchy e Succession.

3. Sons of Anarchy

Jax Teller – 960×500

È andata in onda dal 2008 al 2014, ma c’è chi – come me – ha visto per la prima volta il pilot un anno fa. Attuale, come tutte le opere che parlano un linguaggio universale; SoA è rimasta attuale e continua a regalare una delle esperienze più immersive della serialità del nostro ventennio, un viaggio in moto in cui anche noi sentiamo l’odore del vento e viviamo in una crasi di emozioni con i ragazzi del club SAMCRO. In particolare con Jax Teller, l’uomo buono costretto a diventare cattivo. Un antieroe alla deriva che cerca di salvare le sorti del suo amato club senza riuscirvi e finendo per esserne travolto, fino alla fine, con la sua fine. SoA cresce come un rombo di motore e pulsa di puntata in puntata raggiungendo il suo apice proprio nel maestoso, straziante poetico finale.

4. Succession

Una progressione verso l’eccellenza. L’abbagliante, radicata bellezza della serie più intrigante degli ultimi anni.  Nessuna serie recente, come Succession, si evolve così profondamente non solo nella psicologia dei personaggi ma nelle trasformazioni di una famiglia. Ci sono puntate dove la potenza risiede nelle sfumature dei dialoghi, nella meschinità delle intenzioni.  La storia della famiglia Roy e dell’impero mediatico della Waystar Royco ha un inizio strabiliante e una fine altrettanto unica, rara. Sono poche le serie che riescono a pensarsi come concludenti. 

Di solito nei finali – per semplicità di punteggiatura – prevalgono la sospensione, la fine brusca e non preventivata, quando il network ha perso fiducia; gli eterni cliffhanger che lasciano spazio a infinite nuove stagioni; il wrap-up, ovvero quella fine né arbitraria né del tutto programmata che lascia presagire un’ipotetica continuazione se le condizioni contestuali e produttive lo permetteranno. Poi vi è la conclusione, quando viene realizzato un episodio finale certi che la serie finirà. E poi abbiamo il finale, quello alto, bellissimo, puro. Quando autori e produttori hanno già disegnato il cerchio della serie.

È il caso di Succession che aumenta in fascino e, come il dramma mitologico, volge all’epilogo, bellissimo, perfetto. Rimane eterna la sua musica, composta da Nicholas Brittell, temi e movimenti, dalla musica settecentesca al contemporaneo, che si fondono con la narrazione e la rendono ancora più potente fino alla fine. 

Eccoci giunti a due serie animate, star nei loro generi: Attack on Titan e BoJack Horseman.

5. Attack on Titan

Attack on Titan
Attack on Titan – 640×320

10 anni fa, nel 2013, esordiva l’anime Attack On Titan ispirato al celebre manga di Shingeki no Kyojin giunto di recente alla sua quarta e ultima stagione, da molti ritenuti la più bella.  Tutti, anche chi non ama gli anime, si sono innamorati di Attack on Titan, un vero e proprio cult che, con il passare delle stagioni, ha stupito sempre di più. Tra colpi di scena, evoluzioni dei personaggi, grafica e situazioni di trama incredibilmente introdotte, Attack on Titan si posiziona al primo posto nella classifica dei 20 anime migliori della storia, votata in Giappone. 

Se la prima stagione può apparire lenta e semplificata, con l’evolversi delle puntate, la storia si intreccia spaziando tra generi diversi in un mix che rende questa produzione vincente e unica.  Dopo un grande cliffhanger che aveva chiuso la terza stagione, è andato in onda a marzo scorso lo speciale episodio da un’ora della Final Season Parte I mandando in delirio i fan, adesso in trepida attesa per la Parte II in arrivo in autunno. Dimostrazione che Attack on Titan non solo è migliorata ma continua a generare un movimento transmediale vertiginoso.

6. BoJack Horseman

Bojack Horseman e Attack on Titan
BoJack Horseman – 640×360

Come non affezionarsi nel tempo alla parabola di BoJack? Una delle serie che massimamente ha mostrato le potenzialità di Netflix partendo col piede giusto e proseguendo ancora meglio, senza mai farsi dominare dall’autoreferenzialità del suo successo. 

Il mondo antropomorfo di BoJack e della sua crew ci conquista sin dalle prime battute: ridiamo, cadiamo con lui e assistiamo ai suoi tentativi di riscatto come attore e star della tv. La sua vita assoluta e decadente diventa il contenitore di un viaggio emotivo e malinconico, come lo sarà il suo finale sotto il cielo stellato. Nel corso di 6 stagioni, dal 2014 al 2020, BoJack Horseman ha delineato un tono di voce inconfondibile e duraturo per Netflix e per il panorama seriale dell’animazione, alternando speranza e disperazione, illusioni e ateismo, ipomanie e nichilismo, entrando nel cuore degli spettatori. Ancora oggi infatti rimane una serie cult, da vedere e rivedere. 

7. Orphan Black

Da Attack on Titan a Orphan Black
Orphan Black – 1424×823

Orphan Black, oltre ad essere una grandissima serie, mette in luce la magnifica resa interpretativa di Tatiana Maslany, l’attrice canadese che ha interpretato 10 ruoli in contemporanea. Tanti sono i personaggi, una delle performance migliori mai viste in televisione.  La serie in 5 stagioni, prodotta da BBC America, parla infatti di un misterioso programma di clonazione, e l’attrice – con incredibili tocchi di virtuosismo – interpreta diverse “sisters” identiche e accomunate dallo stesso DNA: Sarah Manning, nelle sue incredibili sfaccettature è un personaggio che difficilmente dimenticheremo e Orphan Black altrettanto. Una serie che promette e mantiene

Seppur ancora sottovalutata, Orphan Black meriterebbe tutta la nostra attenzione anche per i messaggi sociologici inclusi nell’opera come il ruolo di educazione e del contesto sociale nella formazione del carattere, dunque non dipendente dalla genetica, al pari della fluidità sessuale. Non è un caso che la serie sia stata molto amata dal pubblico LGBT+.

8. I Soprano

I Soprano – 640×360

La  più grande opera della cultura pop dell’ultimo quarto di secolol’ha definita il New York Times. Sei stagioni ascendenti e un finale di cui tutt’oggi la critica, i media studies, il pubblico e i fan ancora discutono. Impossibile in poche righe riassumere il valore che I Soprano ha avuto nella storia della televisione. Possiamo solo accennare che ha fondato un nuovo paradigma, un nuovo modo di scrivere la televisione e la serialità.

Se pensiamo che uno degli episodi ritenuti tra i più belli della serie, “Caccia al russo” autoconclusivo, si posiziona nella terza stagione, va da sé comprendere come la serie cresca e si potenzi.

È la pietra miliare che ha trasformato HBO nel più importante canale televisivo dedicato all’innovazione e che è diventata il modello di riferimento per le serie tv apparse negli anni 2000.

James Gandolfini con la sua fisicità magnetica rende Tony Soprano l’emblema di un potere minaccioso ma trattabile, di una moralità relativa  che tuttavia esprime un carisma tale per cui ci porta a guardare a di là della spregevolezza umana, per scoprirne il fascino. Tutti amano, desiderano e seguono Tony Soprano. È qui, con Tony, che nasce e si disegna la figura dell’antieroe che darà poi vita a personaggi come Don Draper, Dexter o Walter White. Con il suo modello di “narrazione a episodi relativamente serializzata che oggi caratterizza la tv complessa” – per dirla con Jason Mittell – I Soprano gioca sulla trama ma soprattutto sullo sviluppo dei suoi personaggi e così arriviamo al finale, curiosi di sapere come David Chase possa chiudere un racconto così mastodontico.

Senza qui soffermarci sulla spiegazione del finale che richiede un’analisi a parte, possiamo dire che rappresenta una sequenza di sublime storytelling, la più controversa, dibattuta – con il cut to black – e riuscita della storia della televisione.

Dopo I Soprano, Attack on Titan, Orphan Black e compagnia, concludiamo con due perle. 

9. The Americans

the americans - Attack on Titan
The Americans – 1200×675

Sin dall’episodio pilota, si percepisce che siamo di fronte a una serie culto, più che cult. Di fatti in Italia non ha mai avuto il successo che meritava, eppure The Americans ha uno spessore narrativo, un’eccellenza interpretativa che la conducono a superare ogni confine tra generi: non solo una spy story, non un family e political drama. Tutto insieme, e di più. In una struttura a prisma, dove il gioco duale della coppia, Elizabeth e Philip, agenti del KGB sotto copertura negli Stati Uniti, si inserisce in uno scenario mondiale diviso in due blocchi, che metterà in luce conflitti interiori, personali, familiari, di valori e ortodossia del credo politico. Dal pilot alla puntata finale dove vediamo Mosca, The Americans non sbaglia un colpo, di pistola, e narrativo.

10. Six Feet Under

Universo HBO. Dopo American Beauty, Alan Ball nel 2001 dà vita a uno show che verrà premiato con nove Emmy e tre Golden Globes e inserito da Time tra i cento migliori telefilm di tutti i tempi, Six Feet Under.

All’apparenza una storia con struttura episodica classica, “il morto della settimana” ma in realtà molto più complessa – migliorativa – a partire dalla seconda stagione quando gli autori decidono di modificare la presentazione di queste morti per disorientare lo spettatore rispetto a quelle che credeva essere le norme intrinseche ormai note della serie. Così, nel racconto in 5 stagioni della storia di 3 fratelli, costretti dalla dipartita del pater familias Nathaniel Fisher, a gestire un’impresa di pompe funebri, non avremo solo il gioco strutturato della vita e della morte, ma infinite variazioni sul tema. Uno scavo speleologico che porterà verso una conclusione unica e inattesa per le logiche televisive americane.  Non vogliamo solo tessere l’elogio di Six Feet Under, la sua capacità di rendere omaggio alla morte e al contempo raccontarci la vita, ma spingerci oltre: è uno show da Oscar con un grandissimo finale.

Tutto. Tutti. Ovunque. Finisce”.