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1993, la differenza tra chi si è e chi si vorrebbe essere

1993 ci racconta un sistema forzato, forzando il proprio sistema

Le eccessive didascalie che sottolineavano l’entrata in scena di un personaggio noto (tipo Maurizio Costanzo) sono sembrate sempre poco eleganti. Tutte: ‘Ehi! ma quello è un-personaggio-generico-noto-in-quegli-anni?’ ‘Come? Ah, sì è lui’… vi prego, proprio no. Realismo signori, realismo.

Questo ha portato alla costruzione di situazioni posticce: far venire fuori in una scena random Indro Montanelli per risolvere un dubbio amletico di un personaggio. Lo incontra dal barbiere, non si sa come, senza appuntamento, lo ha seguito? Bah, mi fai capire qualcosa?

Queste soluzioni e molte altre utilizzate in 1993, simpaticamente definite ‘spiegoni’, sono le meno eleganti per uscire dai vicoli ciechi della scrittura. Si fa per non creare buchi di sceneggiatura, ma dovrebbe essere veramente l’ultima ruota di scorta per un abile showrunner. Per non parlare poi della rappresentazione dei personaggi reali; da Berlusconi a Costanzo, sono più bidimensionali di un foglio a4, che infatti a differenza loro è tridimensionale.

Per quel che riguarda la recitazione, la cosa più evidente è il dislivello tra alcuni interpreti ed altri. Esagerato. L’altro aspetto curioso è che anche quelli bravi alternano momenti di assoluta brillantezza a scene in cui si sarebbe dovuto tagliare e ripetere.

Il problema più grande è il doppiaggio. Non girare tutto con l’audio in presa diretta ma dover ridoppiare successivamente rende ancora più forzata la recitazione e fa emergere la scarsa intensità di alcune prove attoriali.

Questo per dire che non solo il ‘sistema’ raccontato nella finzione è marcio a tutti i livelli, ma risulta precario anche quello della Serie, a tutti i livelli approssimativo.

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