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The Electrical Life of Louis Wain – Recensione di un film che al cinema non avrebbe spaccato

L’elettricità, nel visionario mondo di Louis Wain, non è un concetto scientifico, né l’oggetto di studi razionali o sperimentali. L’elettricità è una forza misteriosa che pervade le cose, un’entità sconosciuta e invisibile che mette in connessione le diverse dimensioni temporali. È una corrente magica che si stacca dalle cose, inosservata se non dagli sguardi più attenti, da quelli più connessi. L’elettricità è amore, una tensione irrequieta che ci permette di trasformare il passato in futuro e il presente in passato. “Ricordare il passato non è così diverso dall’immaginare il futuro e non è diverso dalla vita stessa. Potrò ricordare Emily in futuro e lei sarà sempre lì”. The Electrical Life of Louis Wain è l’ultimo film di Will Sharpe, scritto insieme a Simon Stephenson, presentato al Toronto Film Festival e uscito in pochissime sale prima di sbarcare su Amazon Prime Video.

Si tratta di un biopic in costume, in stile perfettamente britannico, con un cast di interpreti di tutto rispetto. Ci sono Claire Foy, Andrea Riseborough, Toby Jones e Sophia Di Martino. E c’è Benedict Cumberbatch, uno dei migliori attori inglesi attualmente in circolazione, che dà il volto all’eccentrico protagonista Louis Wain. Come ci ricorda la scritta che apre il film, questa è una storia vera. Louis Wain è un illustratore londinese che visse a cavallo tra XIX e XX secolo. Le tappe della sua sfortunata esistenza sono ben riassunte in The Electrical Life of Louis Wain, a partire dagli anni giovanili – quando Louis cercava di mantenere le sue cinque sorelle ritraendo cani da compagnia per aristocratici inglesi – fino allo sfiorire del suo genio, recluso in una casa di cura per schizofrenici e malati di mente.

The Electrical Life of Louis Wain

Si tratta di un racconto dolce e malinconico, tenero e amaro, che ci porta nel mondo di Wain sballottandoci tra i suoi innumerevoli alti e bassi.

Il profilo del protagonista è reso magnificamente da Cumberbatch, che sa unire ai lineamenti del genio emarginato una vena di sofferenza ravvisabile nei gesti, nello sguardo perso tra orizzonti lontani, nelle movenze del corpo e negli attimi di silenzio che paralizzano l’azione. Il giovane illustratore è il tipico talento sconclusionato, che non sa far fruttare le proprie doti artistiche e che al contrario viene spesso raggirato dai suoi stessi committenti. L’unico figlio maschio in una famiglia di tutte donne, spetta proprio a lui, ingenuo e stravagante artista, provvedere al sostentamento della casa e all’educazione delle sorelle. Ed è propio di un’educatrice venuta in casa per istruire le ragazze che Louis si innamora. Una donna più anziana, di ceto sociale inferiore: uno scandalo per la cultura dell’epoca vittoriana.

The electrical life of Louis Wain è fondamentalmente il racconto di una storia d’amore. Sregolata, proprio come il suo protagonista, e travagliata, come gli accidenti della vita a volte possono rendere qualsiasi bella storia.

The Electrical Life of Louis Wain

L’educatrice Emily Richardson (Claire Foy), compagna di Wain, muore infatti dopo soli tre anni di matrimonio a causa di una malattia incurabile. Ad accompagnare gli ultimi mesi di vita della donna – e del marito devastato – è un gattino trovato per caso nel giardino di casa. Il piccolo Peter sarà lo scoglio a cui i due coniugi si aggrapperanno per non sprofondare nel dolore della malattia e del distacco. E soprattutto, sarà la fonte di ispirazione che aprirà a Louis Wain le porte del successo. Morta Emily, Louis inizierà infatti a disegnare sempre più spesso soggetti felini, rendendo il gatto l’oggetto di un culto che si affermerà proprio in quegli anni e che sopravvive ancora oggi.

Wain ha fatto proprio il gatto. Ha inventato uno stile felino, una società felina, un intero mondo di gatti. I gatti inglesi che non prendono esempio e non vivono come quelli di Louis Wain si vergognano di se stessi.

Le sue illustrazioni di soggetti felini lo resero famoso in tutta l’Inghilterra – sebbene mai ricco – e si affermarono persino oltreoceano. Prima di Louis Wain era difficile anche solo immaginare di avere un gatto come animale di compagnia. Grazie alla sua matita, cambiò anche la vita di quest’animale. Meno fortunato fu però l’artista, che non riuscì mai a superare la perdita della moglie e che si trascinò avanti attraverso una serie di altre atroci sofferenze: perse una sorella, il suo amico e committente, l’anziana madre con cui visse per quasi tutta la sua vita e un’altra sorella che fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Alla fine, rimasto praticamente solo e senza un penny, trascorse anche lui gli ultimi anni della sua vita in una clinica per indigenti e schizofrenici.

Non è chiaro se Louis Wain fosse schizofrenico o meno. Il dibattito continua ancora oggi attraverso lo studio dei suoi lavori. Ma non è quello l’intento di The Electrical Life of Louis Wain, che vuole invece restituirci solo il profilo e i bordi di una personalità complessa, apparentemente incastrata in una dimensione irreale, sganciata dal mondo e dalle sue convenzioni. La pellicola di Will Sharpe è un biopic intenso e delicato, chiazzato per quasi tutta la durata da una nota di malinconia accentuata dalle musiche e dall’estetica particolare. Le scelte registiche non sono del tutto convenzionali, ma neppure visionarie come meriterebbe il racconto del protagonista – il titolo italiano è Il visionario mondo di Louis Wain. È un film che su Amazon Prime Video potrà incuriosire una buona fetta di spettatori – trainati soprattutto dal peso dei nomi nel cast – ma che, nonostante sia ben fatto, nelle sale non avrebbe di certo sfondato.

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