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Billions 6×07/6×08 – L’orso, il lupo e la povera New York

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 6×07 e la 6×08 di Billions

Pochi secondi riassumono idealmente un’intera stagione, per certi versi un’intera serie. New York sullo sfondo e negli occhi di Chuck, conscio d’aver agito per fini personali e non per il bene comune. Nelle orecchie di ognuno di noi, mentre JAY-Z e Alicia Keys accompagnano l’emersione ormai conclusa del lato oscuro di Mike Prince, incarnata nello sguardo glaciale di un uomo che ha capito di non poter più giocare con le sue regole. Pochi secondi, quelli che chiudono l’ottavo episodio della sesta stagione di Billions, che raccontano più delle tante parole spese a vuoto nel raccontare la non indimenticabile trama delle Olimpiadi newyorkesi. Perché ora è chiaro che non fosse là che la prima fase della nuova era post Axelrod volesse andare a parare: come era stato evidente fin dagli episodi inaugurali, non si poteva non arrivare a uno scontro diretto tra i due protagonisti. Un nuovo dualismo, una nuova rivalità. Una battaglia voluta solo da uno dei due contendenti e da cui l’altro ha fatto di tutto per sottrarsi, salvo poi dover sbattere addosso alla dura realtà: di fiabesco, in Billions, non c’è proprio niente.

Succede allora che il capopopolo e il filantropo si contraddicano costantemente, fino a gettare via ogni maschera e mostrare il vero volto. Da una parte Chuck sovrappone le personali ambizioni a un progetto che al di là dei benefici individuali avrebbe fatto bene all’intera collettività. L’abbiamo sempre saputo, e lui lo sa meglio di noi. Dall’altra il “nuovo Axe” è costretto ad accettare l’idea che un’altra finanza, eticamente sostenibile, non sia altro che un’utopia da dare in pasto agli animi più idealisti. Le conseguenze sono palesate senza alcuna ambiguità: prima il procuratore nega alla povera New York una nuova linea metropolitana, finalmente all’altezza di una delle città più importanti del mondo, poi si scaglia contro le borse di studio ritenute strumentali e infine affonda con una contromossa degna del Chuck dei giorni migliori il progetto olimpico newyorkese, ormai prossimo a vedere la luce. Nel mentre, “l’uomo del popolo” butta al vento una ricchissima cena dopo l’ennesimo tentativo mancato di riavvicinarsi a Wendy, senza pensare manco per un secondo di donare quel lauto pasto a qualcuno che avrebbe potuto apprezzarlo maggiormente.

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Negli occhi sconsolati con cui osserva atterrito la sua New York nel finale dell’episodio, si scagliano tutte le ombre di un uomo che dileggia il sogno americano e lo osteggia al punto da porsi al di sopra delle leggi terrene. L’uomo del giudizio, ma non certo della provvidenza: il fine ultimo delle sue azioni è lo stesso Chuck, frustrato per una vita in cui l’assenza di gioia non è più bilanciato dall’appagamento delle gioie proibite. Solo contro tutti, è arrivato a costruire il suo nuovo nemico pur di negare di averne un disperato bisogno. Una necessità che riempia un vuoto che nient’altro è in grado di colmare. L’uomo, d’altronde, maschera sempre dietro la complessità delle esigenze fin troppo essenziali, e in questo non è difficile individuare l’unico potenziale anello di congiunzione col suo personalissimo nuovo nemico, Mike Prince.

Dopo aver trascorso più di metà stagione alla ricerca di una soluzione all’enigma che incarna, tutto è diventato più chiaro. Di New York non gliene fregava niente e delle Olimpiadi neppure: Mike ha fatto quello che ha fatto per amore. Per amore di una donna che gli chiede di scalare le vette più inesplorate per avere un suo bacio, e a cui regalare i cinque cerchi par non bastare. Mike, in sostanza, agisce egoisticamente nella stessa misura in cui lo faceva Axe. Con la differenza che cercava di farlo con le sue regole, delle regole moralmente più accettabili. Ma quelle regole non sono le regole del gioco a cui sta giocando, e questo lo porterà sempre di più a dover dare il peggio di sé per il raggiungimento dei suoi fini. Un confronto in cui il bianco e il nero si avvicendano nel ballo delle parti e in cui si occupano le sfere grigie con personaggi alla ricerca d’autore che sembrano vivere un’involuzione collettiva.

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Come se si chi li scrivesse non avesse più un’idea specifica di dove indirizzarli davvero, Wendy e Wags galleggiano all’interno della trama senza avere mai il peso specifico che un tempo avevano e che ancora meriterebbero. Lo stesso si potrebbe dire di Taylor, con la differenza che negli ultimi due episodi sembrano essersi riaperti degli spiragli interessanti: il duro confronto con Mike sembra averla finalmente sbloccata, e la sua ridefinizione la sta portando a sbandare sempre più pericolosamente, portandola fuori rotta ma mai out of character. L’azzardo dell’ottavo episodio poteva trasformarsi in un punto di non ritorno, ma pur non essendolo stato rappresenta un elemento di trama che potrebbe regalarci degli spunti interessantissimi nelle ultime puntate di stagione. La Michael Prince Capital, d’altronde, potrebbe passare presto di mano e le suggestioni rischiano di diventare molto intriganti anche intorno alla sua figura.

Strano parlare tuttavia di un episodio interlocutorio, perché la scrittura, i toni e il clima di The Big Ugly sembravano essere quelli di un vero e proprio season finale. E per certi versi lo è stato: quegli ultimi secondi, con gli sguardi emblematici di Chuck e Mike, hanno chiuso l’arco narrativo olimpico, ma allo stesso tempo rappresentano un nuovo punto d’inizio per i quattro episodi conclusivi. Mike è ormai pronto ad affrontare Chuck e Chuck non aspetta altro. Ora che abbiamo un “casus belli” e la contrapposizione tra i due ha finalmente trovato ragione d’esistere, vivremo con curiosità la manciata d’ore restanti. Con un auspicio, non ancora sopito: quel che avevamo detto a proposito di Axe nella recensione di una settimana fa non è stato in alcun modo smentito. E se si concretizzasse ci permettere di rivalutare pienamente questa difficile stagione di Billions: non una stagione fallimentare, finora, ma nemmeno la serie geniale a cui c’eravamo abituati negli ultimi cinque anni. Tra l’orso, il lupo e una New York in fiamme, non ci resta che attendere speranzosi il ritorno della volpe. Quella vera, capace di rendere straordinaria una serie comunque bellissima anche nei suoi momenti meno brillanti.

Antonio Casu

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