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Billions 6×03/6×04 – Il filantropo, il populista e l’allieva

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 6×03 e la 6×04 di Billions

Tutto ha un prezzo. Tutti hanno un prezzo e l’etica oscilla tra le evoluzioni del mercato. La morale della nostra fiaba postmoderna sembra trovare risposte non sempre scontate nel terzo e nel quarto episodio della sesta stagione di Billions. Attraverso un’esposizione plastica del concetto soprattutto nella seconda delle due puntate in onda da mercoledì su Sky Italia, esplicitata con un espediente narrativo interessante, irriverente e complessivamente efficace. Il listino prezzi di tutto, tutti e ogni singola idea, messo in scena in modo diretto con mille fronzoli. Interessante perché un prezzo non è mai solo un prezzo: è un manifesto d’intenti, un’esplorazione psicologica (talvolta psichiatrica) raffinata nella sua essenzialità, una risposta netta e decisa a un’infinità di quesiti che spesso trovano ipocrite soluzioni arzigogolate. Il prezzo stabilisce un confine che si sposta sempre in là, a seconda delle necessità e delle ambizioni dei singoli: la morale pare fissare una soglia, ma la soglia è labile, fragile e soggetta alle intemperie di un tempo in costante movimento.

Se da una parte il leitmotiv della quarta puntata è fin troppo evidente, dall’altra il tema si sovrappone a una delle principali domande attorno alle quali si sta concentrando la sesta stagione di Billions: un’altra finanza, eticamente sostenibile, è davvero possibile? In sostanza: quanto è dissimile Mike Prince, il nuovo principe della fiaba, dal vecchio king Axe? Tutti, incluso il redivivo Krakow, sembrano fare uno sforzo immenso per distinguere a fondo i due personaggi, ma la verità è che al momento, al di là delle peculiarità caratteriali che scindono il distruttore dal costruttore e il despota dal leader che cerca supporto nella voce dei suoi collaboratori, la new way di Prince sembra essere (in parte) piuttosto ipocrita.

Tendenzialmente pretestuosa, persino arrogante. Tuttavia ancora indefinibile nella sua globalità, come emerge dal confronto interessante con Taylor nel finale del doppio episodio. Perché è vero: Mason cerca di pulirsi la coscienza con un master plan idealista e ambizioso, ma il realismo pragmatico di Prince sembra gettare più di un’ombra sull’effettiva possibilità di essere filantropi al punto da cambiare il mondo. Nove zeri non sono pochi e non bastano. Ma sono sufficienti per offrire una prospettiva a un personaggio, Taylor, alla ricerca di un’identità purtroppo smarrita da tempo. Un prezzo per la sua morale, da devolvere in beneficenza.

Altrettanto si potrebbe dire di Wendy, il cui percorso di sospensione all’interno del dualismo tra Axe e Chuck si è arenato di fronte all’addio del primo. Il suo prezzo è altissimo, come mostrano le decine di migliaia di dollari che indossa quotidianamente, eppure necessita di una ridefinizione per un personaggio sempre più ai margini di una pur corale narrazione. Wendy è leale, ma leale a cosa? A chi? Come? A che pro? Troppi punti interrogativi per debolissime risposte. A differenza di quelle che sta trovando il vecchio Wags nelle sempre più solide interazioni col “nuovo Wags”: l’uomo di Axe, lo sappiamo, non è mai stato solo l’uomo di Axe. E non potrà mai essere l’uomo di Prince, ma il suo cammino di crescita intriga nell’evoluzione del soggetto che, più di ogni altro in Billions, ha fatto dell’amoralità un dipinto pop. O meglio, un brano rock.

Dall’altra parte della barricata, intanto, il nuovo Chuck continua a mostrare le storture del solito Chuck e si reinventa ancora nei panni del più improbabile dei populisti. Dalla parte del popolo non tanto per un vincolo di mandato ma per una propensione all’uso del ruolo per scopi personali. Non dissimile dal vecchio arcinemico, prima ribalta la situazione con un pittoresco (e clownesco) comizio sui tettucci delle auto ingolfate nel traffico newyorkese e poi sbaglia la mossa decisiva, dando in pasto all’avversario la sua “regina“. Un errore da principiante per uno scacchista scafato, dettato più dall’arroganza che da una lucida analisi degli eventi in sviluppo. Ormai è chiaro: Chuck non vuole più limitarsi al ruolo da arbitro delle leggi terrene, ma intende riscriverli dall’alto di un’imprecisata statura morale che lo ergerebbe ben oltre le regole scritte sulla carta.

Quasi soffrisse a sua volta per l’addio di Bobby, l’orfano di mille battaglie affronta quella che considera, forse realmente, una delle prime guerre “giuste” di una carriera dai troppi passaggi a vuoto. Una carriera sì da vincente, ma con troppi coni d’ombra. Sembra allora voler pure lui pulire la coscienza, azzerare il prezzo, indossare fino in fondo i panni di Robin Hood tra i trattori e i megafoni, ma i limiti caratteriali paiono ricoprire una parte preponderante in questo percorso. Perché in fondo Chuck non è cambiato. E la perdita dell’eterna allieva Kate, forse la più lucida in assoluto nel leggere, affrontare e approfittare di un quadro in evoluzione, è una naturale conseguenza non tanto dell’astuzia di Prince ma dei difetti di un mentore che ha usato la sua collaboratrice prediletta. E non ha saputo (o voluto) interpretare in alcun modo le sue legittime esigenze.

Quel che è certo, tuttavia, è che il salto di barricata di Kate Sacker avrà delle conseguenze imponenti nel futuro di Billions, anche prossimo. Da una parte ci ritroveremo ora con una nuova vera protagonista, ago della bilancia come un tempo fu Wendy tra Chuck e Axe. E dall’altra rappresenterà con ogni probabilità il “casus belli” che innescherà l’inevitabile dualismo tra il suo vecchio maestro e il suo nuovo capo, Prince. Dopo aver messo ogni tassello al proprio posto nei primi quattro episodi e aver dato una certa solidità alla trama orizzontale legata alle Olimpiadi newyorkesi del 2028, finora piuttosto convincente anche se irrealistica per ampi tratti, l’avvento della nuova rivalità tra i due protagonisti è l’ultimo elemento che manca per la realizzazione di un mosaico ambizioso e imprevedibile. Un’altra Billions, senza Axe. Con un futuro solido e un prezzo da pagare che ci auguriamo possa non essere troppo alto: il prezzo della dignità, per una grande serie tv che non meriterebbe certo di trascinarsi stancamente per chissà quanto senza più avere un’anima.

Antonio Casu

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