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Billions 6×01/6×02 – New York, Robin Hood e il nuovo Principe

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 6×01 e la 6×02 di Billions

Un nuovo inizio, una nuova era. Nuove traiettorie imprevedibili, nuove cause, un nuovo Principe. Un nuovo Chuck, lo stesso Chuck. Il vecchio inizio, la vecchia era. Vecchie traiettorie, le solite cause. Il nemico e l’amico, quello di sempre. Con un altro volto, un’altra mentalità. L’obiettivo, sempre lo stesso: i soldi, mai abbastanza. Troppi, per qualcuno. Per natura, al di là degli intenti. Cambia tutto per non cambiare niente, in una fiaba postmoderna che assume la forma di un trattore imperversante tra i campi sperduti illuminati dalla notte e corre verso l’ennesimo atto di un racconto che, forse, ha ancora qualcosa da narrare. L’antico cannone assume allora i contorni di un dollaro fiammante. L’arroganza del ricco osteggiata dall’eroe (non) senza macchia. L’altro ricco, dalle macchie ancora ignote, traccia un nuovo cammino e confonde un po’ tutti.

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Billions, una delle migliori serie tv degli ultimi anni, riparte così. Con una sesta stagione che non può non rappresentare una rivoluzione dopo l’addio del carismatico Axe. Diversa, eppure quella di sempre. Con un dna destinato a mutare ma non a stravolgersi. Essere se stessa, senza essere in qualche modo uguale. Grazie a un Chuck che riscrive le regole della sua vita per inseguire un nemico ormai senza volto. Novello Robin Hood, non è più la nemesi il suo problema, ma tutti quelli come lui. Qualunque cosa significhi, perché non è una questione di intenti ma di natura: la natura di chi vuole accumulare molti più soldi degli altri, nemico anche quando si muove sospeso al confine tra la legge e quello che va oltre. Coerente con un principio che va oltre Axe e andrà oltre Prince, l’altro Principe. Incoerente, nel far valere il peso della legge finché gli permette di umiliare un vicino molesto ma non di non dar fuoco alle polveri alla faccia delle povere tartarughine.

I primi due atti della Billions post Axe rappresentano in qualche modo la proposta di un percorso alternativo: che Chuck avremmo conosciuto, se non avesse incontrato sulla sua strada l’avversario di una vita intera, troppo simile a lui per poterne fare a meno? Lo stesso Chuck, per molti versi. Sfiancato da una battaglia alla lunga insostenibile per chiunque necessiti di mantenere un qualche controllo sulla propria esistenza, si rifugia nella periferia più remota degli Stati Uniti per ritrovarsi. Ma un vicino molesto, interpretato dal sempre brillante Michael McKean (il Chuck McGill di Better Call Saul), rovina i suoi piani e lo costringe a ritrovarsi nella caotica Manhattan newyorkese anche mentre si trova tra le mucche e la florida vegetazione. Niente di sorprendente, nella sua rivalsa. Per certi versi infantile, per altri in linea con quello che il procuratore generale è sempre stato: un antieroe marcio quanto chi osteggia, travestito da eroe.

Altrettanto si può dire del particolare (e piuttosto irrealistico) piano messo in atto nel secondo episodio della sesta stagione, nel quale ha coinvolto un’associazione di portieri: al di là della semplicistica realizzazione, l’astio nei confronti dei ricconi newyorkesi pare celare goffamente l’eterno conflitto irrisolto con l’ingombrante figura paterna. Insomma, niente di nuovo. Ma questo Chuck sembra ricordare da vicino più il Chuck dei primi anni di Billions che quello un po’ dimesso degli ultimi, e questo non può non farci piacere.

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Niente del genere si può dire dell’altro protagonista della nuova era di Billions, Mike Prince. Nel contesto della fiaba postmoderna, pare non trovare posto all’interno dei ruoli a cui siamo storicamente abituati: perché Prince non è il nuovo Axe, ma sembra ricalcarlo in molteplici sfumature caratteriali ancora da esplorare. E soprattutto perché Prince è al momento un personaggio del tutto illeggibile: allo sgomento dei suoi nuovi collaboratori, passati da un momento all’altro da uno squalo senza scrupoli a un uomo che chiede loro come stiano, corrisponde la nostra confusione (unita a una sorprendente curiosità nell’esplorazione che ci attende) nel non comprendere dove voglia andare a parare. Un’altra finanza è davvero possibile? La Prince List con cui ha dato il benservito a due terzi del portfolio eredito dalla Axe Capital è uno specchietto per le allodole, un salto nel vuoto destinato al baratro oppure l’idea visionaria di un mondo nuovo in cui fare i miliardi possa essere moralmente sostenibile?

Difficile dare una risposta al momento, ma quel che è certo è che il rapporto a dir poco altalenante con la moglie rappresenta il suo maggior limite e l’elemento che potrebbe far emergere una natura molto meno rassicurante: del piano rivoluzionario per fare di New York una città olimpica sembra esserci la nobiltà di un atto d’amore incondizionato e poco altro. Non è necessariamente un bene, per uno col suo potere. Ma non può non stupirci positivamente il fatto che il suo magnetismo piuttosto enigmatico non abbia fatto per niente rimpiangere (almeno per ora) il carisma inarrestabile di Bobby Axelrod: il rischio di ritrovarci con una copia sbiadita del personaggio interpretato sontuosamente per cinque stagioni da Damian Lewis era concretissimo, ma la saggezza degli autori di Billions sembra averli portati verso una direzione del tutto alternativa.

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Insomma, la nuova era in cui pareva non credere davvero quasi nessuno sembra essersi avviata in un modo interessante, costruendo il primo tassello in sé ingiudicabile di un mosaico che si definirà come sempre nell’arco della stagione. E seppure le problematiche non siano mancate (a partire dalla gestione di buona parte dei coprotagonisti, al momento dispersi senza un ruolo ben definito), il giudizio si sospende tra il pessimismo di chi non riesce proprio a immaginare una Billions senza Axe e l’ottimismo di chi individua un’universalità nel racconto che possa andare oltre il dualismo tra i due protagonisti. Un dualismo a cui comunque dovremo necessariamente arrivare nei prossimi episodi, ma che assumerà con ogni probabilità la forma di una dialettica dalle forme alternative rispetto a quelle a cui siamo abituati. Perché è vero: c’era una volta Billions, una storia di fragili uomini prima ancora che di fragile finanza, e forse non ci sarà più. Ma non per questo la parola fine può essere l’unica soluzione credibile. Perché sì: forse un’altra finanza è davvero possibile. E anche un’altra Billions, al di là dei rimpianti per quello che avrebbe potuto essere fino alla fine e non sarà più.

Antonio Casu

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