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La giornalista Anne E. Schwartz critica la docuserie su Jeffrey Dahmer: «Le cose non sono andate così»

Jeffrey Dahmer, lo spietato serial killer che ha ucciso decine di vittime, è al centro della nuova serie tv di Ryan Murphy. Il prolifico sceneggiatore e regista americano ama raccontare terribili casi di cronaca all’interno delle sue serie tv. Nella serie antologica American Crime Story ha dedicato ciascuna stagione ad un evento che ha sconvolto l’America: prima ha raccontato il processo ai danni di O. J. Simpson, poi la vera storia del serial killer Andrew Cunanan (tra le cui vittime figura anche lo stilista Gianni Versace) e infine l’impeachment che colpì Bill Clinton nel 1998. Ma anche in American Horror Story Murphy ha costruito le raccapriccianti storie, intrecciando fantasia e reali fatti di cronaca nera. La prima stagione di American Horror Story ad esempio è ispirata infatti a una storia vera: dietro la Murder House della serie si nasconde la famosa Amityville Manor di Long Island dove Butch DeFeo sterminò tutta la sua famiglia, spinto dalle voci nella sua testa. Monster: The Story of Jeffrey Dahmer sta ottenendo grandi elogi sia dal pubblico che dalla critica ed è senza dubbio una delle 10 migliori serie tv Netflix che parlano di serial killer.

Anne E. Schwartz ha però messo in luce le numerose inesattezze della docuserie targata Netflix su Jeffrey Dahmer.

In questi giorni abbiamo letto tanti giudizi, ma cosa ne pensa la giornalista che si è occupata molto da vicino del caso di Jeffrey Dahmer? Anne E. Schwartz al tempo scriveva per il Milwaukee Journal, quando nel 1991 seppe che degli agenti di polizia avevano trovato dei resti umani in un appartamento e si diresse sul posto per documentare il tutto. Come ha raccontato, a sorprenderla fu quello che trovò una volta entrata nell’abitazione del serial killer. Contrariamente a quanto potremmo pensare, la casa appariva assolutamente normale e non c’era alcun terribile olezzo che lasciasse presagire la presenza di un cadavere in decomposizione. Gli stessi agenti erano totalmente spaesati e non sapevano cosa cercare. La giornalista ha raccontato:

“Immagino che la cosa strana fosse che lì non sembrasse esserci nulla di strano. Sono stata una giornalista di cronaca nera per cinque anni, quindi so che odore c’è quando entri in un edificio con un cadavere o un cadavere in decomposizione. L’odore non era quello. Era un odore molto chimico”.

La giornalista dopo quel giorno ha continuato a seguire il caso e nel 1992 ha pubblicato un libro dedicato proprio al serial killer, The Man Who Could Not Kill Enough. In un’intervista rilasciata in questi giorni in esclusiva al The Independent ha chiesto al pubblico di non credere a tutto quello che viene raccontato all’interno della docuserie di Ryan Murphy. Ha detto:

“Quando le persone guardano la serie targata Netflix di Ryan Murphy, pensano ‘Oh mio Dio, è terribile’. Voglio dire loro che le cose non sono andate proprio in quel modo”.

Secondo Anne E. Schwartz la serie tv conterrebbe più di un inesattezza, a cominciare dall’incontro tra Jeffrey Dahmer e Glenda Cleveland che compare all’inizio del primo episodio. In realtà la donna non abitava nell’appartamento accanto a quello del killer, ma in un edificio separato. Non è possibile quindi che nutrisse dei sospetti sul ragazzo e anzi è molto probabile che non lo abbia mai incontrato. Infine la giornalista Anne E. Schwartz ha sostenuto di non essere affatto d’accordo con il quadro impietoso che la docuserie di Netflix ha fatto della condotta del dipartimento di giustizia del Wisconsin. La giornalista ha collaborato a lungo con gli agenti e ha assicurato che i poliziotti non fossero né razzisti né omofobi. Ha aggiunto inoltre che i poliziotti non hanno affatto preso sotto gamba il caso e che anzi proprio le varie telefonate e denunce, che hanno ricevuto, gli hanno permesso di assicurare Jeffrey Dahmer alla giustizia. Ha concluso:

“Ho passato molto tempo con loro, intervistando le persone che erano sulla scena. Anche in questo caso si tratta di una drammatizzazione, ma in un momento in cui non è esattamente facile per le forze dell’ordine ottenere fiducia e farsi accettare dalla comunità, non è una rappresentazione molto utile”.

E voi cosa ne pensate delle parole della giornalista Anne E. Schwartz?