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Favino, “l’appropriazione culturale” e il caso Ferrari: le reazioni principali del mondo del cinema

A cosa serve una delle Mostre del cinema più importanti del mondo, se non per parlare di cinema? Si potrebbe discuterne per ore e trovare un milione di altri motivi validi, ma uno che ha certamente colto l’occasione per farlo è Pierfrancesco Favino, impegnato in questi giorni a Venezia per la promozione dell’ultimo ambizioso film che lo vede protagonista, Comandante.

Il tema dominante, tuttavia, non è la pellicola di Edoardo De Angelis bensì una dichiarazione di Favino a proposito di uno dei titoli più importanti presentati all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia: Ferrari, di Michael Mann.

Il problema? Perché un personaggio italiano, Enzo Ferrari, viene interpretato da un americano (Adam Driver) e non da un italiano?

Queste le parole di Favino: C’è un tema di appropriazione culturale. Non si capisce perché non io ma attori di questo livello – dice rivolto ai colleghi nel film Toni Servillo, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea – non sono coinvolti in questo genere di film che invece affidano ad attori stranieri lontani dai protagonisti reali delle storie, a cominciare dall’accento esotico. Se un cubano non può fare un messicano perché un americano può fare un italiano? Solo da noi. Ferrari, in altre epoche, lo avrebbe fatto Gassman: oggi, invece, lo fa Driver e nessuno dice nulla. Mi sembra un atteggiamento di disprezzo nei confronti del sistema italiano: se le leggi comuni sono queste allora partecipiamo anche noi”.

Come era inevitabile, le dichiarazioni hanno scatenato da subito un importante dibattito sul tema, già affrontato in passato dallo stesso Favino a proposito di House of Gucci. Pronta la risposta di Andrea Iervolino, ceo di Ilbe e produttore di Ferrari, attraverso un comunicato ufficiale: “Negli ultimi trent’anni il cinema italiano non ha creato uno star system riconoscibile nel mondo, nonostante siano presenti sul panorama italiano moltissimi attori di eccellente professionalità, restando chiuso a collaborazioni internazionali che in un mondo globale ritengo al contrario utili alla crescita del settore. Gli altri Paesi non americani hanno avuto invece un approccio diverso e forse vincente dando vita e luce a Banderas, Bardem, Cruz, Cassel, Cotillard, Kinnam, Mikkelsen, Schoenaerts, Kruger che sono oggi nomi internazionalmente riconosciuti con un notevole e comunque discreto valore. In Italia, al contrario – prosegue – proprio per valorizzare e lanciare talenti italiani, bisogna fare film internazionali, inserendo nel cast un mix di attori stranieri e nostrani”.

Molte le voci a sostegno di Favino. A partire da Pupi Avati, del tutto in linea con l’attore: “Ha pienamente ragione. Visto che capita spesso che gli americani facciano film sugli italiani, ha perfettamente un suo senso che siano interpretati da italiani. Ferrari, un modenese, che viene dal Nebraska, fa un po’ ridere”. Sostegno (critico) anche da parte di Mads Mikkelsen, anch’esso presente a Venezia per presentare il suo nuovo film – Bastarden – con un’importante riflessione sul ruolo del doppiaggio nel cinema di oggi condivisa nel corso di un incontro con la stampa: “Farei una premessa: se in Francia, in Germania, in Italia e in Spagna smettessero di doppiare i film in tutte le lingue, questo potrebbe essere un elemento importante per affrontare il problema. Ma finché continuano col doppiaggio a chi importa quale sia la lingua, la cultura d’origine? Non ho mai capito perché fate questa cosa, per me folle: abbiamo visto Tom Cruise interpretare un ufficiale nazista con un leggero accento tedesco e poi diventare americano in piena regola, da lì in poi. Puoi farlo in questo tipo di film, in altri invece li rende meno credibili“.

Per Gabriele Salvatores, citato da la Repubblica, invece, bisogna “riflettere su una questione molto complessa”. Edwige Fenech, riportata anch’essa da la Repubblica, è molto diretta: “Favino ha ragione, gli americani hanno avuto molto più spazio nei film italiani che non il contrario. Anche se Favino ha fatto diverse partecipazioni in film americani, non possiamo assolutamente fare un paragone. Anche nel film Gucci, per carità, gli attori sono grandi attori ma non sono italiani, oltre al fatto che sul film bisogna stendere un velo pietoso: non è certo il modo giusto di dipingere una famiglia”.

Sostegno quasi unanime a Favino da parte di numerosissimi colleghi italiani, con un’opinione divergente.

Edoardo Pesce, infatti, ha un’idea diversa sul tema. Citiamo un estratto dell’intervista rilasciata dall’attore a Chiara Ugolini (la Repubblica): “Io mi dissocio. È un po’ come nel mio piccolo quando ho interpretato il mafioso Giovanni Brusca e un attore palermitano alla Vucciria se l’è presa con me che non ero siciliano. Ho imparato il dialetto, il coach mi mandava delle frasi su cui esercitarmi anche se quasi non capivo cosa volessero dire, il linguaggio si può apprendere. Per me Adam Driver può fare Ferrari, ciò che conta è la caratterizzazione significativa del personaggio”.

Al di là di come la si pensa, una cosa è certa: se ne parlerà a lungo. E meno male.