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Il film della settimana: The Father – Nulla è come sembra

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto The Father.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere The Father – Nulla è come sembra? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su RaiPlay (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), The Father – Nulla è come sembra è incentrato su Anthony, uomo di 80 anni che non vuole l’assistenza di nessuno, nemmeno di sua figlia Anne, quest’ultima in procinto di partire per Parigi. Ne avrebbe bisogno perché l’anziano inizia a mostrare sintomi dell’Alzheimer, scordandosi molte cose e perdendo man mano la percezione della realtà. A risentirne è, in primis, Anthony, che non riesce più a ricomporre i frammenti nella sua mente; in secondo luogo i suoi familiari, soprattutto Anne, la quale vive il tutto quasi come un lutto.

Florian Zeller adatta al cinema la sua stessa pièce teatrale, trasformando un dramma da camera in un viaggio dentro la psiche di un uomo che sprofonda progressivamente nella malattia. Grazie alla sua egregia scrittura (che ha vinto l’Oscar) e alla sublime regia, rende la sua opera quasi un thriller psicologico con punte horror, servendosi del linguaggio cinematografico per colpirci nel profondo. Già, perché Zeller riesce a farci vivere la malattia come se ne fossimo affetti, con tutto il dolore e la confusione che comporta, portando via piano piano pezzi di noi. Incredibile è Anthony Hopkins (il Ford di Westworld) nel trasmetterci tutte le sensazioni del protagonista, giustamente premiato con l’Oscar. Ottima è anche Olivia Colman (splendida regina Elisabetta di The Crown) nei panni di Anne. E a condire il tutto c’è l’ottima scelta musicale, con le musiche di Ludovico Einaudi che amplificano la potenza del film e il nostro coinvolgimento.

The Father è un gioiellino cinematografico in grado di toccare ogni punto dello spettro delle emozioni umane, giocando allo stesso tempo con i generi cinematografici e portandoci verso un finale che sottolinea in maniera indelebile l’altissima qualità di quest’opera. C’è tutto ciò che desideriamo in un film e va pure oltre. E nella seconda parte del pezzo vi aspetta la nostra analisi.

SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di The Father – Nulla è come sembra

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Anthony Hopkins in una scena del film di Zeller (The HotCorn)

Un giornalista del Guardian, Benjamin Lee, definì The Father in questo modo:

«Al Sundance negli anni precedenti ci sono stati Saw, Hereditary, Get Out, The Babadook e The Blair Witch Project, ma quest’anno il film più spaventoso non parla di un assassino sadico o di un culto malvagio. Non è nemmeno un film di paura in senso tradizionale. È un film sull’orrore agghiacciante di convivere con la demenza e mi perseguiterà per settimane».

Ed è proprio questo che fa l’opera di Zeller. Riesce a portare il pubblico dove non pensava di arrivare, nonostante inizialmente sembri un dramma semplice e all’interno di una dinamica che già conosciamo. Ovvero quella di un uomo anziano, affetto da demenza, che non vuole una badante, necessaria non solo per la sua condizione, ma anche perché la figlia Anne non può prendersi più cura di lui dato il suo imminente trasferimento. Una donna che si trasforma nella mente di Anthony, portando l’uomo a dubitare di sé stesso e di chi ha intorno. Zeller presenta questa malattia attraverso i suoi effetti psicologici, il modo in cui fa evaporare le cose conosciute e in cui fa confondere presente e passato.

Niente di ciò, però, ci viene presentato esplicitamente in The Father. La narrazione è vaga, gli eventi si sovrappongono, le persone si confondono (il marito di Anne, infatti, è interpretato in maniera alternata da Mark Gatiss e Rufus Sewell) e gli oggetti si perdono, come l’orologio dell’anziano, simbolo dell’assenza di controllo sulla malattia e sul tempo, generando realtà frammentate che si sfumano e si contraddicono e dentro cui Anthony è prigioniero.

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Anthony Hopkins nel film di Zeller (Culture Whisper)

In The Father, Zeller ci fa passare da una sequenza all’altra in maniera circolare, enfatizzando una vita ripetitiva senza soluzione di continuità e non dandoci interpretazioni o risoluzioni definitive. Tocca a noi ricostruire i pezzi di questo enigmatico e straniante puzzle.

Perché Anthony siamo noi.

Alla maniera di un thriller psicologico, Zeller fonde la mente e il modo di concepire il mondo di Anthony con il nostro punto di vista. Non ci facciamo caso inizialmente, sebbene già dalla prima scena c’era un indizio nell’interruzione brusca della musica quando il protagonista si leva le cuffie. Come abbiamo menzionato, la scrittura ci mette inizialmente di fronte a una realtà convincente. Lì però qualcosa non quadra e, man mano che procediamo, si ha quella sensazione di deja-vu. Finché la realtà si sfalda nella mente di Anthony che, però, è anche la nostra in quel momento. Di conseguenza, viviamo in prima persona la confusione riguardo al compagno della propria figlia, che cambia in continuazione, o al non sapere a chi appartiene la casa in cui abitiamo. Capiamo realmente che cosa vuol dire quando la demenza colpisce una mente, non immagazzina più memorie e confonde i ricordi.

Per arrivare a questa immersione e identificazione quasi totale con il protagonista, concorre anche il reparto tecnico. Le inquadrature e il montaggio creano una crescente divisione tra verità e percezione. La scenografia trasforma senza avvisarci l’appartamento del protagonista, indicando come lui non riesca più a riconoscere nemmeno il posto più familiare. È un luogo enorme, sempre meno illuminato, dai soffitti alti e con moltissime porte. Quest’ultime rappresentano una metafora delle parti più complesse e nascoste nella psiche di Anthony. In pratica, l’appartamento è l’estensione del protagonista stesso, sempre più prigioniero della malattia e che sta perdendo progressivamente la sua autonomia e la sua identità.

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L’appartamento mutevole nel film di Zeller (Film and Furniture)

La malattia viene analizzata non solo dal punto di vista di chi ne è affetto, ma anche di chi gli sta attorno.

The Father racconta anche la separazione tra una figlia e una padre, il cui rapporto assume un ruolo fondamentale. Anne soffre per la condizione del genitore, che nasconde, dietro il rifiuto, la paura della solitudine e della morte. Rifiuto che diviene repulsione e dolore, in cui un padre non vuole l’aiuto di una figlia a cui viene negata ogni opzione. È come se fosse un soldato che vede il suo più grande alleato diventare il suo peggior nemico, senza avere armi per contrastarlo. E allora è confusa e frustrata a causa dell’impotenza di fronte a una malattia che non si può fermare e allo smarrimento di un Anthony che non riconosce più il suo mondo. In un certo senso, sta processando il lutto. Sì, Anthony non è ancora fisicamente morto, ma la sua essenza e identità stanno svanendo. È la morte spirituale perché l’anziano sta diventando un corpo vuoto.

E viene anche da chiedersi chi dei due abbia più bisogno dell’altro. Così, i ruoli vengono messi in discussione in questa riflessione sull’umanità e su un rapporto tanto delicato quanto doloroso. Il modo con cui Anthony Hopkins e Oliva Colman interpretano i loro personaggi restituisce tutta la gravità della loro condizione. Nessuno dei due aveva esperienza con la malattia e, come disse Colman: “In un certo senso, non saperne nulla mi ha messo nella condizione ideale per interpretare una donna che si trova ad affrontare una situazione del tutto nuova”. E concordiamo. In particolare Hopkins riesce a trasmettere ogni singola emozione del suo personaggio, raggiungendo vette altissime nei momenti più silenziosi, quando gli basta uno sguardo per trasmettere l’angoscia della sua situazione.

Una piccola curiosità: Zeller chiamò il personaggio Anthony perché lo scrisse immaginando proprio Hopkins nei suoi panni. E otto anni dopo, il suo sogno divenne realtà.

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Olivia Colman e Anthony Hopkins come Anne e Anthony (Awards)

Tutti i nostri dubbi su quello che sta realmente accadendo in The Father e la rivelazione della malattia vengono sciolti nel finale.

Anthony è in una casa di cura fin dall’inizio di The Father. Gli eventi che abbiamo visto precedentemente, in realtà, sono i suoi ricordi. Iniziano con il trasferimento di Anne a Parigi dove vivrà con un nuovo fidanzato, ma l’anziano continua a confonderlo con l’ex marito di lei, Paul. Allo stesso modo, non distingue i vari appartamenti in cui viene spostato, che nella sua mente sono tutti uguali. Scambia pure l’infermiera Catherine con Anne parecchie volte. Questo anche per la paura di perdere la figlia, come è successo con la minore, Lucy, la cui morte non è riuscito ancora a elaborare. E non potrà mai per la sua malattia.

C’è un momento di lucidità in cui comprende quello che gli sta accadendo e scoppia in lacrime. Crolla, chiede di sua madre come farebbe un bambino. In fondo, la nostra mamma è il luogo in cui ci sentiamo più protetti e in cui ci rifugiamo quando il mondo va a rotoli e non lo capiamo più. E Anthony, che è regredito mentalmente e che non ha più i figli al suo fianco, non può che rifugiarsi nell’unica cosa che sa che gli darà amore e sostegno.

Non c’è alcun giudizio morale o commento sul comportamento di Anne o sulla condizione di Anthony. Solo una delle rappresentazioni più intime e spaventosamente reali di una delle malattie più terribili che possa colpire l’essere umano. Zeller voleva che il pubblico percorresse “un labirinto e quindi ho tracciato una narrazione complessa mescolando la realtà con i ricordi passati.”. E ci è riuscito alla grande.

Il film della settimana scorsa: Jackie Brown