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La zona d’interesse – Quel rumore che è più forte delle immagini

La zona d’interesse (The Zone of Interest) è ufficialmente il vincitore del premio Oscar nella categoria film in lingua straniera. Nonostante l’amaro in bocca per la sconfitta di Io Capitano di Garrone, bisogna riconoscere che si tratta di un’opera davvero interessante. Film ambientato nel passato, ma mai così attuale, questa pellicola firmata Jonathan Glazer ci disturba e ci fa riflettere. Un film tra i più impegnativi di sempre, che tuttavia di scene traumatizzanti non ne mostra affatto. Riesce grazie alla maestria del suono, e a immagini non mostrate, a farci pensare (qui trovi anche tutti gli altri vincitori degli Oscar 2024).

Tra le numerose uscite del periodo e l’attualità non ostentata dei temi trattati, questa produzione cinematografica merita un approfondimento su diversi fronti.

La trama più attuale che mai de La zona d’interesse

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La zona d’interesse – Il perfetto giardino

La zona d’interesse offre uno sguardo profondo e perturbante sulla vita quotidiana di Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, e della sua famiglia, che vivono in una lussuosa casa con giardino proprio accanto al campo di concentramento. Il film adotta una prospettiva audace, rinunciando a mostrare direttamente gli orrori del campo, concentrandosi invece sulle attività apparentemente normali della famiglia: la colazione, i trucchi, la cura del giardino.

Questa normalità, tuttavia, è permeata da un’atmosfera inquietante, resa palpabile attraverso segnali subdoli come il fumo o rumori notturni, le grida. Il disturbante si diffonde in ogni scena, trasformando il film in una sorta di lento viaggio verso ciò che non vorremmo vedere. L’inducibile è di fatto più potente di ogni immagine. Il fuori campo diventa così il luogo in cui risiede la vera devastazione, mentre lo spettatore è costretto a cercare segni dell’orrore nell’ombra dell’inquadratura.

La curiosità e il terrore dell’essere umano

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La zona d’interesse – Il padre di famiglia

Lo spettatore in sala è intimorito, in quell’attesa del non visto che mai si paleserà durante la pellicola. Ci si aspetta di varcare le mura della villa, di avere un qualsiasi contatto con quel mondo devastante la fuori. Tuttavia, a un certo punto ci si rassegna all’idea di poterlo solo udire. L’essere umano (lo spettatore) è intimorito ma estremamente curioso in modo morboso dal quel che sta accadendo.

Come se non bastasse poterlo immaginare, come se volessimo a tutti i costi vedere chi sta urlando (come se non lo sapessimo). Al tempo stesso, preghiamo di non scoprirlo mai, perché sarebbe devastante. Glazer provoca lo spettatore, lo mette in una condizione difficile. Sfida la mente umana e ci porta a riflettere sul nostro modo di agire e pensare (qui trovi gli altri film nominati agli Oscar).

Spettatori di atrocità reali

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La zona d’interesse – Le mura e il campo di concentramento

La famiglia Höss sceglie di non udire, sceglie di non guardare, sceglie di non capire. Per quasi tutto il film non ci capacitiamo di come riescano a dormire con il sottofondo delle urla strazianti dei prigionieri. Non capiamo come facciano a indossare i loro vestiti con così tanta facilità. Non comprendiamo come possano dormire con i fumi provenienti dai forni crematori.

Fuori dall’inquadratura c’è l’inferno, eppure Rudolf torna a casa e sembra “un padre modello”, legge le fiabe ai bambini e parla di fare un viaggio con la moglie. La banalità del male dilaga nel film, e noi ci arrabbiamo, ma loro sono indifferenti. Glazer non vuole impressionare, forse non vuole nemmeno farci la morale, vuole mostrare. Ci schiaffa sullo schermo le dinamiche di potere, il patriarcato e l’indifferenza che in numerosi contesti attuali colpisce ognuno di noi. La famiglia Höss, decontestualizzata, potrebbe tranquillamente essere collata all’interno di un reality alla The Truman Show. Le immagini che il regista sceglie di mostrarci sono quelle quotidiane, come fossero quelle di una qualunque famiglia. Il che rende la loro crudeltà omessa ancora più agghiacciante.

La zona d’interesse, la nostra zona sicura

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La zona d’interesse – Il cortile della famiglia

Quello che vediamo ci fa sentire male, e non solo per l’atrocità di un sonoro da brividi. Ci porta alla consapevolezza di chi siamo. Non ci sono loro e non ci siamo noi, siamo una cosa unica, colpevoli di non agire, colpevoli di ascoltare e basta. Glazer ci fa percepire l’Olocausto, ma espande la riflessione all’attualità, quella in cui si preferisce nascondere la testa sotto la sabbia.

Se fuori dalle mura un gruppo di persone viene raggruppata nelle camere a gas, dentro le mura un gruppo di famiglie felici festeggia in un giardino asettico, abbellito il più possibile, ma comunque terribilmente disseminato di morte. Il giardino diventa rappresentazione del nostro territorio. Finché ci troviamo dentro le mura, e queste sono sicure, non ci preoccupiamo di come possano stare coloro che sono fuori. In questo senso i rimandi al film Il Bambino con il pigiama a righe (che puoi trovare qui su Netflix) sono molteplici. Anche in quel contesto, fino a quando i due mondi non si sono uniti per sempre in una tragedia, l’indifferenza della famiglia era elemento preponderante.

Sfondo rosso, sfondo nero, negativo

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La zona d’interesse – Il negativo

L’impronta registica di Glazer appare più chiara che mai. Ce la mostra a inizio film e durante. Le immagini in negativo della bambina che nasconde le mele sotto le foglie sono il suo tentativo di donare speranza. In un epilogo mai così definito e scritto, il regista pone una bambina nel buio più profondo, che è più lucente che mai. Le dà delle mele e quindi del cibo per i poveri detenuti, ci mostra una parte del campo, ma solo quella che sotto la terra nasconde un briciolo di umanità.

Glazer non introduce questo spezzone senza un senso, ma si tratta della testimonianza di una donna di novant’anni che durante la resistenza polacca nascondeva le mele vicino al campo. La stessa casa dove è stato girato il film era della donna, così come la bicicletta e l’abito della bambina.

Il regista sceglie lo schermo nero a inizio film per farci concentrare, per far sintonizzare solo le nostre orecchie, quelle che ci sarebbero servite maggiormente durante la visione. Lo stesso scopo lo detiene lo schermo bianco, quasi come una punizione che ci costringe a non smettere mai di ascoltare. La cornice rossa, invece, è stata una creazione collaborativa di Glazer, Watts, Burn e Levi. Posta li solo per ricordarci che quello era il momento delle domande che avremmo dovuto porre a noi stessi.

Il flashforward finale

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La zona d’interesse – Il finale

Sul finale vediamo Rudolf Höss che vomita. Ma come spiega direttamente il regista, non si tratta di una sua presa di coscienza, perché quest’ultimo non la possiede. In quella scena il corpo dell’uomo si ribella semplicemente a una mente che ormai è deviata, cattiva e apatica. L’uomo ha respirato l’aria e bevuto l’acqua inquinata dalle ceneri dei corpi bruciati nei forni crematori.

Glazer sceglie di non mostrarci mai coloro che soffrono e urlano durante il film, neppure sul finale. Tuttavia vuole mostrarci quell’assenza che non è mai stata così tanto una dolorosissima presenza. In un flashforward ci viene mostrata l’altra quotidianità, una nuova indifferenza apparente, quella delle donne delle pulizie che puliscono le sale del centro di concentramento. Come se non ci volesse dare un momento per soffrire, come se non ci meritassimo di vedere immagini crude. Il regista sembra volerci punire con i rumori fastidiosi degli aspirapolvere, un po’ a farci capire che forse non abbiamo il diritto di soffrire, ma che prima di tutto dobbiamo imparare ad ascoltare e ad agire, prima di fermarci semplicemente a guardare (qui trovi altri film disturbanti non horror).