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Boris 3×11 – Ai piedi dell’Impero

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla terza stagione di Boris

“Ma ti rendi conto di cosa succederebbe se veramente qualcuno facesse una fiction più moderna? Ben scritta, ben recitata, ben girata. Ma tutto un intero sistema industriale, fondamentale per il nostro Paese, di colpo così da un giorno all’altro… dovrebbe chiudere! Caput! Ma la domanda è un’altra: perché rivoluzionare un sistema che funziona già?”.

Chiunque abbia visto Boris almeno una volta nella vita, ricorda benissimo queste parole. E ricorda anche quando, dove e da chi furono pronunciate, a chi fossero rivolte e per quale motivo. Le ricorda benissimo perché rappresentano un vero e proprio spartiacque della serie, per certi versi persino della serialità italiana. E per questo sono riconoscibili ed evocabili anche da tanti che Boris non l’hanno mai guardata. La fuoriserie, d’altronde, è una di quelle opere che sono entrate a far parte dell’immaginario comune. Ma non solo: è un patrimonio universale della cultura popolare degli ultimi quindici anni. E le sue lezioni si spingono ben oltre i confini dell’attualità, arrivando fino a oggi. Nel 2023, ormai ben distanti – all’apparenza – da quel pomeriggio del 2010 ai Fori Imperiali. Perché? “Perché rivoluzionare un sistema che funziona già?”, domanderebbe ancora Lopez? E l’unico capace di porsi degli ulteriori quesiti a riguardo sarebbe un sognatore disilluso, tuttavia non ancora piegato alla bruta ineluttabilità della realtà. Uno come Renè Ferretti, insomma.

Ma non generalizziamo: chi pensa che tutte le serie italiane siano brutte, fatte male, impresentabili e sciocche non è altro che un qualunquista. E non ha la lucidità – né la volontà – necessaria per intravedere i profondi cambiamenti affrontati dal nostro movimento nell’ultimo decennio abbondante, non solo in relazione all’ingresso in scena di network internazionali del calibro di Netflix, Disney o Paramount, ma anche se si ragiona su tante produzioni nostrane in tutto e per tutto. Un’altra televisione, quindi, è davvero possibile, e lo sapevano benissimo anche gli illuminati autori di Boris, tre geni che un’altra televisione l’hanno fatta sul serio. Oltretutto in un periodo storico in cui Romanzo Criminale, giusto per fare uno dei migliori esempi possibili della qualità che sanno proporre talvolta le nostre opere seriali, aveva già visto la luce e si apprestava a chiudere il suo ciclo intenso proprio nei mesi in cui andò in onda la terza stagione di Boris. Ma quindi che senso ha allacciare alla cronaca dei nostri tempi un episodio di tredici anni fa che sembrava fotografare “solo” la propria attualità?

Perché tanti dei problemi della serialità italiana esposti da Boris stanno ancora là, in bella vista. E possiamo ancora fare nostre le amare parole di Lopez e l’amaro disappunto di Ferretti, specie se si pensa che le produzioni peggiori sono spesso le produzioni più seguite dal pubblico nazionalpopolare che rappresenta lo zoccolo duro del nostro Paese, con botte da oltre cinque milioni di spettatori a puntata.

Allora Boris, quella della sua prima vita, è ancora avanti a noi. E ha tanto da raccontarci a proposito di quello che guardiamo, del Paese in cui viviamo e degli italiani che siamo. Con un episodio, più di ogni altro: l’undicesimo della terza stagione.

E dire che “Stopper”, disponibile su Disney Plus, sembrava essere il “solito” episodio di Boris. Un episodio come tanti altri, abituati come siamo alle vette di una serie capace di riscrivere i canoni e andare oltre i nostri stessi limiti. Ci sono i soliti problemi di produzione per l’avvento sempre più complesso dell’ambiziosa Medical Dimension, le bizzarrie di Stanis, i trucchetti di Sergio, l’insofferenza di Renè, un’improbabile guest star a basso costo e tanto calcio: il calcio del passato, grazie a un Brio qualunque ripescato da un vecchio albo degli anni Ottanta, e il calcio del presente grazie al cameo del figlio dell’interprete di Biascica, Paolo Calabresi, oggi professionista tra la A e la B. Ma no, non è così: “Stopper” si cela all’interno di una verticalità familiare, ricca di ironia e gag vincenti, per disvelare solo negli ultimi minuti una dirompente orizzontalità narrativa, costruita silenziosamente tassello dopo tassello nel corso della stagione per esplodere nei cinque minuti conclusivi. Cinque minuti d’altissima televisione, addensati in un dialogo appassionato e carismatico con rarissimi eguali:

“Il senso dell’intera operazione per altro è più complesso, più ampio: dimostrare a tutto il comparto televisivo nazionale, dalle reti ai produttori, dai giornalisti agli investitori pubblicitari, che in Italia una fiction diversa, oggi, non solo non è possibile ma non è neanche augurabile. Non la vuole nessuno una fiction diversa!”.

Così Lopez distrugge i sogni di gloria di un regista che aveva dato tutto se stesso per dar vita al proprio capolavoro. Con poche parole da vero amico, chiare e incisive, efficaci nel togliere il velo sul vero senso di Medical Dimension: non il tentativo della Rete di osare con un’audace produzione dalla spiccata qualità, bensì una gattopardiana prova di forza atta a dare in pasto al pubblico una vittima sacrificale, attraverso una machiavellica trappola. L’obiettivo? Andare incontro a un fallimento certo, ricercato con cura attraverso uno scientifico posizionamento delle variabili, per poi tornare a fare quello che si è sempre fatto. Senza paure e senza rischi, puntando sull’usato sicuro della solita vecchia fiction. Bramata dal pubblico, dopo esser stata accecata dalle suggestioni di una serialità internazionale che bussava timidamente alle porte del nostro Paese. Insomma, una trappola. La trappola che ha messo in scacco gli ignari complici dell’operazione e permesso a Lopez di illustrare, in una manciata di minuti, tanti dei limiti che ci hanno caratterizzato per troppo tempo e che continuano ad arginare ancora oggi tanto del nostro potenziale.

Cosa ci resta quindi di una scena che ha fatto la storia di Boris e della serialità italiana?

Ci rimangono le parole di Diego, concrete e decise nel mettere a nudo una realtà che tutti conoscevano e che nessuno voleva mettere in evidenza con tanta veemenza. Ma anche i silenzi di Renè, impietrito di fronte all’ennesimo fallimento di un sistema incapace di approcciarsi al cambiamento. E uno sfondo, ideale. Bellissimo, in un tempo che fu. Glorioso e maestoso, nella sua decadente capacità di persistenza nella memoria di tutti noi: i Fori Imperiali. Simbolici, nell’associarsi a una televisione in rovina che si poggia sulla consapevolezza di rispecchiare le esigenze di un pubblico che non ha alcuna voglia di uscire dalla propria confort zone. Facendo finta di dimenticare che un tempo, al cospetto di decine di milioni di spettatori con pretese ancora inferiori, si proponevano in prima serata gli sceneggiati di alcuni tra i più raffinati autori della storia del nostri cinema, straordinari nell’offrire un servizio pubblico davvero all’altezza dell’impegnativa definizione.

Insomma, se da un lato la televisione persiste nel voler assecondare a tutti i costi i gusti di un pubblico miope, dall’altra a essere volutamente miope è la tv stessa, oggi conseguenza dei nostri mali e non più causa del nostro bene. Ne usciremo mai o saremo sempre gli stessi italiani, brillantemente descritti da Lopez e amaramente assecondati dai tanti Renè costretti a rinunciare alle proprie velleità artistiche in nome di esigenze che di creativo non hanno niente? Con ogni probabilità no, finché la tv di qualità rappresenterà un problema più che una necessità. E allora prepariamoci a recensire nei prossimi anni tante serie italiane di qualità: le abbiamo avute, le abbiamo e le avremo. Ma anche troppe fiction dimenticabili, stucchevoli e svilenti che graveranno sull’intrattenimento di milioni di italiani, parte integrante di un sistema più vivo che mai e ancora ben distante dall’essere sradicato. Ci ritroveremo quindi ai piedi dell’Impero, ieri come oggi. All’ombra di una bellezza assaporata tra le righe delle pagine di storia, dentro le rovine di un mondo non più nostro. Immersi in una sceneggiatura di Boris, nella vana speranza che prima o poi scorrano i titoli di coda.

Antonio Casu

La puntata 3×11 di Boris sarà raccontata, approfondita e analizzata anche giovedì sera 18 maggio alle 21.00 sul nostro canale Twitch: ci trovate sotto il nome hallofseries_com. Vi aspettiamo!

Ma per fortuna non tutto è perduto, come dimostra la quarta stagione di Boris – Segui la musica, Renè