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L’importanza fondamentale dei primissimi minuti di Romanzo Criminale

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Romanzo Criminale

Roma, Magliana. Oggi o giù di lì. Una batteria di scappati di casa deruba un vecchio indifeso e lo malmena in pieno giorno. Tuttavia le apparenze tendono spesso ad ingannare, e l’uomo è tutto meno che un indifeso. Il signore di mezza età, infatti, vendica subito l’onta subita, raggiunge il gruppo di ragazzi e senza pensarci due volte tira fuori una pistola, gambizza e uccide uno di loro. Tutto è chiaro: l’uomo ferito non è uno qualunque e ci tiene a rimarcarlo. Allo scontro segue un urlo che scuote l’intero quartiere, sprofondato in un loop senza tempo. Una sola frase, un motto, un atto d’amore e una filosofia di vita che diventerà iconica nello stesso momento in cui viene pronunciata, ben prima della Pamplona di Fibra. “Io stavo col Libanese”, grida fiero il Bufalo. Mica col Dandi, aggiungiamo noi. Perché pochi minuti sono stati sufficienti per capire tantissimo di Romanzo Criminale, quasi tutto. Con gli occhi di sa tutto, e non.

Romanzo Criminale

In fondo non abbiamo avuto bisogno di uno dei finali più belli nella storia delle serie tv per comprendere chi fosse quell’uomo: è stato sufficiente guardarlo negli occhi. Uno sguardo brutale e allo stesso tempo cupo e malinconico, figlio di una vita di rivalse di un ultimo che non ha mai dimenticato il valore dell’amicizia anche nel bel mezzo di una guerra dai mille fuochi. Bufalo era un criminale istintivo, senza filtri. Era l’uomo del “famo oggi”, un po’ come il Libanese. Alla faccia del Freddo che vedeva il domani e, ancor più, del Dandi arrivista che non ha avuto fretta nel conquistare lo scettro del Re di Roma. Bufalo stava col Libanese perché li univa tutto, non solo un’amicizia sincera. Erano passionali e rabbiosi, idealisti e diretti. Questo li ha portati in Paradiso, e questo li ha riportati all’Inferno. Un cerchio che si è aperto e chiuso nel sangue, un sogno infranto che voleva imporre una dittatura militare su una città ingovernabile e non aveva colto l’importanza capitale del compromesso politico e del potere subdolo.

Romanzo Criminale è la storia di una Banda che ha scritto una pagina chiave della Storia del nostro Paese, perennemente ad un passo dalle nuvole e sull’orlo di un precipizio. Un equilibrio instabile, nel quale il “famo oggi” ha innescato un ingranaggio che sembrava utopia e il “famo domani” (molto più del Dandi, che del Freddo) è passato alla cassa, diventando immortale a prescindere dagli interpreti. Superati i confini di Magliana, della Magliana si ricorderanno sempre prima i De Pedis seppelliti in basilica e poi i Giuseppucci, morti e dimenticati dai più in un loculo qualunque. L’urlo del Bufalo, poveraccio tornato tale, è il grido primordiale di un quartiere  che cambia sempre per non cambiare mai. Un’istantanea in bianco e nero che diventa un selfie a colori, un codice genetico che sopravvive ai suoi protagonisti. Una leggenda che si rinnova, come un tumore che intacca in eterno le parti vitali di un intero mondo.

Romanzo Criminale

Non si è arreso fino alla fine, il Bufalo. L’ha ucciso la coerenza dell’uomo deviato che non scende a patti con nessuno, neanche con la Storia. L’ha tenuto in vita la perenne riscoperta dei veri legami che non conoscono condizioni e plasmano un contesto umano persino nella delineazione del male più assoluto. Riguardare oggi i primi minuti di Romanzo Criminale con gli occhi di chi sa come andrà a finire è un modo per rivivere un’intera storia, fatta di ultimi che son tornati ultimi e ultimi che son diventati primi, uccisi solo dalle manie d’onnipotenza di chi non sa maneggiare un potere che logora anche chi lo detiene. L’Ottavo Re di Roma è stato dimenticato, ma non il suo regno, seppure effimero, e quello che ha combinato. La Banda della Magliana, il sogno di un gruppo di scappati di casa che non avevano più niente da perdere, per fortuna è morta. Ma il male che l’ha portata in alto e l’ha poi ridefinita con nuovi termini, purtroppo, non morirà mai. Roma, Magliana. Ieri come oggi. 

Antonio Casu 

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