L’abbiamo conosciuta come la destinataria di uno dei più commoventi pensieri di Bojack Horseman. “In questo mondo terribile tutto ciò che ci resta sono le connessioni che creiamo”. Un pensiero genuino, eppure mai riuscito a evadere dalla gabbia di incomunicabilità che imprigiona BoJack. Mai arrivato a destinazione, mai giunto a Kelsey Jennings. Un personaggio marginale della storia, eppure forte di un privilegio di cui pochi hanno goduto nel lugubre mondo del protagonista. Il suo più disinteressato affetto. L’evoluzione del loro rapporto è singolare quanto unico è il sentimento che lega BoJack alla donna. Come singolare è il contorno che Raphael Bob-Waksberg ha deciso di dare a questo personaggio.
L’intera esistenza del protagonista è stata influenzata da sua madre, Bea. Una donna cui il figlio si è sforzato di piacere, consciamente o inconsciamente, per tutta la vita.
Forse senza mai riuscirci. Senza mai aver conferma se quel “I see you” udito in Free Churro significasse davvero quello che ognuno desidera dal proprio genitore. Esser capito, essere amato. Per noi si tratta di qualcosa di scontato e naturale l’amore incondizionato di una madre. Ma non per BoJack. Non per il figlio di chi ha promesso a una madre senza più anima e mente di non amare mai nessuno nella vita come lei aveva amato il suo di figlio. Perchè l’amore può fare alle persone cose orribili.
Quella promessa è stata un virus che si è trasmesso di cavallo in persona sostanziandosi nei modi più disparati. Nell’anaffettività di Bea. Nell’autodistruzione di BoJack. Nel suo tentativo struggente di trovare un sostituto di Bea. Non tanto per avere un surrogato di madre. Quanto per godere, almeno una volta nella vita, della gioia di piacere a qualcuno che si ama in modo inspiegabilmente naturale come di solito avviene con i propri genitori.
Per lui quella figura è stata Kelsey Jannings. Regista di talento. Donna dal carattere forte. Anima all’altro capo di una connessione naturale partita da lui stesso.
Una connessione nata da molteplici ragioni. Kelsey è una madre omosessuale ormai single che affronta i demoni della maternità e della propria insicurezza nascondendoli sotto una coltre di durezza. Viene presentata come stereotipo di artista lesbica dall’atteggiamento rude e dalla poetica indie. Ma col chiaro intento di far emergere molto di più dal lato più in ombra della sua personalità.
In realtà i contorni stereotipati di Kelsey servono proprio ad abbattere quei luoghi comuni che spesso aleggiano attorno a figure come la sua. È una donna dai toni severi e poco accomodanti, ma non per questo lontana da emozioni e tenerezza. È una donna forte, ma non priva di paure. E la paura maggiore di Kelsey è quella di non essere una buona madre. O per lo meno di non essere abbastanza per sua figlia. Una paura carpita in qualche modo da BoJack che probabilmente non aveva mai immaginato come queste caratteristiche potessero convivere nella stessa persona.
In fondo lui è stato abituato esattamente al contrario. Alla paura di non essere abbastanza per sua madre. Una donna di polso che ha trasformato la sua forza in cinismo. Laddove Kelsey ne ha fatto il nido che protegge e nasconde le proprie fragilità.
Forse è questo che ha innescato in BoJack quell’inaspettato attaccamento a Kelsey. Una donna che lo ha portato a riconnettersi in qualche modo con la figura materna. La stessa che stavolta non si dimostra del tutto impenetrabile, ma capace di emozioni. Non è un caso che ciò avvenga in un periodo della vita di BoJack in cui ricompare con forza la figura di Secretariat. Il suo idolo da bambino. Quella figura adulta che gli dava forza e speranza nel futuro con le proprie gesta. Che con poche parole gli diede una parvenza di speranza in una felicità che il piccolo BoJack non ha aveva mai conosciuto. Una mancanza che Bea ascriveva a chissà quale naturale debolezza, incolpandolo di ciò del tutto impietosa. Senza mai chiedersi se e quanta responsabilità lei avesse in tutto ciò.
Ma Kelsey non è Bea. Non lo incolpa delle sue mancanze, nonostante le molteplici che in realtà influenzano la sua stessa performance sul set. Kelsey non demonizza il fantasma di Secretariat come il modello cui BoJack aspira facendo riposare nella realtà i suoi sforzi di tirar fuori il carattere. Lei lo spinge a riconnettersi con quel modello. A sentire fino in fondo le emozioni che furono di Secretariat per incanalare quest’energia nella recitazione.
Kelsey Jannings in fondo è una donna che convive da sempre con oneri e onori della propria forza di carattere. Abituata a fa danzare i lati in ombra e quelli in luce della propria personalità, spinge BoJack a far lo stesso con i propri.
Ma BoJack è come il fuoco: tanto più ci si avvicina tanto più facilmente ci si scotta. E il momento dell’ustione arriva anche per Kelsey. Ricordiamo tutti il triste epilogo dell'”affare Nixon Library” di BoJack Horseman. Sappiamo come a pagarne le conseguenze non fu il protagonista ma lei, Kelsey. La donna isterica dalle malsane idee. La sovversiva che non attira pubblicità utile ma critiche. Lei è stata solo un altro agnello sacrificale del processo di crescita di BoJack. L’ennesima vittima non tanto delle sue azioni ma della sua codardia.
A fronte di ciò, quest’ultima stagione di BoJack Horseman ha voluto elogiare proprio Kelsey.
Una donna che non si piega alla legge del conformismo e del denaro. Una regista che fa della propria personalità la base e la forza della propria arte. Che nonostante la “reclusione” nella “prigione dei registi” non teme di dire la sua. Schietta, diretta, senza mezzi termini su una verità tanto forte quanto reale: esser stata relegata a quello stato di necessità perchè donna. Una verità che la regista non teme di spiattellare ai dirigenti impomatati che millantano di cambiamento e larghe vedute senza sapere cosa implichi davvero ciò di cui blaterano. È meraviglioso vedere come Kelsey esploda in un moto di onestà con l’impulsività di un’adolescente ma con la maturità e la rabbia di chi ne ha passate tante. Troppe per tacere una verità in cui molte professioniste si sono riconosciute.
“Scusate ma non posso…
Il film che volete non è realistico. Lei salva la giornata e tutti la amano? Voglio dire sì, ha senso, se si trattasse di un uomo. Ma non ha mai funzionato in questo modo per me […]
Le regole sono diverse per le donne. Se sei una donna e salvi tutti, nessuno ti ama. Le persone danno per scontato che tu debba farlo o peggio, ce l’hanno con te. Ti puniscono. Quanto più sei potente tanto più cercheranno di privarti di quel potere.”
Ancora una volta Bojack Horseman riesce ad affrontare una tematica complessa e delicata in maniera incisiva, ironica e non banale.
I creatori avrebbero potuto affrontare la tematica femminista e LGBT ponendo l’accento sulla figura di Kelsey che lotta per i suoi ideali perseverando con la ricercatezza del suo stile registico molto indie. E invece fanno molto di più. La coinvolgono in un progetto commerciale, la creazione di una supereroina, rendendo Kelsey portavoce di una verità che le calza a pennello per ciò che ha vissuto in passato, anche a causa di BoJack.
Vederla poi cogliere la palla al balzo esternando la sua visione omosessuale della protagonista del film – dopo aver fatto un discorso di grande potenza – è la nota divertente che non guasta. La serie si ritaglia il tempo di prendere un po’ in giro quei registi omosessuali che rendono tali anche i loro personaggi. Ma senza perciò privare il discorso di Kelsey della sua forza. Kelsey Jannings è solo l’ennesima delle tante raffinatezze stilistiche di cui poche serie sono state artefici al pari di BoJack Horseman.