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La sindrome di Stoccolma di Black Mirror

Vivi. Respira. Senti il profumo. Una gamma completa di ricordi, l’aggiornamento della tua memoria costerà meno di una tazza di caffè al giorno e potrai avere un back-up di trent’anni gratuito. Basta solamente una piccola anestesia locale e il gioco è fatto. Perché i tuoi ricordi valgono una vita!

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Un primo ministro inglese, un rapimento, un maiale e una scelta impossibile.

Su queste note si apriva il primo episodio di Black Mirror, straordinario nella sua semplicità e spaventoso nella sua potenza espressiva. Una storia banale, come tanti action movie potremmo quasi dire, in cui il capo di stato viene ricattato dal terrorista di turno che ha preso in ostaggio una ragazzina innocente. Liam Neeson avrebbe risposto a suon di pugni ma il povero Michael Callow vive nel mondo reale di Black Mirror, un mondo meschino con le sue regole e i suoi limiti. Niente è davvero quello che sembra e, anche la trama apparentemente più semplice e lineare, viene così sconvolta da un colpo di scena che ci destabilizza. La società contemporanea costruita sulla dieta del sé e sulla fede dell’apparenza e del perbenismo, sa nascondersi bene dietro maschere di plastica conservate con cura.

Ma è qui che Black Mirror riesce, quasi utilizzando uno strumento a raggi X, a vedere oltre quelle maschere impeccabili per scrutare a fondo i mostri che si celano dietro. Nel vasto panorama della televisione contemporanea, poche serie come questa sono riuscite a catturare l’immaginazione del pubblico. L’opera antologica creata da Charlie Brooker esplora i lati oscuri della tecnologia e la sua influenza sul mondo in cui viviamo, avendo buona cura di puntare il dito sempre contro l’artefice piuttosto che contro lo strumento. L’insegnamento di Brooker, infatti, non potrebbe essere più chiaro e palese: non è mai stata la tecnologia quella da incolpare per le disgrazie dell’essere umano ma l’essere umano stesso che, con l’uso noncurante e superficiale dei mezzi a sua disposizione sta decretando la sua stessa fine.

Le vicende narrate nella serie tv esplorano le connessioni umane, la dipendenza dalla tecnologia e l’impoverimento artistico della società moderna, ormai sempre più assoggettata all‘high tech.

Ed è proprio così che Black Mirror si è guadagnata la reputazione di serie tv cruda, cattiva e spietata proprio per quella capacità unica di mettere in scena situazioni avvincenti e spesso spaventose, immergendosi in mondi distopici che sembrano essere solo a un passo dal nostro futuro. Inizialmente colpito dalla visione terrificante del futuro proposto dalla serie, lo spettatore finisce per ritrovarsi affascinato e catturato da questi altri mondi pur essendo sempre più consapevole delle implicazioni negative della tecnologia rappresentate. A ogni nuova tragedia, siamo allo stesso tempo più turbati e più ingordi, desiderosi di poter gustare ancora un altro po’ quello che lo show ha da dirci.

Black Mirror è la carceriera alla quale abbiamo scelto liberamente di non opporci, quasi debitori di una serie tv che, nella sua crudezza, ci ha fatto aprire gli occhi sul mondo.

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White Christmas, episodio di Black Mirror

Come moderni sommo poeti ci addentriamo nelle viscere dell’Inferno: Charlie Brooker è il nostro Virgilio, le puntate sono i gironi che visitiamo man mano con peccatori annessi ovviamente. E man mano che la via si fa oscura e terrificante, più ci sembra impossibile uscir fuori a riveder le stelle. Come se la visione di Black Mirror avesse sbloccato una porta nella nostra anima, impossibile da richiudere. Un desiderio di proseguire nel nostro viaggio, alimentato anche dal fascino intrinseco delle storie oscure e disturbanti che accompagna l’uomo fin dagli albori della sua storia.

L’essere umano, da sempre attratto dall’ignoto e dall’oscurità, ha ricercato e creato storie di terrore e paura sia in forma orale che scritta. D’altronde che cosa sono il folklore, le favole e le fiabe se non strumenti anti-malocchio da un lato e insegnamenti morali dall’altro. Allo stesso modo si comporta Black Mirror, serie tv che non si limita solo a presentare scenari distopici ma a mettercene in guardia. Il maligno, l’estraneo e l’ignoto assumono qui l’aspetto di dispositivi che fotografano i ricordi, videogiochi fin troppo realistici, social da cui dipende la nostra vita e molto altro ancora.

La morale, invece, è nascosta in piena vista, in quella progressiva ma inesorabile disfatta che riguarda i protagonisti.

Tra gli episodi più iconici, ce n’è uno che ha lasciato un’impronta indelebile nella mente degli spettatori: “White Christmas”. In questo episodio speciale, le tecnologie presentate non sono solo strumenti, ma diven­gono carcerieri della mente umana. Le cosiddette “cospirazioni silenziose” rappresentano un’evoluzione delle tecnologie attuali, immergendo gli individui in una solitudine perenne che li rende outcast della società in cui vivono. Privati della facoltà di interagire con il prossimo, i personaggi di “White Christmas” vengono allo stesso tempo privati di quella componente di socialità intrinseca nell’essere umano.

Il bisogno primordiale di appartenere a un gruppo, reminiscenza di quella necessità che avevano i nostri antenati di unirsi in clan e tribù per sopravvivere. L’umanità si è evoluta secondo un concetto di società e a essa finisce per fare sempre e inevitabilmente ritorno. La punizione riservata dunque in “White Christmas” è feroce e brutale perché isola l’uomo e lo allontana dal resto del clan. La puntata suscita in noi spettatori sentimenti contrastanti ma tutti di eguale intensità: angoscia, rabbia, frustrazione, sorpresa e fascinazione. Soprattutto perché, a tenere in piedi baracca e burattini c’è un Jon Hamm affascinante nella sua assenza di empatia.

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Nosedive, episodio di Black Mirror

L’episodio “Nosedive”, invece, mette al centro i social e il valore spropositato che hanno ormai assunto nella nostra quotidianità.

Se il protagonista di “White Christmas” viene cancellato, per così dire, ed emarginato anche a livello fisico, nel caso di “Nosedive” la tortura rimane pressoché psicologica ed è quella del rifiuto e dell’ignominia. I personaggi si sforzano costantemente di mantenere una facciata di felicità per ottenere punteggi più elevati, creando un ambiente in cui la libertà individuale è soffocata da un desiderio ossessivo di approvazione. Inizialmente sconvolti, ci ritroviamo a riflettere sulla nostra dipendenza dai giudizi sociali, creando una connessione empatica con la protagonista interpretata da Bryce Dallas-Howard. Si tratta, d’altro canto, di uno degli episodi più geniali, efficaci e premonitori dell’intera serie tv.

Una delle tante profezie di Charlie Brooker che, oggi più che mai, ha acquisito fisicità con il dilagante fenomeno degli influencer.

Allo stesso modo, “Fifteen Million Merits” tocca corde profonde sull’alienazione e la schiavitù della società del consumo. Gli individui sono costretti a pedalare su biciclette stazionarie per guadagnare “meriti” e accedere a una vita migliore, una satira spietata sulle aspettative della società moderna e su quella realtà fittizia che ci viene propinata come vera ma che esiste solo entro i confini di uno schermo. Scendiamo ancora più in profondità nelle viscere di Black Mirror, Charlie Brooker ci guida con un sorrisetto maligno sul volto conscio del nostro bisogno di spingerci ancora più in giù.

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Fifteen Milion Merits, episodio di Black Mirror

Nel ruolo di spettatori, ci troviamo frequentemente divisi tra l’angoscia e la meraviglia di fronte alle visioni profetiche di Black Mirror. Questo dualismo alimenta inevitabilmente un dibattito interiore nel quale il timore per la potenziale realizzazione di tali scenari si scontra con il desiderio profondo di esplorare gli oscuri recessi della nostra psiche. Come di fronte a un banchetto succulento di fronte al quale siamo sia ingordi che sazi. Dopo l’ennesima portata sappiamo di aver raggiunto il limite ma la nostra voracità ci spinge a voler assaggiare ancora un’altra piccola pietanza. Innocua solo a un primo sguardo, proprio goni episodio della serie tv.

La Sindrome di Stoccolma di Black Mirror si manifesta in questo intricato tessuto di contraddizioni emozionali, creando un connubio unico di inquietudine e attrazione. E anche se lo show di Brooker non è più quello di una volta, rimane indubbio che il viaggio negli Inferi delle prime stagioni compensi ampiamente il limbo delle ultime.