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5 episodi di Black Mirror che, stranamente, non mi hanno lasciato nulla

Fin dalla prima stagione, ogni episodio di Black Mirror ha raccontato con crudo realismo le più insidiose e complicate relazioni tra l’uomo e l’universo digitale. La riflessione circa l’uso della tecnologia va ben oltre la sua compatibilità con l’essere umano in quanto creatura; senza tralasciare il peso della responsabilità e delle conseguenze, Black Mirror è sempre riuscita brillantemente a dimostrare quanto sottile sia la linea fra narrazione e realtà. La serie tv di Charlie Brooker parla dei nostri tempi, della trasformazione della vita privata in spettacolo pubblico e della morbosità di chi guarda dentro lo schermo. Non importa che si tratti di un televisore, di uno smartphone o di una sala cinematografica. Ma non solo. Nel corso degli anni, le distopie presentate dallo show hanno abbracciato tutte le paure dell’animo umano riuscendo a dare voce a quegli orrori segreti con uno sguardo preciso e implacabile. Purtroppo, però, dall’acquisizone da parte di Netflix, molte cose sono cambiate e la serie di Charlie Brooker sembra aver perso il mordente che contraddistingueva le prime stagioni. Oltre a episodi considerati alquanto dimenticabili, ce ne sono altri che avrebbero anche potuto colpire nel segno ma hanno finito per perdersi strada facendo.

Sono questi i 5 episodi di Black Mirror con un grandissimo potenziale ma che hanno finito per deludermi lasciandomi con l’amaro in bocca.

1) 5×02 – Smithereens

Smithereens
Black Mirror (640×360)

Chris è un autista di taxi a Londra, un uomo comune, una persona qualsiasi tra le milioni che abitano nella metropoli inglese. Chris, però, è anche ossessionato da un’azienda chiamata Smithereen. L’azienda rappresenta, per lui, tutto ciò che non va nella sua vita e nella società. Il simulacro di un’alienazione strisciante che mina i rapporti umani dall’interno e lascia le persone come gusci vuoti da riempire di fake news. Per questo Chris decide di prendere in ostaggio lo stagista Jaden. Da questo momento in poi sarà la disperazione a muovere ogni suo passo e a decretare il suo destino. Persino le azioni di Chris si tramutano, tuttavia, in una live da seguire sui social, un evento che viene così spogliato di qualsiasi importanza e serietà trasformandosi nell’ennesimo numero da circo. Chris non è più il vigilante che vuole smascherare le azioni illecite della Smithereens ma un leone in gabbia che salta nel cerchio infuocato a comando.


La dipendenza dai social media, l’assenza di privacy online, la spettacolarizzazione del dolore. Questi sono i temi fondamentali di un episodio intenso e toccante ma troppo lento. Il personaggio di Chris è metafora di ciò che le persone possono arrivare a compiere spinte dal dolore e dalla disperazione. Le sue motivazioni sono sincere, il suo ideale nobile ma le azioni che arriva a commettere sono fin troppo estreme per poter essere giustificate. C’è tantissimo materiale che può essere analizzato e sviscerato ma non basta a far raggiungere all’episodio la sufficienza. Dei tre episodi della quinta stagione è senza dubbio il più meritevole del trio, ma rimane comunque la sensazione di aver assistito a una lezione importantissima senza averne capito il senso. Come trovarsi di fronte a una scoperta sensazionale ma senza gli strumenti giusti per studiarla.

2) 4×05 – Metalhead

Black Mirror (640×360)

Sullo sfondo di un paesaggio desertico e silenzioso, tre personaggi senza nome si fanno strada tra i ruderi di un mondo in rovina. La loro missione è molto semplice: raggiungere un magazzino per trovare i rifornimenti necessari, ma la strada da percorrere è insidiosa e solo apparentemente disabitata. Il mondo che conosciamo non esiste più, distrutto dalle avanzate di quelle stesse macchine che erano state create per aiutare l’uomo. Il futuro è una landa desolata in bianco e nero, in cui tutto ciò che rimane da fare e sopravvivere mentre cani robot avanzano inesorabili. Niente e nessuno li può fermare, sono perfette macchine da guerra nate, probabilmente, con lo scopo di aiutare quegli stessi esseri umani ai quali danno adesso la caccia. Non hanno emozioni, non hanno punti deboli e non hanno propositi o ambizioni. Rispondono a un comando chiaro e semplice ma non c’è alcuna battaglia in stile Terminator. Ai cani metallici di Metalhead non interessa conquistare il mondo ma solo eseguire i comandi.

Niente di tutto questo, però, ci viene detto esplicitamente lasciandoci solo intuire cosa, come e perché il mondo sia diventato questa terrificante terra di nessuno, brulla e inospitale. Non c’è nessuno indizio su quanto tutto ciò sia accaduto, immergendoci in questa atmosfera in bianco e nero senza alcun appiglio temporale o spaziale. Una lotta alla sopravvivenza in cui la Sarah Connor di Charlie Brooker cerca di farsi strada con tutte le sue forze contro un nemico, apparentemente, invincibile. Ma qualcosa non convince del tutto e Metalhead si riduce a un survival horror e nulla più. La distopia futuristica di Black Mirror c’è ma rimane troppo vaga perché possa davvero colpirci. È Black Mirror e allo stesso tempo non lo è, perché se la metafora è percepibile in tutta la sua cruda consapevolezza, il mondo in cui viene raccontata non è efficace come dovrebbe essere.

3) 6×04 – Mazey Day

Black Mirror
Black Mirror (640×360)

Black Mirror non è più quello di una volta. Abbiamo sentito spesso questa frase ma forse senza aver capito a pieno che cosa significhi. Black Mirror è cambiata e questo non deve essere per forza un male, almeno fino al momento in cui questo cambiamento avviene solo nella forma e non nel contenuto. Il problema, invece, è che Black Mirror ha perso parte di sé strada facendo optando per un approccio sempre più buonista. E se c’è qualcuno che è ancora convinto che la serie tv non si diventata buona, allora forse quel qualcuno ha dimenticato la disarmante brutalità del primo episodio dello show. “Mazey Day” è l’esempio più evidente di questo cambio di rotta repentino con un finale che ci lascia insoddisfatti e confusi. Un finale che la vecchia Black Mirror avrebbe gestito in maniera decisamente diversa con una Mazey Day rinchiusa in una gabbia, alla mercé di fan e paparazzi senza scrupoli. Un mostro da schernire e deridere, senza alcun diritto visto il suo status di personaggio pubblico.

Il quarto episodio della sesta stagione era, infatti, quello con un potenziale pazzesco. Una storia in grado di poter esporre senza scrupoli le contraddizioni del mondo dello spettacolo e criticarne l’agghiacciante insensibilità. Di fronte a chi è diventato famoso, ogni empatia scompare come se il successo e la fama dovessero per forza andare di pari passo anche con l’assenza di privacy. Sulla base di questo concetto tanto spaventoso da essere vero, la distopia di Charlie Brooker avrebbe avuto davvero pane per i suoi denti spingendosi ancora più in là. Il ritiro di Mazey, in fuga dai riflettori, la porta a trasformarsi da preda in predatore. E sì, la nostra reporter ha alla fine la foto che tanto desiderava, ma non è ancora abbastanza.

4) 4×03 – Crocodile

Black Mirror
Black Mirror (640×360)

Dalla quarta stagione, qualcosa cambia nel DNA di Black Mirror.

Una serie che, fino a quel momento, non si era mai fatta scrupoli a raccontare in maniera cruda, cinica e spietata le proprie storie, viene in larga parte limitata dalla piattaforma Netflix. È il potere dei grandi numeri, la necessità di poter essere fruibile a un pubblico sempre più grande e sempre più di massa. Forse è in “Crocodile” che è possibile scorgere l’inizio della fine per Black Mirror. Anche in questo siamo di fronte a una storia che, di base, potrebbe davvero spiazzarci e lasciarci sconvolti ma che di fatto non lo fa. La protagonista Mia è una donna dalla vita monotona che, per salvare le apparenze e quella vita superficiale che trascina dopo giorno, diventa un’assassina. Tutto nasce da una colpa di tanti anni prima, messa a tacere e nascosta per anni sotto il tappeto.

Quella colpa è tornata adesso a chiedere giustizia ma Mia si rifiuta di venire a patti con ciò che ha fatto. Piuttosto inizia a compiere una serie di atrocità che si susseguono una dopo l’altra in maniera più ironica che tragica, dando vita a un teatrino delle assurdità. Non proviamo nulla nei confronti di Mia. Né compassione, né odio, né rabbia. Ed è proprio questa la cosa peggiore dell’episodio. Il suo lasciarci totalmente indifferenti di fronte al destino della sua protagonista che vorrebbe risolversi secondi i dettami della tragedia greca ma che a noi appare più come una farsa. Questo pseudo thriller nordico manca di critica sociale, di pathos e di un approfondimento di qualunque tipo. Non capiamo mai del tutto perché Mia fa quello che fa, non viene lasciato margine di comprensione per la donna.

5) 6×01 – Joan is Awful

Black Mirror
Black Mirror (640×360)

“Joan is Awful” è stata la grande occasione mancata della sesta stagione di Black Mirror, quella che avrebbe potuto dare nuova vita alla serie tv oppure decretarne definitivamente la caduta libera. Il problema è che i sentimenti suscitati da questo episodio sono abbastanza contrastanti, perché anche se da un lato l’intenzione di “Joan is Awful” è azzeccatissima e terribilmente attuale, dall’altro il messaggio sembra perdersi lungo la strada. Joan è una donna assolutamente normale, la cui vita scorre monotona tra il lavoro, una relazione insoddisfacente e piccole speranze nascoste nel cassetto. Una donna, insomma, in cui possiamo rispecchiarci tutti e che riesce a dare voce alle nostre insicurezze e alle nostre paure.

Quel desiderio inespresso di essere notata, di diventare “qualcuno”, si trasforma in Black Mirror in un incubo a occhi aperti.

Ancora una volta lo show dà voce alle paranoie dei nostri tempi e a quel malessere sociale dilagante che ci spinge a desiderare una realtà che non esiste, un mondo fittizio creato appositamente sui social. Joan diventa protagonista si ma all’interno di una serie tv dove la sua vita viene buttata in pasto ai leoni da tastiera e romanzata per une fetta di abbonati in più. L’algoritmo, qui mostro invisibile, osserva con precisione infallibile ogni mossa e decisione di Joan aprendo la strada per un Grande Fratello su scala mondiale. Da queste premesse c’era da aspettarsi un episodio che non ci avrebbe fatto chiudere occhio, popolando i nostri incubi per le settimane a venire. Purtroppo, però, “Joan is Awful” non riesce a mordere la nostra carne così in profondità da lasciare il segno.