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American Crime Story 2X05 – Don’t ask, don’t tell

Con la quinta puntata di American Crime Story, a Milano la famiglia Versace ritorna alla ribalta con la faida che continua a dividere Donatella e Antonio.

C’è voglia di libertà in Gianni, che vorrebbe esprimere liberamente la propria sessualità senza censure, ossia, semplicemente dichiararsi gay. Donatella, donna pragmatica, volta alla cura degli affari e alla difesa del buon nome di famiglia, si oppone invece con ferocia a questa scelta, preoccupata che una notizia del genere possa danneggiare l’azienda.

Ancora una volta, Antonio, un Ricky Martin ancora un po’ troppo rigido, viene messo in disparte, mentre i due fratelli discutono animatamente: il cuore, Gianni, il cervello, Donatella.

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Tutta la puntata si dividerà in un dualismo tra essere e apparire, tra dire e tacere, tra aprirsi e accettarsi e lottare contro se stessi per mantenere le apparenze, tra vivere e subire.

Intanto, facciamo un ulteriore passo indietro rispetto alla puntata precedente e sbirciamo un po’ nel passato di Jeff Trail, la prima vittima di Andrew, finito massacrato a martellate nell’appartamento dell’amico David. Jeff ha ben chiaro chi sia Andrew, mentre David continua a giustificarlo: in un’altalena di presagi, sentimenti contrastanti, di coming out forzati, di ricatti e continue bugie, il rapporto tra i tre amigos è tutt’altro che idilliaco.

Si ritorna nell’appartamento di David, con la consapevolezza che la tragedia sia dietro l’angolo e che qualcosa di tremendo stia per accadere: lo spettatore non può fare nulla, se non osservare sgomento due uomini che, inconsapevolmente, stanno firmando la propria condanna a morte. Andrew è l’unico del gruppo a proprio agio con la sua omosessualità: Jeff, addirittura, non è dichiarato e questo lo rende diverso sotto ogni aspetto dal futuro serial killer.

Si ripete, quindi, anche in questa puntata di American Crime Story lo schema delle precedenti: entriamo nella vita delle vittime, prima che la tragedia le spazzi via. Scopriamo, quindi, che Jeff ha una sorella che sta per partorire e che sa tutto di lui, che gli riesce anche a dare i consigli giusti, ma noi sappiamo che è tutto inevitabile. Scopriamo che David ha diversi amici che gli vogliono bene, invece Andrew è solo e, mentre lo guarda ballare, il suo sguardo è carico d’odio: perché Andrew non vuole che sia felice, vuole solo possederlo, come un oggetto di lusso.

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E, come già ribadito, Andrew non ama i rifiuti, né tollera che qualcuno non voglia seguire i suoi piani.

Forza entrambi gli amici ad affrontare la propria sessualità, che lo vogliano o no: dato che lui è libero e dichiarato (ma viene da chiedersi quanto sia veramente a proprio agio Andrew con la sua sessualità), anche tutti quelli che lo circondano devono esserlo, che siano pronti o no.

David riesce a leggere Andrew nel profondo: ne conosce l’infelicità e capisce che ha bisogno di aiuto e tutte le bugie che racconta servono solo a creare l’illusione di una vita perfetta, che perfetta non è affatto. David è un uomo buono, che prova in tutti i modi ad aiutare l’amico, ma Andrew non vuole essere aiutato.

O, forse, non può più essere aiutato.

Ma chi è Jeff?

Siamo due anni prima del suo omicidio, in un altro salto temporale. È un militare che non può rivelare la propria reale identità sessuale, perché nell’esercito, negli anni ’90, gli omosessuali non sono accettati (non che le cose, venti anni dopo, siano cambiate molto…). Anzi, erano sottoposti a vere e proprie sevizie al limite della tortura. E non può nemmeno consolare senza secondi fini un commilitone, senza passare subito dalla parte delle vittime.

Quello che fa Jeff, tagliandosi parte del proprio tatuaggio, è insieme allucinante e terribile: perché la paura era reale, il conflitto tra essere e apparire lacerante e non basta essere sfavillantemente gay e dichiarati come Andrew, che fa proposte di matrimonio in ginocchio, pur non provando nessun vero sentimento.

No, per moltissimi essere gay non è né glamour, né divertente.

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Ed è in questo caso che American Crime Story riesce a scavare in profondità nella società di oggi: nel mito dell’indomito maschio alfa che non si piega e non si spezza, che indossa una divisa militare immacolata, che è bello come il sole, ma che nasconde, dentro, conflitti ben peggiori della guerra per cui si sta addestrando.

Bravissimo Finn Wittrock, con quella faccia da bravo ragazzo che caratterizza Jeff come un uomo dagli alti principi che deve accettare il proprio io, malgrado l’ambiente che lo circonda. Ed è proprio in un locale gay che, fatalmente, incontra il suo futuro assassino: Andrew, affascinante, cordiale, ben predisposto, sorridente, che riesce, finalmente, a farlo ridere, a farlo sentire a proprio agio. Riesce a capirlo, ma anche ad alleggerire la sua tensione, a fargli pensare che, sì, c’è ancora una speranza, c’è ancora un futuro.

In un cerchio perfetto, la vicenda torna a focalizzarsi su Gianni e Antonio che condividono le paure e i timori di Jeff, che si rivelano, che si dichiarano, seppure da prospettive diversissime.

In una specie di intervista doppia, Jeff si rivela per ciò che è veramente con una freddezza scientifica, razionalmente, ben comprendendo la tragicità della propria vicenda, mentre Gianni, finalmente, riesce ad avere accanto a sé il suo compagno di una vita, il suo amore, non il suo assistente.

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Alle battute finali, Jeff si condanna a morte, rinnegando Andrew nel peggiore dei modi: “Nessuno vuole il tuo amore” gli ringhia in faccia ed è vero, perché non sa amare e non può dare niente a nessuno. Magistrali i continui flashback e flash forward che sistemano infine i tasselli del primo efferato omicidio di Andrew Cunanan. Jeff ha capito chi è Andrew, ma David no e questa è una sentenza di morte per entrambi.

Sentenza scritta materialmente da Andrew Cunanan, ma è impossibile pensare che quest’ultimo non sia stato favorito da un contesto sociale marcio fino al midollo.

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