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American Crime Story 2X04 – L’amore secondo Andrew Cunanan

Quarta puntata per American Crime Story e la suspense continua senza sosta in un’escalation di violenza insensata, metodica, spaventosa.

Abbiamo fatto un brevissimo passo indietro rispetto alla puntata precedente: siamo infatti nell’aprile 1997, appena un mese prima del brutale omicidio di Lee Miglin.

Andrew è a Minneapolis ed è ospite di un ragazzo, David, di cui si professa innamorato, anzi, è addirittura pronto a sposarlo. Ma David ha già una relazione con Jeff e, in una breve conversazione tra i due in ascensore, si capisce che entrambi abbia un’idea ben precisa su chi sia Andrew: ne riconoscono le stranezze, le fissazioni, le ambiguità e pare che, per entrambi, sia ormai diventato solo un inquietante peso da sopportare.

No, in fin dei conti, Andrew Cunanan non è poi così affascinante: è geloso, possessivo, è un parassita che resta a casa di David senza rendersi conto (o voler rendersi conto) di essere diventato di troppo.

Non possono, invece, immaginare a quali livelli di psicopatia possa arrivare il vero protagonista di American Crime Story.

Per eliminare il rivale di turno, Andrew lo massacra a martellate, proprio davanti agli occhi terrorizzati di David. È il suo primo omicidio in ordine cronologico e lo compie con serafica e scientifica calma.

Come giustifica tutto questo? Ha perso il controllo, ha agito d’impulso, probabilmente mosso dalla gelosia, perché lui ama David.

La realtà è molto diversa, perché Andrew è un manipolatore, qualcuno che sa giocare le proprie carte e se le gioca molto bene. Lui non ama, vuole solo possedere.

Possedere belle auto, bei vestiti, bei gioielli, belle case, begli uomini, bella vita: lui vuole essere circondato dal bello ed è pronto a tutto, pur di ottenerlo, ha sempre il pieno controllo della situazione. E, al centro di tutto, c’è lui stesso, nessun altro, perché il resto del mondo non è semplicemente che un piacevole contorno.

Sotto choc, David viene convinto a non denunciare l’accaduto e si lascia manovrare da Andrew, che, da vero burattinaio, arriva addirittura a spingerlo sotto la doccia con lui, per ripulirsi dal sangue del comune amico appena morto.

Il povero David viene trascinato nell’inferno personale di Andrew, che lo rende un suo inconsapevole complice, perché, pare fin da subito evidente che non ha e non può avere via di fuga: non ricambiando l’amore di Andrew ha firmato la propria condanna a morte.

Non si può dire di no ad Andrew Cunanan.

David, suo malgrado, intontito dalle sue bugie, dai suoi favolosi progetti di vita, da un piano di fuga che fa sembrare le cose semplicissime, lo segue, vittima di uno spietato carnefice di vite e sentimenti.

Per tutta questa puntata di American Crime Story, David è un ostaggio di Andrew, sottomesso ai suoi voleri, alle sue decisioni e alle sue perversioni: è un ragazzo fragile, che continua a piangere in silenzio, che accarezza con la punta delle dita l’aria che scorre fuori dalla macchina in corsa, quasi trasognato, che non vuole altre vittime sul loro cammino, che ha paura di rivelare al mondo la propria identità sessuale. E, anche potendo scappare, annusando il profumo della libertà da un finestrino rotto in un bar come tanti, preferisce tornare da Andrew, perché ha paura di tutto. Ed è solo.

David è un prigioniero, in tutti i sensi del termine.

Fino a quando non decide di liberarsi, gettandogli in faccia tutte le sue bugie, perché Andrew non ama David, non amava nemmeno Jeff che ha ucciso non per gelosia, ma perché non poteva più averlo: Andrew ama se stesso e nel suo cuore non c’è spazio per nessun altro.

Senza dimenticare che entrambe le vittime, così come Lee Miglin, erano infinitamente più di successo di lui.

Andrew si è riempito la bocca della parola amore per tutta la puntata, ma per lui quel sentimento non esiste: non lo conosce, non sa capirlo e, soprattutto, non riesce a rispettarlo.

Sapremo mai se ha un cuore? Per ora è difficile a dirsi, ma è bellissima la scena al bar, dove tra luci soffuse, ascolta la cantante esibirsi in voce e chitarra in Drive e si commuove fino alle lacrime, mostrando, forse, le prime crepe nelle mura perfette che ha costruito intorno a sé.

Ma anche questa potrebbe essere benissimo un’altra delle sue infinite maschere.

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