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American Crime Story: l’assassinio di Gianni Versace, Darren Criss è diventato grande

Fin dalle primissime scene di American Crime Story: l’assassinio di Gianni Versace, si capisce chi sia il vero protagonista. Non l’illustre cadavere, il genio rivoluzionario che ha cambiato per sempre il concetto di moda, non i vari investigatori che seguiranno il caso, non i grotteschi personaggi che caratterizzano il clima di metà degli anni ’90, nemmeno l’algida Donatella. Il vero protagonista di questo secondo capitolo della saga ideata da Ryan Murphy è indiscutibilmente Andrew Cunanan, impersonato da un magistrale Darren Criss.

L’opening drammatico, sulle note dell’Adagio, introduce la fatidica giornata che ha segnato la fine della vita di Gianni Versace, sia dal punto di vista del famoso stilista che di quello del suo assassino. Miami è brulicante di vita e colori: siamo nel 1997 e l’impero Versace è al top nel panorama mondiale della moda. La musica lirica in sottofondo accresce l’ansia e l’attesa dell’inevitabile. Èdgar Ramirez è credibilissimo e rilassato, esattamente come era Gianni Versace, ma chi buca davvero lo schermo è Darren Criss, nei panni dello psicopatico serial killer Andrew Cunanan.

Dimenticate l’algido e irriverente Blaine Anderson di Glee: in American Crime Story è uno psicopatico edonista che non sa vivere se non sotto i riflettori, che cerca, ma trova solo nel modo sbagliato.

Darren Criss è ispirato, istrionico, convincente, un mattatore repellente e affascinante allo stesso tempo. Chi, come me, ha vissuto l’episodio di cronaca nera ed è anche amante di crime in generale, sa bene come egli abbia fatto un lavoro eccezionale per ricalcare l’immagine e il poco che si sa di Andrew Cunanan. Mai troppo a proprio agio con la propria omosessualità, ossessionato dalla fama, geniale, distorto, sprezzante del pericolo, per certi versi affascinante, perché dotato di un carisma animalesco e irrazionale, fuori controllo fino all’imprevedibile.

Ecco chi era Andrew Cunanan. E Darren Criss, interpretandolo con freddezza e, al tempo stesso, passione, cancella con un colpo di spugna il suo passato canterino in Glee, ma anche il discutibile cameo in American Horror Story – Hotel, in cui è stato poco più di una inutile comparsa.

In American Crime Story, ripeto,  è indiscutibilmente lui a prendersi la scena.

Lui con insicurezze e fragilità; lui arrampicatore sociale senza alcuno scrupolo; lui accecato dal divismo, lui personaggio così controverso e teatrale da sembrare quasi uscito da un dramma shakespeariano. Bugiardo, falso, arrivista, fragile, insicuro, tenta in tutti i modi di godere della luce riflessa del grande stilista italiano, che lo tratta, però, più o meno come un potenziale protégé.

Uccide Gianni Versace senza un secondo pensiero, senza titubare, senza tremare; vuole diventare famoso e ci riesce, nel modo più clamoroso e sanguinario possibile. Darren Criss supera se stesso e i propri limiti: rischiava di essere relegato a quella schiera di attori condannati a essere associati sempre allo stesso ruolo, dimentica le mossette, la leziosità innegabile di Blaine, le faccette imposte da un programma leggero (sulla carta) come Glee, cancella pregiudizi ed etichette, perché riesce nell’intento di diventare qualcosa di completamente diverso.

Qui le faccette si tramutano in risate nevrotiche, che cerca di nascondere senza preoccuparsi realmente di farlo. La reazione di Cunanan, dopo aver commesso l’omicidio, va considerata alla stregua di un bambino che prova piacere nell’aver disobbedito ai propri genitori. E in effetti il suo gesto efferato viene presentato quasi come se fosse un capriccio infantile. Con l’aggravante di aver bene in chiaro come sfuggire alla cattura. Esuberanza e lucida follia si alternano nel personaggio e Criss è magistrale nel passare dall’uno all’altro momento.

Rimane indiscutibilmente affascinante, perché Darren Criss è oggettivamente un bel ragazzo, ma ha quel fascino distorto e sgradevole alla American Psycho che allontana e spaventa. American Crime Story è solo alla prima puntata, ma la teatralità, il tono operistico, la drammaticità della narrazione, la bravura dei protagonisti fa pensare che abbia un potenziale pari, se non superiore, alla Serie precedente incentrata su O.J. Simpson. E gran parte del merito va proprio a Darren Criss.

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