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L’ammaliante metanarrazione di Watchmen

Attenzione contiene spoiler dei primi cinque episodi di Watchmen.

“Nel Watchmen originale, c’era un fumetto. Ed era importante, ai fini della storia. Non era solo una citazione indiretta o una sorta di metanarrazione. Aveva un ruolo centrale. Con la serie, abbiamo provato a fare la stessa cosa. Abbiamo provato a parlare del crime e del ruolo che i crime, oggi, hanno in America. Quanti se ne producono, come si producono, e il fatto che spesso non raccontano la verità. Come in questo caso, come la serie che vediamo in Watchmen. Quand’è che abbiamo smesso di guardare a un fatto, a una storia, per quello che sono, e abbiamo cominciato a vederci dentro solo intrattenimento? Era un’idea troppo ghiotta, troppo interessante, per lasciarla perdere.”

Cosa meglio delle parole dello stesso Lindelof per capire quanto importanti fossero “I Racconti del Vascello Nero” all’interno dell’originale fumetto di Watchmen? La dichiarazione d’intenti dello showrunner però non ci dice tutta la verità su quello che, fino ad ora, abbiamo visto messo in scena nella serie HBO.

Watchmen

Alan Moore, David Gibbons e il sempre dimenticato colorista John Higgins produssero negli anni ottanta un’opera magistrale, una rivoluzione copernicana del fumetto. Watchmen era sporco. Dall’effetto disturbante e inquietante, a tratti allucinante e ipnotico. All’interno della storia, Moore lavorò sulla costruzione di una metanarrazione mai vista prima in un’opera fumettistica. Nel terzo albo vi è una scena in cui un giornalaio, a un incrocio di New York, pontifica sulla guerra imminente. Nel frattempo un ragazzo seduto sul marciapiede legge un cruento fumetto sui pirati. Alle sue spalle si vede un volontario del servizio civile appendere il cartello di un rifugio antiatomico su di un muro.

La combinazione di questi elementi fece nascere nel maestro britannico, partendo dalle forme nere del cartello di pericolo, l’immagine di un vascello nero e inquietante in avvicinamento. A quel punto fu naturale nel processo creativo di Moore iniziare a esplorare questo elemento.

“Così cominciai con un primo piano del cartello e gli affiancai la sinistra narrazione del fumetto piratesco, con il giornalaio che diceva: “Dovremmo bombardare la Russia e rimettere tutto nelle mani di Dio”. Avveniva qualcosa di inquietante nel modo in cui questi elementi interagivano tra loro. Da quel punto in poi abbiamo cercato di renderlo più stratificato, più complesso, più labirintico.”

Quando Moore e Gibbons dovettero decidere il tema di questa nuova narrazione, sviluppando di fatto il meta-fumetto, partirono nella loro riflessione sul fatto che gli abitanti della loro New York distopica abituata a vigilanti mascherati e condizionati da un essere divino come il Dottor Manhattan, non sarebbero stati minimamente interessati a leggere fumetti di supereroi. Fu Gibbons a suggerire il tema della pirateria. Gli fece immediata sponda Moore che da sempre si considerava un amante di Bertolt Brecht. “I Racconti del Vascello Nero” omaggiano infatti il brano “Die Seeräuber-Jenny” (Jenny dei pirati) tratto da “L’Opera da tre soldi” di Brecht, appunto.

Watchmen
Pirate Jenny

Nell’opera di Brecht uno dei personaggi, Polly, canta una canzone sul tema della vendetta femminile. La canzone parla di Jenny una povera cameriera che viene derisa e maltrattata dai suoi concittadini. Quando però una nave pirata, il Mercantile Nero, appare all’improvviso nel loro porto si scopre che Jenny, la donna di cui hanno abusato, è in realtà il capo dei pirati. L’equipaggio della pirata Jenny raduna tutti gli uomini della città e li fa uccidere.

Moore ritenne che il simbolismo del genere piratesco fosse così pieno e cupo da costituire il perfetto contrappunto all’ambientazione contemporanea in cui si svolge Watchmen.

Il fumetto immaginario che il giovane ragazzo legge nel corso della graphic novel originale è quindi un parallelo interpretativo di ciò che sta accadendo nella storia principale. Assolve alla funzione di commento e metafora in particolare per quanto riguarda le vicende di Ozymandias.

In esso sono narrati i disperati tentativi di un naufrago di ritornare al proprio villaggio per avvisare la famiglia dell‘imminente arrivo del Vascello Nero, una nave fantasma pirata condotta da morti sanguinari. Quando il naufrago però, dopo essere arrivato a costruire una zattera legando assieme tronchi e cadaveri dei suoi ex compagni di viaggio pur di proseguire la sua impresa, giunge alla sua terra, è convinto di aver fatto troppo tardi. Di trovare la città ormai già in mano ai pirati. Uccide una coppia e perfino la propria moglie scambiandoli, al buio, per pirati. Quando poi si rende conto di cosa ha compiuto, di dove la follia della sua benevola missione l’ha portato, ritorna disperato alla spiaggia. Lì trova il nero vascello e si rende conto che esso non aveva compiuto il suo viaggio per conquistare il villaggio, ma per accoglierlo tra la sua ciurma. Ormai perduto per sempre entra in acqua e comincia a nuotare verso la nave per essere accolto a bordo.

Tales of the Black Freighter parla ovviamente della perdita dell’anima da parte di Ozymandias quando, molto prima dell’inizio del fumetto Watchmen, decise che l’unico modo per evitare la Terza Guerra Mondiale fosse sacrificare milioni di persone. L’umanità, per venire salvata, doveva unirsi verso un comune nemico superiore.

Calando tutto questo nella serie di HBO, Lindelof, non solo omaggia costantemente I racconti del Vascello Nero con riferimenti pirateschi più o meno facili da individuare, ma soprattutto ne assimila lo spirito e la funzione utilizzando esso stesso, come avete letto nella citazione iniziale, il meccanismo della metanarrazione. I piani di lettura quindi sono molteplici e raffinati. La funzione metanarrativa viene assolta dalla serie televisiva fittizia American Hero Story: Minutemen.

Laddove con Moore avevamo il fumetto nel fumetto, nel Watchmen di Lindelof non potevamo che avere la serie televisiva dentro la serie televisiva.

Il primo episodio di American Hero Story: Minutemen, che vediamo trasmesso in Watchmen, pone i riflettori su Hooded Justice (Giustizia Mascherata) che è canonicamente il primo vigilante mascherato ufficialmente riconosciuto nell’universo di Watchmen. Oltre a essere uno dei fondatori, insieme all’originale Nite Owl (Gufo Notturno), la prima Silk Spectre (Spettro di Seta), Capitan Metropolis e un giovane Edward “Il Comico” Blake, dei Minutemen. Il primo team di supereroi mascherati.

Lindelof ci fa capire che assistiamo alla seconda stagione della serie fittizia. Il segmento American Hero Story si apre alla fine teorica della vita del personaggio, quando un corpo compare sulle rive di Boston con un foro di proiettile nella testa. Questo avviene circa tre mesi dopo il “pensionamento” di Hooded Justice nel 1955, quando i Minutemen furono chiamati davanti alla Commissione delle Attività Antiamericane della Camera, presieduta dal senatore Joseph McCarthy, e fu loro intimato di rivelare le proprie identità al governo degli Stati Uniti. Giustizia Mascherata si rifiutò e non fu mai più visto in pubblico.

Watchmen

La funzione metanarrativa è evidente. Anche qui, come nella serie Watchmen, si apre con un omicidio. E si cerca di rispondere a due domande: chi è veramente il morto e chi lo ha ucciso. La bellezza di questa scelta di Lindelof è che tutto questo diviene a sua volta omaggio all’opera originale di Moore che si apre con l’omicidio del Comico e tutto lo sviluppo ruota attorno a scoprire chi lo abbia assassinato. Così facendo si scoprirà molto di più anche di Edward Blake stesso. Nel primo spezzone della serie fittizia che ci viene mostrato, come riportato anche nella recensione dell’episodio, la domanda principale che ruota attorno alla scena è: chi sono io?

La risposta a questa domanda, mai svelata nel fumetto di Moore, penso possa trovare risposta invece nella serie HBO, ma vi rimando ad un prossimo pezzo per trattare più in dettaglio questo affascinante aspetto.

Come anticipato però, Damon Lindelof non si ferma qui. Se da un lato ci mostra di padroneggiare la tecnica, mettendo in scena una serie fittizia che rispecchia l’intuizione creativa di Moore, ma declinandola alla storia del primo eroe mascherato, dall’altro non rinuncia a farcire le puntate con riferimenti più o meno evidenti proprio al tema dei pirati.

Nel terzo episodio di Watchmen vediamo Adrian Veidt (Jeremy Irons) a cavallo di Bucefalo superare una bandiera nera, appesa su una falce, decorata con un teschio e ossa incrociate, dall’aspetto molto familiare. Successivamente riceve una lettera inviata dal misterioso Guardiacaccia con un sigillo di cera impresso con lo stesso cranio inquietante.

Abbiamo visto molti di questi riferimenti ai pirati lungo tutti gli episodi fin qui trasmessi. Lo stesso episodio ci reintroduce la “pirata Jenny“, interpretata da Jessica Camacho. L’avevamo vista nell’episodio iniziale (qui la nostra recensione) pilotare la nave volante a forma di gufo durante l’assalto al covo del Settimo Cavalleria da parte della polizia. Ancora, il figlio di Angela (Regina King) si maschera da pirata. Il mio preferito però è quando vediamo Laurie Blake (Jean Smart) e l’agente Petey (Dustin Ingram) registrarsi al Black Freighter Inn & Suites. Un nome insolito per un motel di Tulsa, ma che dichiara tutta l’intenzione di Lindelof di omaggiare l’opera originale.

Watchmen

Questi riferimenti sono sottili, ma come ogni altra cosa nello show, sono squisitamente intenzionali. Finora, tutti questi riferimenti dei pirati, sono stati poco più che un ester egg ricorrente. Un occhiolino a quei fan che hanno letto il fumetto. Tuttavia, era solo alla fine dell’opera di Moore che diveniva evidente il parallelo tra Ozymandia e il marinaio demente.

Adrian Veidt, prima di lanciare il suo calamaro gigante, rifletteva ad alta voce dicendo che era stato “turbato dai sogni ultimamente, di nuotare verso un orribile…” prima di interrompersi bruscamente.

Per un attimo, brevissimo, sembra che lo stesso Veidt si rendesse conto, forse anche solo inconsciamente, dell’assoluta nefandezza dell’atto che stava per compiere. E della punizione che avrebbe meritato. Allo stesso modo nelle vignette finali di “Tales of the Black Freighter” il marinaio si lamenta del suo ineluttabile destino, mentre si arrende colpevolmente alla terribile nave: “Sono un orrore: tra gli orrori devo dimorare”.

La bandiera pirata che vediamo sventolare sulla proprietà di Veidt, nella serie di Lindelof, potrebbe essere un indizio del fatto che anche lui, alla fine, è stato condannato. Costretto a “navigare” all’interno di una prigione altrettanto spettrale, circondato da fantasmi non morti che sono i suoi cloni servi. E il piano di Adrian Veidt, nel quinto episodio, di usare i corpi congelati dei cloni sul suolo della luna su cui è prigioniero per mandare un messaggio d’aiuto, sarebbe un eccellente parallelismo con la zattera di legno e cadaveri fatta dal naufrago per tornare a casa.

Se davvero fosse così, se alla fine Lindelof avrà scelto questa strada, significa che chiunque abbia creato quella prigione conosce Tales of the Black Freighter e forse ha riconosciuto i medesimi parallelismi con la storia di Veidt. E ha quindi pensato che sarebbe stato un modo abilmente simbolico per punirlo.

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