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The Politician, la recensione della seconda stagione

Con The Politician 2, Ryan Murphy (reduce da un’idea folle) ha decisamente alzato l’asticella. La soap politica con Ben Platt e realizzata insieme a Brad Falchuck e Ian Brennan è tornata su Netflix lo scorso 19 giugno. Per il momento disponibile solo in lingua originale – alcune case di doppiaggio sono ancora ferme a causa dell’emergenza sanitaria – la serie conta un numero di episodi inferiore rispetto alla prima parte: sette puntate totali, alcune delle quali anche piuttosto brevi. Ma la durata minore dello show non pesa sul prodotto finale. Al contrario, riesce a dare maggiore fluidità alla storia.

Avevamo lasciato Payton Hobart con la promessa di vederlo proiettato verso più ampi orizzonti. E infatti in The Politician 2 lo scenario cambia del tutto, anche geograficamente. Ci spostiamo dalla soleggiata California, alla plumbea e fredda New York. Ma soprattutto, ci lasciamo alle spalle i corridoi del liceo per lanciarci a capofitto nella competizione per il Senato dello Stato di New York. Payton è il politico nuovo, quello che si presenta a rappresentare le istanze degli elettori più giovani. Scarsa esperienza alle spalle, ma anche grandi ambizioni da trasformare in realtà.

La campagna elettorale è la grande protagonista di The Politician 2.

Come nella prima stagione, anche i nuovi episodi si concentrano sulla competizione tra candidati. Stavolta a dare battaglia a Payton Hobart è la senatrice uscente Dede Standish, interpretata da Judith Light e supportata da Bette Midler che dà il volto al capo di gabinetto Hadassah Gold. Lo scontro generazionale sembra essere il fulcro della campagna elettorale. Le aspirazioni dei giovani, che reclamano un mondo più pulito e meno inquinato, contro le conquiste consolidate degli adulti: il microcosmo politico di The Politician 2 ruota attorno a questa fondamentale contrapposizione.

The politician 2

Payton decide di abbracciare la battaglia del clima e dell’ambiente, facendosi portavoce dei bisogni di quella fetta elettorale rimasta profondamente delusa dalla vecchia classe politica. Abbiamo dunque l’esigenza di rinnovamento da una parte della barricata e la buona amministrazione sul fronte opposto. Payton e il suo staff sono più aggiornati sugli strumenti di comunicazione, sanno interpretare i desideri degli elettori che non hanno mai votato, ma si ritrovano comunque in forte svantaggio rispetto a una candidata che incarna alla perfezione il volto della vecchia volpe della politica.

Tra sotterfugi, ricatti, scandali giornalistici e scoop devastanti, la campagna elettorale assorbe del tutto le energie dei due contendenti, in una sfida senza esclusione di colpi.

Parallelamente, nell’assolata California, la bellissima Gwyneth Paltrow torna a vestire i panni di Georgina, la madre di Payton, che decide di candidarsi come governatrice dello Stato. Qui lo stile un po’ sopra le righe di Murphy è perfettamente riconoscibile. The Politician vuole fare satira divertente del mondo della politica. Il tocco del suo ideatore porta all’estremizzazione parodistica di ogni situazione: la totale libertà sessuale, l’allentamento dei freni morali, le forzature nei rapporti interpersonali. Fino al punto in cui i triangoli amorosi diventano la regola e le relazioni ordinarie l’eccezione. Ryan Murphy esaspera il lato comico e caricaturale del mondo politico, approdando spesso a situazioni surreali ed esagerazioni grottesche.

La campagna elettorale procede al ritmo di hashtag in tendenza.

Una giovane e ricca donna della California, senza nessuna rilevante esperienza politica alle spalle, si candida a governatrice promettendo la secessione e vince con il 98% dei consensi. Il furto di un’urna elettorale diventa non un crimine, ma un atto di “legittima difesa”, mentre è con una sfida a morra cinese che si decide chi occuperà il seggio al Senato. The Politician 2 calca parecchio la mano sulle situazioni assurde e stravaganti, rendendole bizzarre ma sempre divertenti. La sensibilità di Infinity per le tematiche ambientali sfocia nei comportamenti più esilaranti e surreali, così come i famigerati scheletri nell’armadio finiscono per diventare nient’altro che un’ossessione stramba e grottesca. Il copricapo di Geronimo assurge a simbolo di una sproporzione di valori e senso della misura, di un eccesso di politicamente corretto, che rende alla perfezione gli squilibri e gli eccessi di certa propaganda.

the politician 2

La politica è vanità senza retrogusto amaro.

In questa frase sembra condensarsi gran parte della forza della serie, in cui persino la nascita di un figlio può essere utilizzata per far lievitare gli indici di gradimento di un candidato. Sono un politico, non ho personalità, è un’altra sferzata al sistema. Ma lo sguardo satirico non investe solo il mondo della politica. Continui sono anche i riferimenti alle serie tv, diventate ormai parte del linguaggio e della dialettica pubblica. Il richiamo al finale di Game of Thrones o al rewatch di Friends e Una mamma per amica segnalano la volontà di Murphy di non prendersi troppo sul serio.

Un episodio che spicca sugli altri è il quinto, che instaura un parallelismo con la prima stagione. Gli elettori è la puntata in cui gli showrunner focalizzano l’attenzione sullo sguardo esterno, assumendo il punto di vista di chi deve operare una scelta tra candidati. Nella prima stagione si trattava di due studenti del liceo, in The Politician 2 di una madre e una figlia con idee contrapposte. La prima si riconosce nella battaglie e nell’esperienza di Dede Standish, la seconda è animata dalle istanze che Payton Hobart vuole incarnare. Murphy ripropone quindi lo scontro generazionale, condito da un pizzico di amara disillusione percepibile dall’esperienza diretta delle elettrici con la realtà.

The Politician 2 opera un salto di qualità rispetto alla prima stagione.

I cambi di tono si attenuano, le scene musicali e le apparizioni di River si riducono all’osso. E tutto ciò rende la narrazione più equilibrata e fluida. Inoltre le new entry del cast, Judith Light e Bette Midler, funzionano eccome. Il duo tutto rosa rende più piccante e vivace il racconto, che scorre fluentemente fino all’ultimo episodio.

Ed è proprio l’epilogo l’elemento che forse convince di meno. La settima puntata costituisce il lieto fine di tutta le serie, forse fin troppo lieto e zuccheroso. Ma apre anche alla possibilità di una terza stagione, non ancora annunciata ufficialmente da Netflix, che potrebbe rispondere alla domanda che ci poniamo dalla prima puntata: riuscirà Payton Hobart ad arrivare alla Casa Bianca?

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