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Suburra – L’apocalisse romana. Un confronto tra film e Serie Tv

Suburra è la prima Serie Tv targata Netflix e figlia del Bel Paese. A fomentare la nostra curiosità concorrono  altri fattori: si parla dell’Italia e degli italiani (anche se ci si riferisce a quella fetta di umanità a cui sarebbe preferibile non annoverarsi); inoltre, questa Serie è solo l’ultimo prodotto ruotante intorno a una stessa storia. Infatti, il motivo prevalente per cui ci siamo messi a guardare Suburra è che avevamo visto il film (2015). A sua volta, quest’ultimo prende le fila dal libro (da cui mutua il titolo), scritto da Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini nel 2013. Insomma: tre prodotti omonimi, un unico concetto di base, alcuni personaggi in comune, ma tre storie differenti. Considerando il libro come matrice, ci rendiamo conto che le altre opere non sono due trasposizioni speculari: il film cambia di lunga misura la storia cartacea e la Serie Tv ne costituisce il prequel .

Suburra

Quello cinematografico e quello seriale sono due ambiti distinti, che godono di limiti, possibilità, mezzi, occasioni diversi e farne una comparazione che non tenga conto di tutto questo sarebbe una scelta quantomeno miope. Non è quanto che faremo. Vogliamo solo analizzare due prodotti artigianali, due modi di inventarsi e raccontare una storia partendo dalle stesse coordinate. D’altro canto, il confronto è quasi fisiologico quando ci si pone in una posizione di consequenzialità.

Il concetto che resta fermo in tutte e tre le opere, denunciato già dalla scelta del titolo, è mutuato dalla storia  patria più antica.

Suburra (o Subura) Regione di Roma antica, nella depressione fra il Quirinale, il Viminale, il Celio e l’Oppio. Era attraversata dal Clivus Suburanus, la strada che dall’Argileto conduceva alla porta Esquilina. Dalla fine della Repubblica fu un quartiere popolare fittamente abitato da piccoli commercianti e gente di malaffare. 

Questa è la definizione che potete trovare se vi mettete a cercare cosa significhi Suburra. Essa ha storicamente costituito il luogo d’incontro per eccellenza tra criminalità e potere. La vera forza di questi prodotti, l’appeal innegabile che esercitano su di noi, è proprio legato a questo punto: l’esistenza fisica di un luogo in cui avviene concretamente ciò che tutti noi sappiamo accadere: l’incontro tra lo Stato e la malavita.

La Suburra è la materializzazione della corruzione.

Non a caso nasceva in un punto di depressione, morfologicamente in basso, laddove per cultura collochiamo il Male, le nefandezze, persino l’Inferno. E se un tempo si trattava di un luogo circoscritto, delimitato, ora la Suburra si espande a invadere un’intera città, simbolo di ciò che siamo noi: Roma. Ed ecco che i due nomi vengono a coincidere.

Il film

Il film di Sollima è un film di svolta. Se ci si sofferma sulla forma (ma questo era già evidente guardando Gomorra – La serie e Romanzo Criminale – La serie) si può cogliere con evidenza la forte impronta stilistica del regista, che vira il cinema italiano in direzione americana e riesce ad avvincere maggiormente uno spettatore ormai avvezzo a quel tipo di taglio, di occhio, di emozione. Suburra, il film, ha diversi punti di forza che, analizzati all’interno del panorama cinematografico italiano, ce lo fanno additare come precursore di un nuovo modo di intendere il cinema italiano. Al giorno d’oggi, i generi sono più suscettibili di contaminazione ed è spesso arduo appiccicare un’etichetta a un’opera. Tuttavia, è proprio dal concetto di genere che siamo costretti a partire. Suburra nasce dall’incontro tra iperrealismo cronachistico e cinema di genere (più precisamente, il poliziottesco). Da un lato, Sollima attinge a piene mani dalla cronaca contemporanea (si pensi alle dimissioni papali e a quelle di Silvio Berlusconi;  alcune testate giornalistiche  hanno individuato nel clan degli Anacleti quello dei Casamonica, nel Samurai, Massimo Carminati e persino la pioggia battente del film sembra rifarsi al nubifragio romano dell’ottobre 2011), e, anzi, la pellicola pare aver precorso fatti di cronaca verificatisi solo in un secondo momento (lo scambio realtà-finzione è biunivoco, si sa). Dall’altro lato, non è una restituzione documentaristica quella che vediamo, ma filtrata dalla fiction, dal genere, appunto, per quanto rinvigorito e rivisitato. Ma ciò che davvero ci ha rapiti è il perpetuo senso di Apocalisse: una storia senza buoni, in cui anche il sacro si macchia di peccato e corruzione, in cui il Tevere (simbolo di Roma e, dunque, dell’Uomo occidentale) s’ingrossa di acqua e sangue. Il persistere dell’elemento acquatico che arriva a straripare, nel finale, dai tombini, si ribalta nella sua funzione di pulizia e si fa portatore di lordura e sporcizia. Tutto questo è supportato da una recitazione quasi impeccabile, da una colonna sonora capace di dare un tocco di epicità e da un montaggio serrato quanto avvincente.

 

La Serie

Suburra

Una Serie Tv gode di una possibilità in più, rispetto al cinema: il tempo. Non si è costretti a condensare una storia in un paio d’ore, ma lo sviluppo è permesso in tempi tanto prolungati che sia le peripezie che i personaggi possono essere approfonditi parecchio. Questa è una sola delle possibilità che Suburra – La serie non sfrutta. Per assurdo, i personaggi sono più credibili nel film. Indiscusso il fascino di alcuni, altri ne perdono parecchio. La resa attoriale non tiene il livello della pellicola, laddove si verifica un cambio di attore (Alessandro Borghi, Giacomo Ferrara e Adamo Dionisi sempre magistrali). Le due pecche maggiori si evidenziano nella scelta di un registro registico che sembra non volersi mantenere sulla cresta dell’onda d’innovazione inaugurata da Sollima, ma ammiccare a un vecchio modo tutto italiano e stanco di fare televisione e in alcune stonature narrative con il film che dovrebbe costituirne un seguito. La storia comunque ci tiene lì e l’idea di fare iniziare ogni episodio con quanto avverrà alla fine di esso incrementa l’hype. Suburra non è un’occasione totalmente sprecata, rimane un prodotto di buona fattura, la cui storia tiene un ritmo serrato e incalzante.  Resta una Serie Tv godibile e consigliata, solo ha perso l’occasione di essere un nuovo tassello alla rivoluzione seriale italiana iniziata da Romanzo Criminale, di cui, peraltro, è naturale prosecuzione.

Film vs Serie Tv 1-0 

Non si tratta di una partita, ma della costatazione di due approcci contrapposti: da un lato uno slancio di svecchiamento, di energia, una nuova visione; dall’altro, una consuetudine, un’abitudine che, anche se ben realizzata, sembra talvolta cadere nel grottesco. Da un lato la colonna sonora degli M83 che tocca le corde del cuore, dall’altro una musica che, nei momenti di tensione, rompe quasi il patto di sospensione dell’incredulità, rendendo più stucchevole la scena. C’è una differenza anche tra i personaggi e possiamo rilevare un andamento: quando l’attore rimane invariato nel film e nella Serie Tv, la qualità interpretativa è  alta. Caso emblematico è rappresentato da Alessandro Borghi, il quale tratteggia un affascinante Aureliano Adami, la cui plausibilissima evoluzione sarà l’idealista Numero 8 del film. Aggressivo, rabbioso, orgoglioso, protettivo, incosciente, arrogante, folle e vulnerabile, lo sguardo stralunato e inquietante di quel che diventerà è qui appena accennato, scelta attoriale delicata e onesta. Non si può dire lo stesso per quanto riguarda il personaggio del Samurai, forse il più rappresentativo dell’incontro tra Male e Potere: il vero demiurgo di questo gioco sadico e sporco in cui tutti vogliono essere Re. Personaggio estremamente complesso nella versione restituitaci da Claudio Amendola nel film, appare più fiacco, meno convincente in quella di Francesco Acquaroli. Va un po’ sfumando quel senso di timore quasi reverenziale che avevamo provato al cinema.

Andando oltre le differenze tra film e Serie Tv, questa storia ha una grande forza intrinseca e una sola cosa resta certa: Suburra è il ritratto della nostra nazione e a qualsiasi crimine ci si riferisca quando si cerca un colpevole, una sola risposta è quella vera: “È stata Roma”. Siamo stati noi.

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