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Anche la follia merita i suoi applausi.
[Alda Merini]

Vi era il tempo degli eroi, del paladino senza macchia che si ergeva, tetragono, alle forze del male. Era il tempo dell’immedesimazione del bene contro il male. Del giusto contro lo sbagliato. Del vero contro il falso. L’era in cui ci si schierava “l’un contro l’altro armato” per prendere posizioni integerrime e indiscutibili: noi contro loro. Poi tutto è cambiato. Come il crollo di un muro culturale che affonda le sue radici nella storia letteraria e sociale dell’umanità, ci siamo ritrovati ad affascinarci per i “non-eroi”. Personaggi più umani nelle loro limitazioni da renderli più vicini a noi. Abbiamo abbandonato il sogno della perfezione per spalleggiare gli angeli caduti. Pensiamo ad esempio a Dexter Morgan, ma non solo: Walter White, Tony Soprano, Don Draper e così via.

Siamo talmente assuefatti dal fascino di personaggi oscuri che combattono i propri demoni interiori da aver determinato una sospensione del giudizio critico su di essi. Non è più solo una questione di eroi e antieroi ma di un vero e proprio “elogio alla follia“. Siamo disposti ad accettare e addirittura amare personaggi patologicamente deviati in virtù del loro carisma, del loro fascino. Della loro capacità di “bucare lo schermo“. Personaggi che rasentano il confine labile della psichiatria, che portano sulle spalle il peso della loro alienazione.

Dexter

Ognuno di noi quando fa l’esperienza trascendentale della perdita dell’ego corre il rischio della perdita dell’equilibrio mentale. Può allora essere considerato come un pazzo. Ma essere pazzo non coincide in modo necessario con l’essere malato, anche se per la nostra società i due termini sono ormai divenuti quasi complementari. La pazzia dei nostri personaggi è il risultato e la conseguenza di ciò che gli è accaduto e, ovviamente, di ciò che ora permettono che accada.

Non possiamo che lasciarci affascinare e trascinare dalla loro follia. Il tarlo che rode le loro menti è l’esaltazione del tarlo che è in ognuno di noi.

Eppure la follia non assume sempre lo stesso aspetto. E non potrebbe essere diversamente. Come non esiste un paradigma di “normalità” (cos’è normale?) se non ciò che di volta in volta, nello spazio e nel tempo, la singola società considera tale, così non vi può essere una sola conclamata concezione di follia. Follia e malattia abbiamo detto potrebbero non coincidere nei nostri personaggi e anzi, come vedremo, potrebbero arrivare a far mettere in dubbio la nostra stessa sanità mentale. Potrebbero insinuare quel sottile dubbio che i malati siamo noi.

Nel nostro piccolo universo seriale, che gode come ogni forma d’arte del poter essere rappresentativo della realtà e della società, abbiamo la possibilità di mostrare l’evoluzione della follia. Un percorso arbitrario sugli stadi che pazzia ed alienazione compiono nella mente e nelle azione dei personaggi. Una caratterizzazione morale ed etica che ruota attorno al concetto di consapevolezza. La piena coscienza di sé e della propria pazzia. Questo percorso di stampo evoluzionistico ci accompagna attraverso tre personaggi emblematici quanto affascinanti: il giovane Norman Bates, il tormentato Dexter Morgan e l’esteta Hannibal Lecter.

Dexter

Nel primo caso la follia è latente. L’inconsapevolezza del proprio stato, della propria condizione, è la caratteristica principale del personaggio interpretato da Freddie Highmore. La caratterizzazione del giovane Norman Bates è distante da quella Psycho, ma proprio per questo ci permette di analizzare le origini e il percorso della follia che lo guida. L’adolescente Norman Bates è scisso dal suo demone. Così distante e contrapposto in questa frattura psichica da creare effettivamente due personaggi.

In lui la spinta omicida è primordiale. Un bisogno malato e incontrollabile che trae origine dalla violenza che il padre padrone esercita sulla madre Norma. In secondo luogo è il malsano conflitto edipico trasceso a livello patologico a guidare e condizionare i suoi istinti. Un animale che risponde unicamente alle sue spinte emotive. Senza pianificazione o premeditazione conscia.

Cavalcando il parallelo evoluzionistico possiamo vedere nella sua follia e nel comportamento che ne consegue una sorta di Homo Habilis, che inizia a muovere i primi passi da antieroe nel mondo della follia nelle Serie Tv. Ovviamente non da un punto di vista cronologico ma da quello squisitamente qualitativo. Un personaggio che non contrasta né asseconda la sua natura. Semplicemente non è quasi in grado di vederla. Essa agisce oltre i suoi confini, al di là di quell’orizzonte degli eventi dove non si è in grado di intelligere.

Solo allo spettatore è data piena coscienza di ciò che avviene. Della reale natura dell’orrore che v’è al suo interno. E affascina. Ogni giudizio morale viene sospeso e subordinato alla capacità del personaggio (e del suo interprete, ovviamente) di coinvolgerci su un piano più squisitamente emotivo. Ma resta il fatto che Norman Bates è un killer. Spietato e crudele. Non dovrebbe riuscire a creare empatia con lo spettatore, ma in realtà avviene.

Dexter

Passiamo poi all’antieroe per antonomasia delle Serie Tv. Il serial killer di serial killer. L’uomo in grado di non provare emozioni e di relegare il concetto di normalità a maschera funzionale. Almeno all’apparenza. In Dexter la spinta alla normalità influenza e condiziona il suo modo di agire. Egli anela allo stato di quiete mentale che non può raggiungere. Vive un eterno conflitto nel quale si trova costantemente in balia dei suoi demoni che anche nel suo caso traggono origine dalla violenza. Dall’esperienza scioccante e traumatica in tenera età della vista dell’omicidio della madre.

Dapprima il codice di Harry e poi Rita sono i tentativi di Dexter di sconfiggere il suo passeggero oscuro. In lui la follia patologica è consapevole. E va combattuta. Il fascino che Dexter riesce a esercitare su di noi è incentrato proprio sul tentativo di risoluzione del conflitto. Ognuno di noi vive quotidiane battaglie con i propri demoni, così come l’ematologo di Miami combatte il suo passeggero oscuro.

Come Dexter anche noi falliamo, ma continuiamo a provare. Le maschere che indossa sono la stereotipizzazione di quelle che anche noi siamo costretti a indossare in società. Dexter è il tentativo della follia di sembrare normalità. É il tentativo di rispecchiare, fallendo, un mondo che non ci appartiene. Che non è nostro. Un mondo del quale noi siamo un frammento costretto a integrarsi e corrispondere a tutti gli altri.

“Se un uomo fosse tanto furbo da poter nascondere di essere pazzo, potrebbe far impazzire tutto il mondo.”
[Søren Kierkegaard]

Nel caso di Dexter non è furbizia ma necessità. Nella scala evolutiva che stiamo fantasticando egli sarebbe l’Homo Erectus. Consapevole di sé e delle sue abilità, ma ancora in lotta con i propri istinti, con la propria parte più ferina. Un punto medio del nostro percorso e di quello della follia.

Dexter

E chiudiamo con un terzo stadio. La bellezza indiscutibile del personaggio di Hannibal Lecter risiede nella perfetta risoluzione della dicotomia pazzia-normalità. Egli non solo è consapevole delle sue pulsioni e dei suoi bisogni, come già abbiamo visto per Dexter Morgan, ma ne è perfettamente padrone. La sua follia omicida assurge a bellezza artistica. Vi è una sorta di trascendente edonismo in lui che lo porta alla costante ricerca della perfezione e del bello. Anche nell’omicidio.

La follia a disposizione dell’arte e dell’indagine di sé. La capacità di influenzare gli altri al punto di potersi permettere di agire alla luce del sole. Nessuna maschera, nessun sotterfugio ma la capacità di manipolare e plasmare le menti degli altri al proprio bisogno.

“Come la pazzia, in un certo senso elevato, è l’inizio di ogni sapienza, così la schizofrenia è l’inizio di tutte le arti, di ogni fantasia.”
[Hermann Hesse]

Hannibal Lecter incarna perfettamente queste parole. Egli è in grado di condizionare la mente degli uomini senza subirne ripercussioni. Porta altri a commettere abomini solo al fine di contemplarne il risultato “stilistico” raggiunto sotto la sua influenza. Nella sua visione egli è la normalità in un mondo che è solo opportunità.

É talmente sublime e raffinata l’azione portata a termine che suscita nello spettatore l’inconscio sospetto che possa essere addirittura giusta, necessaria. É la finale presa di coscienza della follia che sublima in normalità. Un lupo che si muove serafico tra gli agnelli nell’attesa indisturbata del prossimo pasto.

Questa è l’alba dell’Homo Sapiens del nostro evoluzionistico percorso. Non solo consapevolezza ma anche padronanza. Siamo arrivati alla sublimazione della pazzia che si fonde con la piena disposizione di sé e dei propri mezzi. Non vi è più limite sociale. La morale è stata riscritta e il nuovo paradigma vede una nuova specie dominante: il folle consapevole.

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