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Zero – La Recensione della nuova Serie Tv italiana Netflix

Zero, la nuova Serie Tv italiana Netflix tratta liberamente dal libro “Non Ho Mai Avuto La Mia Età” di Antonio Dikele Sistefano, è ufficialmente arrivata nella piattaforma con una storia che analizza e racconta un contesto che spesso viene messo da parte e dimenticato.

Netflix, infatti, sceglie di narrare la vicenda del Barrio di Milano donando una voce a chi spesso ha paura di urlare troppo forte. L’idea della serie è chiara: raccontare la vita complicata degli abitanti del quartiere in un modo originale e vario che possa dividersi tra fantasy, azione e teen drama. Proprio su questa base il nuovo prodotto Netflix sarà un minestrone di generi che si scontreranno in sole otte puntate da neanche mezz’ora ciascuna.

I problemi in Zero, così, non tardano a farsi scoprire e quello che ci rimane tra le mani è il potenziale di un racconto che non è riuscito a emergere veramente.

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L’empatia è una delle cose che più ci accompagnerà durante la visione del prodotto: ci sentiremo anche noi parte del Barrio, un posto che ogni giorno deve lottare con le proprie forze per riuscire a stare a galla e a non annegare in quel mare di conflitti che vuole annientarlo. Zero, un ragazzo che vive dentro questa realtà, conduce una vita normale e sedentaria fatta di sogni e paure accanto a un padre severo e una sorella che vede in lui la figura di un supereroe.

Supereroe: un termine che nella serie esercita un posto importante, ma che al tempo stesso non fa la differenza come dovrebbe. Perché la particolarità di Zero è quella di saper diventare invisibile: una peculiarità fondamentale per gli amici del quartiere che vedono in lui l’asso nella manica per salvare il loro posto nel mondo da atti criminali e violenti che hanno l’unica intenzione di svalutare il suo mercato per rendere più economica la vendita alle grandi aziende.

Proprio in questo momento così terrificante per il Barrio, il gruppo di amici – formato da Mommo, Zero, Sara, Inno e Sharif – inizia, con il supporto immancabile del potere di Zero, a escogitare vari piani per fermare la delinquenza che sta distruggendo casa loro. Parallelamente a tutto questo, viviamo un’altra storia: quella di Anna.

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Zero si innamora di Anna, una ragazza ricca che sta per realizzare il sogno della sua carriera: diventare un architetto. Tra i due la chimica sarà forte e li aiuterà a superare tutti gli ostacoli che la loro relazione incontrerà.

Nel giro di poche scene viviamo degli sbalzi ambientali non da poco: passiamo da muri rotti e case a pezzi, ad attici con piscine e viste mozzafiato. Il contrasto tra il mondo di Anna e quello di Zero così diventa subito tangibile dandoci due versione della storia: quella di chi è all’interno del barrio e quella di chi lo vive da fuori. La ragazza è la figlia di un importante imprenditore che, insieme ad altri collaboratori, sta cercando di rovinare il Barrio per agevolare il commercio.

Ricapitolando, dunque, abbiamo un ragazzo dai superpoteri innamorato di una ragazza ricca che è al tempo stesso la figlia di chi vuole rovinare il quartiere in cui vive. In mezzo a questa trama – che ricordiamo, viene sviluppata in otto puntate da venti minuti – viene mescolato un altro argomento: la sorella di Zero sembra star male, ha un dolore agli occhi che sembra collegato al potere del fratello. La giovane viene fermata da una donna – una boss mafiosa, per quel che ci è dato sapere – che le chiede di non rinunciare alla sua rabbia facendole intendere che anche lei abbia dei superpoteri. La stessa donna sembrerà sapere qualcosa di molto forte sul passato della famiglia di cui i due fanno parte.

Adesso dovrebbe arrivare il momento in cui si discute delle varie rivelazioni: sono state all’altezza? Erano troppo forzate? Sono state impeccabili? Niente di tutto questo. Perché? Nessuna risposta viene data, e tutta la carne al fuoco finisce per bruciarsi malamente.

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Rimane la volontà di un racconto che avrebbe voluto essere tante cose, ma alla fine – almeno per questa prima stagione – non è riuscito a esserlo. Zero, sulla carta, poteva avere un potenziale ottimo ma per far sì che questo si sviluppasse avrebbero dovuto fare di più curando meticolosamente i dettagli, allungando la quantità dei minuti o degli episodi e concedendo un’identità ai protagonisti. Partiamo da quello che dovrebbe uno dei punti centrali della serie: il potere dell’invisibilità del protagonista. Sappiamo che lui lo possieda fin dal primo momento, fine.

Per la durata dell’intera serie sembriamo prossimi a delle rivelazioni che ci lasceranno di stucco, ma che poi non arrivano mai. Certo: tutto lascia presagire una continuazione, una seconda stagione che si concentri e indaghi su questa storia, ma non possiamo – per questa ragione, che ancora deve essere confermata – accontentarci della superficialità con cui è stato trattato l’argomento fino ad adesso. Non si può scegliere di rendere una storia paranormale senza dare il giusto peso alla cosa: nessuno si sveglia la mattina in grado di sparire e comprendere come mai in un mondo normalissimo tutto questo possa avvenire è la base per dare credibilità alla narrazione.

Per concentrarsi in particolar modo su questo aspetto avrebbero senz’altro dovuto allungare il tempo, concedere venti minuti in più a puntata o – almeno – quattro o cinque episodi in aggiunta. La scelta di ridurre il numero delle puntate delle nuove Serie Tv si sta facendo sempre più strada: i prodotti scelgono dei racconti molto più brevi in termini di puntate, ma al tempo stesso scelgono anche di riempire di più queste ultime con un totale spesso di sessanta minuti quando la trama ne necessita perché più articolata. Zero si discosta totalmente da questo compromesso e si fionda dentro una quantità di tempo che non può bastare per raccontare le essenze dei personaggi, il loro vissuto, il superpotere, le origini della sua misteriosa famiglia, la sua vita da adolescente e la difficoltà del quartiere in cui vive.

L’empatia che proviamo nei confronti del Barrio salva questa storia dalla totale indifferenza, ma non basta.

Quando si sceglie di portare una narrazione così sontuosa si fanno i conti con le responsabilità che questa impone. Il finale aperto va bene, ma deve avere una base solida su cui reggersi, un racconto dietro che riesca a promettere la curiosità sugli gli sviluppi. La copertina che Zero si è creata non è forte a sufficienza ma vive di storie a cui vengono dedicati cinque minuti a puntata: cinque per Anna e Zero, cinque per Zero e i suoi amici che cercano di salvare il quartiere, cinque per i misteri che non ci vengono mai svelati e altri cinque per l’invisibilità del protagonista. Tutto prende lo stesso numero di spazio ridotto nella speranza che possa bastare donando una storia che sia dinamica e piena di spunti a cui non viene mai scritta la parola fine. Tutto viene lasciato senza spiegazione o sviluppo.

Tra dinamicità e minestrone il passo è breve, e può essere deleterio. I difetti effettivi di questo prodotto sono davvero scovabili all’interno di questa problematicità perché – purtroppo – il potere dell’invisibilità non è solo del protagonista, ma anche della sceneggiatura che sceglie di nascondere tutto il resto puntando la sua luce solo sulla volontà di parlare di più fattori senza compromessi nella speranza di rendere la narrazione veloce e coinvolgente.

Personaggi che appaiono e scompaiono – e non stiamo parlando del protagonista – buchi di trama più che evitabili e momenti vuoti di significato utilizzati solo per dire qualcosa in più. Non c’era bisogno di tutto questo.

Bastava davvero guardare da lontano il racconto per scovarne tutte le possibili potenzialità, ma la fretta ha avuto la meglio lasciandoci del tutto inermi, incapaci di poterci lamentare di altro o giovare le parti positive perché tutto il resto tace, ed è proprio la sceneggiatura a farlo tacere. Forse – con un po’ di cura – adesso staremmo parlando di un nuovo gioiellino italiano all’interno del catalogo Netflix, ma purtroppo così non è andata. Per ora.

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