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Speravo de morì prima 1×01/1×02 – Una locura alla brasiliana

Bisogna possedere la lucida follia degli esterni brasiliani che saltano l’uomo sulla fascia o crossano all’improvviso in rabona per pensare di poter fare una serie così. Speravo de morì prima è un dribbling azzardatissimo, di quelli che fai senza guardarti dietro, dove magari sei scoperto e potresti lanciare l’avversario in contropiede. È come un cucchiaio a Van Der Sar: se ti riesce è una bomba, se fallisci fai la più grossa figuraccia della tua vita. Non potrebbe definirsi altrimenti il tentativo di Luca Ribuoli di metter su una miniserie su Francesco Totti. Sugli ultimi due anni di carriera del leggendario capitano romanista, che non risalgono a un’epoca fa ma a ieri appena. Produzione Sky Original, la serie è finalmente disponibile su Sky e Now TV. La sceneggiatura è stata scritta da Stefano Bises, Michele Astori e Maurizio Careddu, ma trae ispirazione dal libro Un capitano di Paolo Condò in cui il calciatore si è raccontato a trecentosessanta gradi.

In quale misura sia un azzardo pensare di poter realizzare un progetto del genere è abbastanza chiaro. Speravo de morì prima racconta fatti accaduti appena qualche anno fa, fatti su cui spesso ci si ritrova a dibattere ancora oggi. I protagonisti sono tutti vivi e vegeti: Francesco Totti, Ilary Blasi, Luciano Spalletti non sono vecchi cimeli da guardare da lontano, ma personaggi che hanno ancora un peso rilevante sulla scena pubblica. Pensare di insinuarsi tra quelle vite ancora in piena evoluzione, tra quelle ruggini non ancora assimilate, ci dà la misura del rischio corso da regista, produzione, sceneggiatori e attori. Una bella dose di spregiudicatezza affidata al talento raffinato di Pietro Castellitto, quello che si è caricato della responsabilità più grande: interpretare un mito che appartiene un po’ a tutti, lui compreso.

Con Speravo de morì prima, la paura che ne venisse fuori un omaggio sgargiante e grottesco era del tutto legittima.

D’altronde, Totti sta ancora lì. Sui muri della città, sui poster in camera dei ragazzini, ma anche nella vita reale, a due passi dal set su cui hanno girato gli ultimi due anni della sua vita. E come si fa ad interpretarlo un personaggio così? Come si cerca di renderlo vero, autentico, digeribile per un pubblico abituato a lui e a lui soltanto? Dandogli una propria interpretazione, senza farne una riproduzione fedele. Provare a somigliargli suonerebbe come un plagio. Allo spettatore non va consegnata una parodia, ma un’opera originale. “Il cinema è evocazione, non imitazione”, ha detto proprio Castellitto alla presentazione della serie. E l’impostazione del progetto è stata sin dall’inizio proprio questa: i personaggi reali sono tutti lì fuori, questo è solo un prodotto televisivo, un’operazione artistica che la realtà non vuole banalizzarla ma reinterpretarla secondo i codici della fiction.

speravo de morì prima

Speravo de morì prima ha l’ingrato compito di raccontare una storia che trasuda passione e visceralità, ma senza farsi impantanare dalla vuota retorica né dall’eccessiva semplificazione. Possibile farlo? Sì, se non ci si prende troppo sul serio. E il primo grande merito di questa serie, almeno a giudicare dai primi due episodi, sta proprio nell’aver saputo trovare il giusto equilibrio tra romanticismo e leggerezza. Né ampollosa verbosità, né tocco eccessivamente trash. Un’opera pop che arriva con spensieratezza e umorismo, senza darsi troppe arie, ma restando coi piedi saldamente ancorati a terra.

Dopotutto, Francesco Totti è questo: un connubio per niente forzato tra epicità e ironia, poesia e freschezza.

La prima puntata si apre con un racconto tratto dal libro di Condò, quello ormai diventato celebre del ragazzo disposto a farsi dieci giorni di carcere in più solo per avere la possibilità di incontrare Totti. È un po’ l’essenza stessa di quel romanismo passionale che è racchiuso già nel titolo della serie: speravo de morì prima. Uno striscione che è un sentimento, la visione fatalista e romantica della gente che ha vissuto l’era del capitano giallorosso. Le vicende le conosciamo già, i giornali ne hanno parlato per mesi, le radio le hanno amplificate fino allo sfinimento – molto divertente, a proposito, la scena in cui si cerca di spiegare il peso che le trasmissioni radiofoniche hanno sull’ambiente Roma -, lo stesso Totti le ha raccontate più di una volta. Obiettivo della serie non è quello di ristabilire la verità sullo scontro con Spalletti, ma offrire il punto di vista di un campione che deve fare i conti con un nemico molto più temibile: il tempo.

Significativo – e a tratti anche esilarante – il primo dialogo tra Totti e Ilary (Greta Scarano), che riesce a partorire dal pancione di lei la metafora perfetta degli ultimi anni del Francesco calciatore:

-Ci puoi giocare ancora qualche mese.
-Poi?
-Poi smette di essere un pallone e diventa qualcos’altro.
-Un bambino.
-Sì, una nuova vita.
-Devo capì qualcosa?
-Che non è la fine, Francé.

E vaglielo a spiegare che non è la fine. E soprattutto, vallo a spiegare ai milioni di tifosi che se lo portano dietro come un santino ovunque vadano. Questi primi due episodi di Speravo de morì prima sorvolano con leggerezza le inquietudini di un uomo che, senza il pallone, non sa nemmeno più chi è. Sono i pensieri chiassosi e confusi di chi vede il tramonto all’orizzonte, ma cerca di capire come prenderlo in controtempo. Je faccio er cucchiaio? È una storia che riporta alla dimensione della commedia l’ansia della fine e l’angoscia del distacco. Sa toccare piano la nostalgia, dosa al punto giusto tristezza e ricordi. Una leggera pressione in più su questi tasti e la finzione diventerebbe merce scadente, grossolana.

speravo de morì prima

Si parte dal ritorno di mister Spalletti alla Roma e si arriva al primo grande scontro tra i due: l’intervista alla Rai e la cacciata da Trigoria. In mezzo una serie di flashback che ci riportano all’infanzia, ai tempi dell’infortunio, alla festa dello scudetto, all’intimità familiare.

Ma senza affossarcisi. Solo uno sguardo breve, un volo di ricognizione. La voce narrante di Pietro Castellitto riesce a dare quella sfumatura di leggerezza in più a tutto l’impianto narrativo. La modulazione della voce, l’inflessione dialettale, quella parlata un po’ biascicata che è immediatamente riconoscibile. Ha fatto un grande lavoro Castellitto, così come lo hanno fatto Greta Scarano e Gianmarco Tognazzi (nei panni di Luciano Spalletti). Molto genuini e autentici anche mamma e papà Totti, interpretati da Monica Guerritore e Giorgio Colangeli. La serie non piacerà a tutti, su questo c’è poco da dubitare. Alcuni romanisti storceranno il naso, altri semplicemente la snobberanno. Ma Speravo de morì prima non è una serie fatta per i tifosi. È un prodotto televisivo che racconta con ironia una storia che tutti conosciamo. Non si schiera, né pretende di restituire verità. Punta a divertire, a far sorridere e a raccontare con rispetto e simpatia un personaggio in cui convivono da sempre semplicità e leggenda.

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